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La sinistra dai piedi buoni e quella degli “scarpazoni”


18 Gennaio 2018 / Nando Piccari

Non è questo il primo scambio di ping pong fra me e Chicchi e spero non sia nemmeno l’ultimo, perché c’è gusto a confrontarsi con lui, anche quando siamo in disaccordo. Lo stesso vale nei confronti di Biagini, che essendo però ancora un ragazzo rispetto a noi due, mi ha finora dato un minor numero di occasioni per stimolanti “battibecchi dialettici”. Devo però dire che entrambi i loro articoli (“Il vero problema di Matteo Renzi”, quello di Giuseppe; “Quaglie, quaglioni… e corsivi”, il successivo di Roberto), in risposta al mio “Il salto del quaglione”, più che al tennis da tavolo, mi hanno fatto pensare ad una metafora calcistica.

Non so se se Chicchi, da ragazzo, abbia praticato il calcio; invece Biagini, che l’ha fatto con eccellenti risultati, sa bene che quando ci si trovi a dover giocare in difesa esistono due possibilità. Gli “scarpazoni” calciano la palla il più lontano possibile, “come viene viene”, nello stile detto anche “alla viva il parroco”; mentre chi ha “i piedi buoni” ricorre a quello che nel glossario calcistico si chiama “il fraseggio”, vale a dire un fitto susseguirsi di passaggi corti che, quand’anche eseguiti con una certa classe, non ti fanno comunque uscire dalla tua metà campo.

Per proseguire nella metafora, allorché gli esponenti di LeU si sentano attaccati dall’inevitabile domanda “ma che sinistra siete, se vi date un gran daffare per favorire la vittoria elettorale della destra, poco importa se berlusconiana, leghista, neofascista o grillina?”, ecco che allora, come nel calcio, si palesano le differenze di stile.

Gli “scarpazoni” imitano il Pietro Grasso di martedì sera a “Porta a porta”, tutto un entrare in tackle sui giornalisti che gli facevano domande e “tirare la palla in tribuna” nelle risposte. Una comparsata televisiva patetica e imbarazzante la sua, da perfetto “parvenu della sinistra”, che ha fatto il paio con la sprovvedutezza di pochi giorni prima, quando si è lasciato “dal sen sfuggire” quell’incredibile «nessuna pregiudiziale verso i 5 Stelle e nessun odio verso il PD»: sembra galateo, invece è un lapsus freudiano.

Come a dire: “coi grillini potrei anche arrivare a fare lingua in bocca; invece al PD va già bene se mi astengo dal mandare malefizi a Renzi”.

Quelli “con i piedi buoni”, tipo Chicchi e Biagini, eludono pure loro la domanda, ma con un elegante “fraseggio lessicale”, non privo di alcune interessanti riflessioni e di qualche veritiera considerazione; che permette inoltre di evidenziare – ma questa è una nota di colore – una certa differenza di stile.

Giuseppe, raffinato “palleggiatore del pensiero”, ci affascina con la narrazione di come dovrebbe essere la sinistra, di come sarebbe bello che fosse la sinistra, del perché alla sinistra manchi sempre qualcosa per essere come la vorrebbe; mentre Roberto, “mediano di spinta” anche nel dibattere, predilige contrastare le avverse prese di posizione con atletica vigoria politica, corroborata da un efficace allenamento avvocatizio.

Invece io mi sento soltanto un libero pensatore di campagna, per di più affetto da «una vena di malinconia», come giustamente rileva Chicchi (ultimamente, però, nemmeno lui mi è parso un gran allegrone); ed essendo convinto che la partita del prossimo 4 marzo non sia come giocare sul verde prato del Maracanã, avevo posto nel mio articolo alcune semplici domande; alle quali, appunto, mi sembra che sia Chicchi che Biagini abbiano risposto..parlando d’altro. Così vedo di specificarle meglio.

Quanto è di sinistra favorire, come LeU sta facendo, il possibile ritorno al governo della destra, o l’avvento di una sorta di “prefascismo grillino”? Non sarebbe forse un po’ più di sinistra, sia pure al netto di limiti e insoddisfazioni, cercare di tenere lontano quel pericolo?

Certo, il PD è pieno di renziani; ma visto che in LeU è tutto un adorare Corbyn (peccato che molti, a cominciare da D’Alema, a suo tempo facessero lo stesso con Blair), perché allora non prendere esempio dal Labour Party, dove riescono a convivere esponenti che ancor oggi inneggiano a Trotsky e altri che in Italia starebbero alla destra di Alfano?

Ancora: è meno di sinistra adoperarsi affinché il prossimo governo continui ad avere sui vaccini l’indispensabile rigore mostrato dalla Ministra Lorenzin, pur se non è la Iotti, o dare retta a Bersani che, non contento di essersi fatto prendere per i fondelli da Grillo cinque anni fa, si dice pronto, dopo le elezioni, a sedersi nuovamente al tavolo insieme a chi fa a gara con Salvini nell’accreditarsi quale protettore politico dell‘imbecillità no-vax?

Ultima domanda: in Lombardia cos’è più di sinistra? Attivarsi perché diventi Presidente della Regione Giorgio Gori che, pur avendo un peccato originale marchiato Fininvest, ha dimostrato di essere un buon sindaco progressista? O far finta di poter eleggere un discusso sindacalista sul quale perfino la Camusso ha avuto da ridire, spianando così la strada a quel buzzurro legaiolo dall’aria mefistofelica, che ha nel suo repellente programma “la difesa della razza bianca”?

Infine due considerazioni. Nel mio precedente articolo sostenevo che in politica, quando non c’è “il meglio”, bisogna saper convergere sul “meno peggio”. Chicchi interpreta (o finge di interpretare?) quella mia affermazione come se avessi voluto dire:Togliatti era per definizione ‘il migliore’; noi accontentiamoci di Renzi, che è il meno peggio”. Se, al contrario, avesse compreso che non mi riferivo affatto al peso delle leadership, ma al più utile degli scenari politici che in un determinato momento storico sono realisticamente perseguibili dalla sinistra, Giuseppe non avrebbe certamente potuto polemizzare. Lui che, ricorrendo da maestro al “meno peggio”, ha avuto il merito e il coraggio di riportare il Partito Comunista, appena diventato PDS, al governo della Città di Rimini mediante una delle più clamorose “eresie” del tempo: l’alleanza con la Democrazia Cristiana.

Ero fra i convinti sostenitore di quella scelta – ma tanti ne mancavano – e ricordo la fatica che facevamo, noi “politicamente nati nel PCI”, a farci garanti della giustezza e dell’intelligenza politica del “ribaltone” presso i compagni delle sezioni: se si fosse indetto un referendum, non so quanto ampia sarebbe stata la maggioranza dei favorevoli. Per non parlare degli attacchi esterni, frutto di convergenza fra i craxiani defenstrati, i ciellini tagliati fuori dall’operazione ed il variegato panorama delle destre; con l’aggiunta dell’ultra-sinistra – quando si dice la coincidenza fra ieri e oggi! – dove pure non mancavano alcuni che, fino a qualche anno prima, erano stati fedelissimi di Chicchi in quanto leader del Manifesto e del PdUP (e magari, chissà, oggi si sono a lui ricongiunti dentro LeU).

Biagini, nel suo articolo, non poteva mancare di chiedermi cosa io pensi «sulla recentissima “conversione” di Sergio Pizzolante, uno dei tuoi bersagli preferiti». Confesso che mi piacerebbe se al suo “ravvedimeto” avesse contribuito anche qualche mio satirico “tozzone da corsivo”. Ma al di là dello scherzo, il fatto è che io sono irrimediabilmente segnato da quell’assillo del “proselitismo” che ci inculcavamo vicendevolmente in testa dentro il PCI. Vale a dire la convinzione che, se vuoi vincere, chi oggi non sta con te occorre che quanto prima cominci a farlo.

Del resto, se avessimo dovuto sempre dire vade retro a quelli che nel tempo ci si sono avvicinati provenendo da altre sponde politiche, Melucci – tanto per fare qualche esempio – non sarebbe mai stato l’efficientissimo Vicesindaco del già democristiano Ravaioli; né io il Vicepresidente della Provincia con l’ancor più ex democristiano Vichi, oggi diventato talmente di sinistra da darmi del conservatore ogni volta che ci vediamo; e che dire di Chicchi, che per diventare Sindaco di Rimini avrebbe dovuto aspettare che il PdUP vincesse le elezioni?

Ma poi per dirla tutta, caro Roberto, dopo che per anni hai dovuto tenere a bada Lugaresi, che paura potrà mai farti Pizzolante?

Nando Piccari