HomeCulturaLa verità sull’Inquisizione in Romagna


La verità sull’Inquisizione in Romagna


27 Marzo 2022 / Paolo Zaghini

Angelo Turchini: “La Romagna nel Cinquecento. IV – Inquisizione in Romagna. Repressione e proposte di moderna vita religiosa” Il Ponte Vecchio.

Turchini ha aggiunto un altro tassello alla sua monumentale storia della Romagna nel Cinquecento. E’ questo nuovo volume il quarto, dedicato all’Inquisizione in Romagna, dopo “Istituzioni, comunità, mentalità”, “Romagna illustrata”, “Ambiente, uomini, colture del territorio”.

L’Autore ci racconta dell’attività della Inquisizione romana (o Sant’Uffizio) fondata nel 1542 da Papa Paolo III con la bolla “Licet ab initio”, che in Romagna ebbe due sedi inquisitoriali: a Faenza dal 1547 e a Rimini dal 1550. Con il nome cambiato (nel 1908 Sacra Congregazione del Sant’Uffizio, nel 1965 Congregazione per la dottrina della fede) è ancor oggi esistente. Con l’Unità d’Italia l’Inquisizione venne privata delle funzioni repressive, riducendosi la sua attività ad una funzione puramente censoria verso tutto ciò che poteva essere considerato contrario alla teologia e all’etica cattolica.

Precedentemente vi era stata l’Inquisizione medievale (dal 1179 a metà del XIV secolo), l’Inquisizione spagnola (dal 1478 al 1820) e l’Inquisizione portoghese (dal 1536 al 1821). L’8 marzo 2000 Papa Giovanni Paolo II in un discorso chiese perdono a nome della Chiesa per i peccati commessi dai tribunali dell’Inquisizione nel corso dei secoli.

Turchini, nelle quasi 500 pagine del libro, esamina le vicende legate all’Inquisizione in Romagna (nelle principali città, da Rimini a Imola) nel corso del 1500. In particolare si sofferma sulle drammatiche vicende del 1568 a Faenza, quando 115 persone vennero incarcerate (fra cui 5 ecclesiastici) per sospetto di eresia, appartenenti alle principali famiglie della Città. Nove dei carcerati furono giustiziati a Roma, 42 condannati alla galera a vita, gli altri incarcerati per diverso tempo o relegati nelle proprie case. Alcuni pagarono delle multe ed altri rilasciati dopo aver scontato pene minori. Alcuni, pochi, riuscirono a fuggire, ma le loro effigi furono bruciate in piazza.

La sede di Rimini (affidata ai francescani e non ai domenicani) operava anche su numerosi centri delle Marche (Pesaro e Fano). Del resto “Romagna e Marche sorgevano al crocevia d’importanti snodi commerciali terrestri e marittimi, gli stessi dai quali filtravano scritti eretici e che era dunque necessario presidiassero figure di comprovata affidabilità sul piano dottrinale”. Il problema principale era quanto proveniva dai territori della Repubblica di Venezia.

La tipologia dei reati esaminati dagli organi della Inquisizione comprendevano “eresia in genere e sospetta eresia, materialismo-ateismo, apostasia [l’abbandono della fede da parte di un battezzato], proposizioni ereticali, libri proibiti, e nello specifico: luteranesimo, anabattismo, giudaismo, islamismo, calvinismo, ortodossia, eresie minori, nonché blasfemia, abuso dei sacramenti, offesa a santi, luoghi e immagini sacre, offese a voti e precetti, sacrilegi, cibi proibiti, bigamia, concubinato, adulterio, sodomia, altri reati sessuali, arti magiche, offese al S. Uffizio, celebrazione illegale della messa, falsa testimonianza”. Praticamente l’Inquisizione aveva piena potestà sulla vita religiosa e quotidiana di tutti gli abitanti.

Dagli atti consultati e rinvenuti portano Turchini a sostenere che nel Cinquecento a Rimini “l’attività ereticale nella diocesi riminese si può considerare quasi inesistente. I casi di eresia vera e propria furono pochissimi ed insignificanti rispetto al numero della popolazione; i casi di apostasia ancor meno. In poche parole non esistette un vero ambiente eretico diocesano, ma solo fermenti ereticali di filo protestanti”.

A Rimini, sulla base dei documenti d’archivio, furono tenuti fra il 1550 e il 1585 trentotto processi. Quelli più importanti furono quelli dei primi anni Cinquanta, “nei quali emergono persone che negavano, in modo generico, il valore delle opere e l’esistenza del purgatorio, disapprovando il culto delle immagini sacre”. In particolare gli inquisitori riminesi tenevano l’attenzione rivolta a Santarcangelo, “sospettandolo come luogo facile ad accogliere fermenti radicali”. Un destino quello di Santarcangelo di essere sempre sotto il mirino di inquisitori vari: negli anni del fascismo da parte dell’OVRA e del Tribunale speciale.

I casi riminesi finiti sul tavolo dell’Inquisizione vanno intesi “non come frutto di una maturazione teologica o dottrinale, quanto piuttosto estrinsecazione spontanea di malumore popolare, tanto che la maggior parte dei processi si concluse con l’assoluzione, perché si riconosceva la buona fede dell’individuo e la sua completa sottomissione ai voleri della Chiesa”. Sottolinea però Turchini che “nell’investigazione fu usata anche la tortura”.

Ma nonostante questo clima meno pesante rispetto ad altre realtà, nel 1587 una strega riminese, la Vaccarina, venne bruciata sul rogo. Tutto quello che sappiamo è che era una vecchia, quasi certamente una mendicante e che finì sul rogo.

Sin dalla istituzione dell’Inquisizione nel 1542 venne pubblicato il primo “Index” di libri proibiti, “essendo la sorveglianza sui libri concepita come parte della lotta all’eresia, e poi nel 1543 viene attribuita agli inquisitori la titolarità del rilascio dell’imprimatur”, ovvero il si stampi dopo esser stato il libro sottoposto alla preventiva censura ecclesiastica.

Turchini conclude il volume affermando che “la realtà storica della Inquisizione è complessa; in ogni caso non manca l’importanza di un contesto in cui si ha sia una azione repressiva che una azione propulsiva e formativa, che porterà ad una nuova solida base culturale e religiosa”.

Nell’Appendice, di quasi duecento pagine, Turchini riproduce innumerevoli documenti inerenti l’attività dell’Inquisizione in Romagna: gli archivi sull’Inquisizione, gli elenchi degli inquisiti a Faenza, Imola e Rimini, i processi a Faenza, Imola, Forlì, Cesena, i materiali normativi, gli Statuti delle compagnie della Croce di Faenza e di Rimini.

Un’opera per molti versi rivolta agli “addetti ai lavori” (storici e studenti), ma che fornisce una rara e ricchissima mole di informazioni sulla storia dell’Inquisizione nei territori delle province romagnole.

Paolo Zaghini

(nell’immagine in apertura, Édouard Moyse: “Inquisition”1880)