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Lasciate che le nostre città tornino bambine


3 Dicembre 2017 / Lia Celi

Inizia ufficialmente la settimana in cui bisogna tirare fuori le palle. Le palle dell’albero di Natale, naturalmente: c’è chi ha già iniziato ad addobbarlo, chi aspetta il ponte dell’Immacolata, chi decide di non farlo per niente, perché non ha tempo o ha problemi più seri.

O perché sta vivendo la sua crisi di fede nello spirito natalizio – ci passiamo tutti almeno una volta, per i motivi più vari: sensazione di sentirsi troppo vecchi, insofferenza per l’aspetto consumistico dei festeggiamenti, e perfino paura di soffrire troppo il 6 gennaio, quando bisogna mettere via festoni e lucine e la casa torna al solito grigiore: se la festa deve finire tanto vale non iniziarla neppure.

E’ lo stesso ragionamento di quelli che evitano le storie d’amore perché prima o poi l’amore passa. Bè, è il caso di fare un piccolo sforzo, se non altro in nome della salute psichica. Perché la notizia è che chi fa l’albero di Natale sta meglio con la testa, e prima lo fa meglio sta. A sostenerlo è Steve McKeown, autorevole psicologo americano: «In un mondo pieno di stress e di ansia, la gente associa quel che è legato al Natale alla felicità, evocando forti sentimenti legati all’infanzia».

Tanto più se non aspetta l’8 dicembre per mettersi al lavoro con stelle e ghirlande, segno non di fissazione o di ingordigia consumistica, ma solo di nostalgia per la magia del Natale. Una magia che, secondo la psicologa Amy Morin, riesce perfino a farci sentire di nuovo vicini quelli che non ci sono più, le persone care con cui un tempo condividevamo il calore e l’intimità della festa più bella.

Mi piace pensare che la teoria non valga solo per i singoli, ma anche per le città. Col cinismo dell’età adulta, ci siamo abituati a pensare che luminarie nelle strade e nelle vetrine e abete scintillante in piazza siano ormai una messinscena a scopi puramente commerciali, obiettivo ricordare ai cittadini che è ora di comprare, comprare, comprare.

E se anche la città volesse per qualche settimana riscoprirsi un po’ bambina, regalare e regalarsi meraviglia e, perché no, riportare in vita il ricordo di ciò che abbiamo perduto? Le decorazioni sul Corso possono sembrarci più o meno ricche, più o meno belle di quelle degli anni scorsi (ne ricordo alcune piuttosto discutibili, tipo quelle che sembravano zerbini luccicanti appesi ad asciugare in piazza Tre Martiri) ma l’importante è che le luminarie ci siano, allegre e nostalgiche, pacchiane e un pizzico ingiuste, perché si concentrano nelle vie più importanti e fanno sembrare le stradine che ne sono prive ancora più buie e più tristi del solito

. Per fortuna ci sono i residenti che si dànno da fare illuminando finestre e balconi. Esibizionisti? No, pubblici benefattori. Perché, dice il Journal of Environmental Psychology, appendere i festoni all’esterno della casa incentiva la socialità e il buon vicinato.

Posso essere d’accordo finché si tratta di luci intermittenti e scritte «Auguri», ma come la mettiamo con i Babbi Natale impiccati ai davanzali?

Lia Celi www.liaceli.it