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«Mo LeU cus c’uientra sa nun?», dicono in Valmarecchia


1 Marzo 2018 / Nando Piccari

È proprio vero che anche la scempiaggine può contenere un sottofondo di facezia. Tranquilli, non ce l’ho col compitino stizzosetto pubblicato ieri, a firma di quell’anonimo “coraggiosone” che lancia il sasso al riparo dello pseudonimo BleMO. No, mi riferisco ai tanti che, in questa campagna elettorale che va a concludersi, sono stati capaci di mostrare una gran varietà di connubi fra insolenza e involontaria esibizione del ridicolo.

A cominciare del redivivo Berlusconi tornato “sul luogo del delitto”, vale a dire nel salotto di Bruno Vespa a ri-firmare il medesimo, truffaldino “contratto con gli Italiani” di vent’anni fa (e di venti lifting fa, che gli hanno irrimediabilmente incartapecorito la faccia di bronzo). In questi ultimi giorni sta tuonando che «L’Italia non conta più niente in Europa», quasi ci si fosse dimenticati di certe sue brillanti performances europee: i “cucù” alla Merkel; le corna sulla testa di un collega nella foto di gruppo dei capi di governo; le simultanee risatine di compatimento dedicategli in diretta tv dal presidente francese e dalla premier tedesca.

Esilarante è anche la figura da povero pirla che Berlusconi sta procurando al fido Tajani, candidandolo a fare i bagagli da Presidente del Parlamento Europeo e a diventare il suo zimbello a Palazzo Chigi, per il tempo strettamente necessario a consentirgli di tornare lui a fare il premier, una volta uscito dal “collegio dei biricchini”.

Fingendo così di ignorare che anche il suo riottoso alleato Salvini stia nel frattempo auto-proclamandosi prossimo capo del governo, avendo peraltro già ricevuto la promessa d’appoggio dei fascisti di Casa Pound. Invece «sarà un ottimo Ministro degli Interni», tenta di blandirlo Berlusconi. Ve lo immaginate Salvini al Viminale? Sarebbe come mandare un piromane a spegnere l’incendio!

Certo che anche la campagna elettorale di Salvini non ci ha risparmiato massicce dosi di inquietante esilaranza. Metteva infatti paura, e insieme faceva ridere, vederlo mentre sul palco brandiva la Costituzione e il Vangelo a mo’ di doppia clava. Lui che fino a ieri partecipava da orgoglioso protagonista a quelle truci “macumbe di rito celtico” a Pontida, in cui si invocava la maledizione divina di Odino su “Roma ladrona”, irridendo l’Inno d’Italia e promettendo di «mettere nel cesso» il tricolore. Il tutto mentre si alzavano calici pieni dell’acqua sacra del loro dio Po.

Oggi invece Salvini, per meglio farci credere di aver letto almeno uno di quei due libri analogamente sacri su cui ha spergiurato a Milano, assicura che da futuro premier si ispirerà al motto evangelico «Gli ultimi saranno i primi». È chiaro che lo dice per attribuire un vantaggio a se stesso: è infatti convinto che, dicendo “gli ultimi”, Gesù intendesse “i più somari”.

Poteva a questo punto esimersi dal pretendere di diventare Presidente del Consiglio pure la Meloni, con quella sua paciocca somiglianza alla “Sora Lella” dei film di Sordi? Certamente no. Così si sta dando da fare per accreditarsi a livello internazionale, cominciando col rendere omaggio a chi sente essere “più di casa”: il fascistone Orban, capo del governo xenofobo di Ungheria, che l’Europa continua vergognosamente a tollerare, al pari di un altro orrido figuro, quel Morawiecki dittatore in Polonia.

Ma l’oscar della “truculenta comicità elettorale” va senz’altro ai grillini, in primis al cicisbeo Di Maio, il rampollo della coppia di fatto Grillo-Casaleggio, il Fonzie sterminatore di congiuntivi. Nel documento che pretenderebbe di far sottoscrivere a tutti i partiti il giorno dopo le elezioni, il somarello ha piazzato ben tre strafalcioni: «Io sottoscritto mi impegno a far votare […] una legge che dimezza le indennità dei parlamentari e introduce la rendicontazione puntuale dei rimborsi spesa».

Se la cava un po’ meglio in questo suo pubblico auspicio, che ne contiene uno solo: «Io sono convinto che il voto del 4 marzo parlerà molto chiaro e che il governo del MoVimento 5 Stelle è l’unico possibile».

Come succede non di rado a certi ragazzotti di poca cultura che, rispetto alla media dei loro coetanei, risultano dotati di meno sale in zucca e di più soldi in tasca, il nostro bellimbusto s’è montato la testa fino al punto di infastidire il Presidente Mattarella con l’insistente pretesa di farsi da lui ricevere per renderlo partecipe del “gioco al governo 5 stelle”, un risiko al quale, insieme a tanti “signor nessuno”, s’è prestato perfino un generale dei Carabinieri; cosa, questa, che personalmente m’inquieta quasi quanto lo sfoggio di pettorali, tipo bulletto di borgata, solitamente esibito dal futuro ministro Di Battista in televisione.

Non c’è invece insolenza, ma solo procurata goduria, nelle interviste in cui si vede il “compagno neofita” Grasso mettercela inutilmente tutta per sembrare uno di sinistra. «Mo LeU cus c’uientra sa nun?», si chiedono divertiti, sentendolo parlare in tv, molti che in Valmarecchia militano da sempre nella sinistra.

Risulta evidente come D’Alema gli abbia consentito di intercalare i suoi pensierini con quel “diciamo” di cui “il Massimo dei Massimi” detiene il copyright televisivo e che compendia tutto il suo attuale “pensiero di sinistra”. Grasso sente invece di non essere ancora pronto a dar retta al suo mentore Bersani, che insiste per prestargli la metafora del tacchino sul tetto, o almeno quella del giaguaro da smacchiare, che tanta fortuna hanno portato nell’altra campagna elettorale al PD, dal quale di lì a poco lui se la sarebbe data a gambe.

Le “cose di sinistra” che si sforza di recitare Grasso sembrano certe mie risposte ad un amico notoriamete ipocondriaco. Il quale, sapendomi presidente di un’associazione di volontariato che s’impegna pure a cercare di prevenire le cardiopatie, è convinto che per ciò stesso io ne sappia quanto un cardiologo. Così, quasi ogni giorno, mi chiede ragione di certi sintomi della sera prima; dai quali, guardando su Internet, ha capito stesse arrivandogli un infarto, che poi s’è per fortuna fermato. Allora io, non volendo agitarlo ulteriormente, gli sciorino le mie quattro orecchiate nozioni di simil-cardiologia, con l’aria di padroneggire la materia e, soprattutto, sperando che non vi sia nei pressi un medico ad ascoltarmi.

Nando Piccari