Home___primopianoNo alle suore facce d’aceto, ma sempre sottomesse a qualunque maschio in tonaca

Ma devono essere annunciatrici della Buona Novella o di Retequattro?


No alle suore facce d’aceto, ma sempre sottomesse a qualunque maschio in tonaca


5 Gennaio 2025 / Lia Celi

«A volte nella vita ho trovato qualche suora che aveva la faccia di aceto». Potrebbe essere l’incipit di un brano cantautorale che ricorda spiacevoli esperienze infantili nell’asilo delle monache, o brutti momenti in ospedale, alle prese con certe religiose particolarmente arcigna. E invece, sorpresa: a lamentarsi dell’aspro cipiglio delle suore è stato nientemeno che papa Francesco, il rappresentante in terra del loro sposo celeste, nel corso di un’udienza con le Missionarie della Scuola.

«Questo non è affabile» ha proseguito il pontefice, «non è una cosa che aiuta ad attirare la gente. L’aceto è brutto, e le suore con la faccia di aceto, non parliamone!» Dopodiché Francesco ha raccomandato alle suore di dialogare con tutti, tranne che con il diavolo, abilissimo nell’approfittarsi delle gelosie che sorgono nelle comunità. Per carità, Belzebù ha un sacco di difetti, ma verso le sue dipendenti era più diplomatico dell’ultimo successore di Pietro: quando riuniva le streghe nel sabba non si lamentava certo del loro look poco «affabile», ma suonava per loro il suo magico violino e distribuiva imparzialmente le sue attenzioni a tutte, senza badare a età e leggiadria.

Mi domando come abbiano reagito le Missionarie all’appello del papa a non avere la «faccia di aceto», che, a meno non fosse un riferimento al leggendario fantino sardo (al secolo Andrea Degortes) plurivincitore del Palio di Siena, alludeva alla presunta acidità nell’espressione e nell’atteggiamento delle monache. Probabilmente, in ossequio al voto di obbedienza, le spettatrici avranno tutte istantaneamente sfoderato sorrisi luminosi e fronti spianate.

Ma io spero che Belzebù, anzi, una diavolessa femminista, abbia suggerito loro qualche brontolio. Chi si crede di essere il santo Padre, Silvio Berlusconi buonanima? Si può capire che il tycoon di un network commerciale voglia attirare audience e clienti anche grazie all’appeal invitante delle sue vallette e conduttrici, ma il capo della Chiesa cattolica, testimonial della castità, del celibato, del primato dell’anima sulla carne e delle virtù invisibili su quelle visibili, dovrebbe puntare su atout meno mondani. O almeno, pretendere allettanti sorrisi e affabilità anche da preti, frati, vescovi e cardinali, cosa che a loro riuscirebbe pure più facile, visto che all’interno della Chiesa hanno più prestigio e potere e non sono confinati in ruoli subordinati e ancillari come le religiose.

Che hanno tutto il diritto di non fare buon viso a un gioco sempre più cattivo, dall’omertà sugli abusi sistematici sulle suore in molte chiese africane, allo sfratto di suore anziane e fragili da conventi che la Chiesa vuole destinare ad altro scopo, al trasferimento di superiore giudicate troppo «moderne» dai loro vescovi.

E non parliamo dell’aspetto economico: migliaia di sacerdoti percepiscono uno stipendio, non principesco ma dignitoso, mentre le gerarchie arricciano il naso se un convento femminile arrotonda vendendo marmellate o ospitando a pagamento chi vuole vivere la clausura. Con il pretesto dell’obbedienza a Dio, alle suore si chiede la sottomissione a qualunque maschio in tonaca, primo fra tutti il pontefice, che le vuole anche sorridenti come annunciatrici. Non della Buona novella, ma di Retequattro.

Lia Celi