HomeCronacaGalileo ucciso alla stazione di Rimini, l’incubo di un male senza senso


Galileo ucciso alla stazione di Rimini, l’incubo di un male senza senso


27 Novembre 2021 / Lia Celi

«Più passano i giorni più sale il timore che nella nostra città si aggiri qualcuno che accoltella a morte uno qualunque che aspetta l’autobus». L’allarmata riflessione di un riminese apparsa ieri sul Resto del Carlino è la stessa che mi ronza nella testa, specialmente oggi che devo prendere un treno e mi troverò nel piazzale della stazione più o meno alla stessa ora in cui domenica scorsa è stato assassinato il povero Galileo Landicho. Pare che i controlli in zona siano aumentati, ma non abbastanza da farci passeggiare a cuor leggero al calar della sera in via Dante e in piazzale Battisti. Il killer è ancora uccel di bosco, l’arma del delitto non si trova e non è stato individuato uno straccio di movente.

Non potendo rintracciare l’omicida, gli inquirenti non possono far altro che passare e ripassare al setaccio la vita del povero 74enne, alla ricerca di qualche tassello oscuro che possa metterli sulla pista giusta. E che, nel contempo, possa farci sentire in qualche modo al sicuro: nella nostra vita quel tassello oscuro non c’è, quindi a noi non può capitare quel che è successo al giardiniere di Villa Verucchio, no?

E quanto dormiremmo più tranquilli se le indagini facessero venire a galla una torbida faida nella comunità filippina, che ci permetterebbe di circoscrivere il delitto a una «faccenda dì stranieri». Finora, però, non è emerso nulla di sospetto nell’esistenza specchiata del signor Landicho, e nemmeno fra i suoi familiari o connazionali, persone come tante, tranquille, senza conti in sospeso né scheletri dell’armadio.

E allora nelle menti dei cittadini preoccupati comincia a prendere corpo l’ipotesi dello psicopatico che uccide a caso, per il puro gusto di farlo e sfuggire alla giustizia, tanto più difficile da catturare perché nulla lo lega alla vittima se non il fatto di trovarsi nello stesso posto per uno stesso tragico istante. Non è un sadico che vuole infliggere sofferenza, né un esibizionista che vuole che i giornali parlino di lui – tant’è vero che già due giorni dopo ne parlava solo la stampa locale, anche Chi l’ha visto? gli ha dedicato un appello di pochi minuti. È un boia che ti ammazza sul colpo mirando alla gola, e si volatilizza, alla faccia delle onnipresenti telecamere. Un pazzo alla ricerca di emozioni criminali, che prima o poi avrà bisogno di un’altra dose di adrenalina.

Oppure un aspirante sicario professionista che ha eseguito la «prova d’esame» richiesta da una misteriosa e spietata organizzazione, cioè uccidere freddamente e poi sparire senza lasciare traccia. E se fosse l’adepto di una setta diabolica, la cui iniziazione prevede un assassinio rituale? Difficile trattenere i neuroni dal costruire trame inquietanti, quando la più inquietante è proprio che non ci sia nessuna trama, e che qualcuno abbia ucciso un altro essere umano perché gli girava così e basta. La peggior declinazione del male è il male senza senso.

Intanto i giorni passano e, se è vero che le prime 24 ore sono quelle decisive per smascherare il colpevole di un delitto, la soluzione del giallo potrebbe allontanarsi sempre di più. «Spero davvero che al più presto il killer finisca dietro le sbarre», auspica il lettore del Carlino. Perché i congiunti e gli amici di Galileo Landicho vogliono giustizia, ma la chiede per lui anche un’altra famiglia, quella della gente comune che durante la settimana lavora e nel weekend vede gli amici, e che ogni tanto prende l’autobus dopo il tramonto. Come il giardiniere filippino in quella maledetta domenica di novembre.

Lia Celi