HomeTavolaOsteria Serafina di Bertinoro: una tagliatella non provinciale

Si infiamma il dibattito innescato da Enrico Santini


Osteria Serafina di Bertinoro: una tagliatella non provinciale


21 Marzo 2023 / Giorgio Grossi

Dico la mia nel dibattito sul chi fa la tagliatella migliore, innescato dall’incontenibile ed inesauribile Enrico (Santini).
Consapevole di valicare i geopolitici confini ristretti alla sola provincia riminese della discussione sul piatto.

Motivo la scelta con un paio di riflessioni:

1) L’osteria è localizzata su un territorio nel quale molti riminesi si fiondano (compreso il sottoscritto) per acquistare vini tipici della nostre radici; Sangiovese, Pagadebit, Albana… di eccelsa qualità. Ovviamente un gradino sotto a quelli del Beato Enrico. Da scegliersi in una delle tante tantissime cantine disseminate in zona.

2) L’osteria marca una storia di tutto rispetto. Che inizia a fine Ottocento servendo, come ai tempi era consuetudine, unicamente vino. Posto che il cibo se lo portavano gli avventori da casa. E poi, dopo alcuni anni, sui tavoli fanno la loro comparsa anche cibi della tradizione romagnola, con un servizio semplice (la tovaglia è rigorosamente di carta e il bicchiere unico). E soprattutto i prezzi sono economici. Cosicché, non sempre, ma nelle occasioni speciali, umili braccianti o poveri contadini celebrano ricorrenze familiari o particolari. E tra questi i poeti Pascoli e Carducci, essendo di casa alla Serafina, trascorrono spesso le loro serate,

Chi inizia la storia è la signora Serafina. L’osteria è a Bertinoro, in piazza Guido del Duca. E cosi che ancor oggi si chiama. Ma il locale non è più lì: distrutto nel passaggio del fronte (uno dei più cruenti), viene riaperto negli anni ’80 in via Mazzini e poi in via Roma. L’attuale destinazione, passata in seguito alle travagliate vicissitudini che hanno caratterizzato la vita di varie gestioni, nelle mani dei meldolesi Fabio e Laura.

L’ho fatta lunga (come al solito) per rimarcare che gli attuali gestori hanno rilevato l’osteria continuando una storia che unisce quel calore umano tipico dell’atmosfera gioiosa e spensierata familiare e dell’amicizia, intrecciandolo con la sobrietà degli arredi, del servizio e dei prezzi. E soprattutto il buon cibo delle cose sane e genuine. Tra il quale svetta la regalità di una tagliatella dalla spoja fatta in casa con del ragù che ricorda molto quello di mia nonna. Per l’intensità dell’aroma speziato e l’ottima qualità del macinato.

Testimonianza di una cultura contadina che fa della Romagna un territorio unico. Le cui radici permangono ancora vitali nell’età del cibo fluido globalizzato. Che ha perso identità e anima. E non solo nei fornelli!

Giorgio Grossi