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Le copertine de La Piè, manifesti della Romagna


21 Maggio 2018 / Paolo Zaghini

Antonella Imolesi Pozzi: “La Piè, rivista di illustrazione romagnola. Copertine da collezione” – Fondazione Italo Zetti.

Tra i tanti volumi pervenuti alla Biblioteca “Battarra” di Coriano da parte della famiglia di Gianni Quondamatteo l’anno passato c’erano anche le annate degli anni ’50 e dei primi anni ’60 della rivista “La Piè”. L’emozione e il piacere di vedere e sfogliare quei numeri è stata grandissima. Così come è stato oggi avere tra le mani questo volume (donatomi dall’amico Annio Matteini) curato magnificamente da Antonella Imolesi Pozzi, responsabile dei fondi antichi e della raccolta Piancastelli della Biblioteca Comunale “Saffi” di Forlì, in cui sono pubblicate 136 copertine de “La Piè”, selezionate fra quelle della rivista edite fra il 1920 e il 1986.

Tre i punti su cui soffermarsi che riguardano questo volume: che cos’è la Fondazione Italo Zetti, la storia de “La Piè”, l’uso della xilografia per le copertine della rivista.

Cominciamo dal primo. La Fondazione Italo Zetti nasce nel 1999 e opera nel settore culturale. Studia e valorizza il patrimonio artistico-culturale lasciato dal pittore e incisore milanese (anche se nasce e si forma a Firenze) Italo Zetti (1913-1978). Promuove e sostiene ormai da qualche decennio iniziative (mostre, corsi, pubblicazioni) in favore delle arti dell’incisione (in particolare della la xilografia), dell’ex libris e della calligrafia creativa. Pubblica anche titoli di varia cultura storica: per esempio alcuni anni fa ha edito il volume dell’ammiraglio morcianese Luciano Bigi “Una vita in marina. Dal primo al secondo dopoguerra” (2003). La Fondazione ha sede a Milano ed è presieduta e diretta dalla moglie di Zetti, Bianca Maria Ugolotti.

“La Piè”, il cui primo numero uscì nel gennaio 1920, compirà fra poco 100 anni, tale da risultare la più antica e longeva rivista di cultura romagnola (non considerando gli anni di sospensione dalla stampa imposta dal fascismo fra il 1933 e il 1945). Fondatori il medico Aldo Spallicci (1886-1973) di Bertinoro, il musicista lughese Francesco Balilla Pratella (1880-1955) e lo scrittore forlivese Antonio Beltramelli (1879-1930).

Il nome è preso da “la piè”, la piada romagnola fatta d’acqua, sale e farina e cotta sul testo. “Niente dice più ‘Romagna’ di questo pane nostro” scriveva Spallicci. Con la rivista Spallicci, scrive la Imolesi Pozzi, “si proponeva di rivalutare il patrimonio artistico, artigianale e culturale della Romagna, per creare, attraverso quelle pagine, un punto di aggregazione e di dibattito sulla cultura romagnola contemporanea e sulle tradizioni, dalla musica alle arti figurative, all’artigianato”.

“Con ‘La Piè’ Spallicci tornava a riproporre la peculiarità culturale e territoriale della Romagna, ma senza alludere a un qualche ‘secessionismo’ romagnolo. Il suo progetto si rifaceva piuttosto agli ideali mazziniani e garibaldini del Risorgimento e aspirava a un federalismo nazionale e europeo nei termini di unità nella diversità, come bene precisò nel 1946, quando, da parlamentare, presentò alla Costituente [era deputato repubblicano] la richiesta di istituire la Regione Romagna”.

Ed ancora: “La costruzione dell’identità romagnola attraverso le pagine della rivista, perseguita da Spallicci anche con la sua attività poetica e saggistica, mirava ad una sorte di ‘invenzione’ della tradizione, ed ebbe una notevole incidenza nel panorama regionale, riuscendo ad organizzare, in un lavoro unitario, un cenacolo di intellettuali che ne condividevano gli intenti, attraverso il culto delle memorie, la valorizzazione del dialetto, attraverso iniziative come i ‘trebbi’ poetici, la creazione del canzoniere dei ‘Canterini romagnoli’, fino all’organizzazione dei musei etnografici e delle esposizioni dell’artigianato tipico, come le ‘Esposizioni Romagnole Riunite’, allestite a Forlì nel 1921”.

Sono tantissimi gli autori che hanno scritto su “La Piè”: ne cito solo alcuni Alfredo Panzini, Marino Moretti, Piero Zama, Augusto Vasina, don Francesco Fuschini, Luigi Lotti, Icilio Missiroli, Pietro Zangheri, Libero Ercolani, Giuseppe Bellosi, Dino Pieri. Il gotha del romagnolismo, laico e cattolico. Ma rimane sempre valida per molti di loro l’annotazione che faceva Renato Zangheri a proposito del riminese Luigi Pasquini: “Il suo mondo è quello degli artisti e scrittori di memorie cittadine incapaci di riscattare gli studi locali, abbandonati ‘al luogo comune etnico che surroga la storia’”. Ovvero il mondo non può essere rinchiuso nella pura conoscenza di un ‘piccolo mondo’.

Eppure, nel bene e nel male, questi autori, questa e altre riviste romagnole, sono servite a far crescere, attraverso le ricerche storiche locali, lo studio delle tradizioni e del dialetto, la consapevolezza di una unità territoriale, la Romagna, che certamente non esisteva sino a fine Ottocento. Oggi possiamo parlare di regione o area vasta sicuramente con più cognizione di causa per una comune appartenenza che serva non a chiudersi, ma invece ad aprirsi al resto d’Italia e all’Europa.

Le copertine, a cui questo bel volume è dedicato, sono il biglietto da visita della rivista. Esse “dovevano evocare un sentimento di appartenenza alla storia di un luogo, rappresentando in modo semplice, abbreviato ed efficace gli oggetti, i simboli e le consuetudini del territorio romagnolo”.

“La Piè”, come altre riviste romagnole, usò da subito copertine incise in xilografia. La Romagna vantava una lunga tradizione nell’impiego di questa tecnica, che “da secoli era utilizzata per decorare tovaglie, tende, copriletti e soprattutto coperte per i buoi”. La xilografia è un procedimento di stampa con matrici lignee, incise a rilievo. Tecnica tra le più semplici e antiche per stampare motivi ornamentali, figure o caratteri su stoffa o altro materiale.

“Gli anni migliori in cui la rivista si fregiava di copertine che erano vere e proprie opere d’arte originali furono quelli che vanno dal 1920 al 1933”. Opere realizzate da grandi artisti come Giannetto Malmerendi (1893-1968), Antonello Moroni (1889-1929), Francesco Nonni (1885-1976), Francesco Olivucci (1899-1985), Giuseppe Ugonia (1881-1944). Mentre le penne riminesi su “La Piè” sono ben poche (a memoria i primi che mi vengono in mente in anni ormai lontani Nevio Matteini, mentre in anni più recenti Oreste Delucca), i disegni dei pittori Luigi Pasquini (1897-1977) e Gino Ravaioli (1895-1982) compaiono sulle pagine e le copertine della rivista più volte.

“Le loro copertine – scrive la Imolesi Pozzi – realizzate in xilografia a monocromo o a colori, recuperano spesso motivi e decori delle vele romagnole, delle tele stampate, dei plaustri o delle ceramiche d’uso quotidiano, oppure illustrano il volgere delle stagioni e i momenti legati l lavoro dei campi e della pesca ed esprimono la loro vocazione al regionalismo, alla rappresentazione naturalistica delle attività agricole e l’attenzione ai modi di vita della provincia romagnola, rurale e preindustriale, in un tempo che si colloca fra gli anni Venti e gli anni Trenta del Novecento, in bilico fra conservazione e nostalgia del passato e spinta alla modernità, raggiungendo esiti di grande poesia e trasformando in simboli gli elementi di una realtà povera e feriale”.

Paolo Zaghini