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Ma di quegli anni niente voce alle vittime


18 Marzo 2018 / Lia Celi

«Ma come, erano terroristi, hanno ucciso persone innocenti, e ora sono liberi e tranquilli?» Così mia figlia diciannovenne, di fronte all’ultima puntata di «Atlantide», la ricostruzione del sequestro di Aldo Moro curata da Andrea Purgatori per la 7.

Mario Moretti, Valerio Morucci e tutte le tristi e truci maschere del teatrino che ha appesantito la mia preadolescenza, di nuovo in scena per un nuovo pubblico. Meno attrezzato e più ingenuo, ma che proprio per questo, come il bambino della favola di Andersen, riesce a meravigliarsi perché il re è nudo e il terrorista è libero.

E pure in formissima: il tipico 60-70enne italiano in bilico fra autocompiacimento e vittimismo, «noi sì che…» ecc. ecc. Ma quello che fa più effetto sui ragazzi di oggi non è l’aura maledetta degli ex bierre, che scrivono libri e dilagano sui social, e nemmeno le loro autobiografie di ragazzi illusi e delusi dall’Italia ancora dura e classista degli anni Sessanta-Settanta. Dei reduci degli anni di piombo colpisce di più la proprietà di linguaggio e una «serietà» che oggi sono difficilmente rintracciabili, non solo negli esponenti dell’antagonismo, ma anche e soprattutto nella classe dirigente, basta vedere e ascoltare chi è stato mandato in Parlamento in quest’ultima tornata elettorale.

I vecchi brigatisti, quanto a comunicazione, appartengono alla stessa scuola dei politici che li condannavano: non sentivano nessun bisogno di essere simpatici, comprensibili, vicini al popolo. Aldo Moro ammetteva di essere in grado di parlare per ore senza dire niente, e i comunicati delle Br, al netto delle parole d’ordine sullo Stato imperialista delle multinazionali, erano scritti in astruso e soporifero politichese anni Settanta.

Certo, qui non si tratta di stabilire se sia meglio la sinistra autorevolezza di Moretti o la retorica populista a propulsione d’aria fritta di tanti politici di oggi, che avranno tutti i difetti del mondo ma non hanno mai rapito o ammazzato nessuno. Fatto sta che vedere intervistati gli ex brigatisti senza contraddittorio, sullo sfondo di placidi tinelli o tranquille piazzette, confonde leggermente le idee a una generazione che noi adulti accusiamo di essere senza valori, e che oggi potrebbe con qualche ragione replicare «e voi, che date voce ai rapitori di Aldo Moro come se fossero dei superstiti, e non gli autori di quel delitto?».

L’informazione, quando diventa ricostruzione storica, dovrebbe dare voce soprattutto a chi l’ha persa per sempre, e cioè alle vittime, e rintuzzare le voci degli assassini, specie quando si atteggiano a eroi incompresi.

Tanto oggi possono farlo su Facebook, come Barbara Balzerani, la «compagna Sara» del commando che rapì Moro, condannata all’ergastolo. Oggi è libera, fa la scrittrice e sui social chiede scherzosamente asilo all’estero per evitare «i fasti del quarantennale», riuscendo a far notizia giusto in tempo per l’uscita del suo ultimo romanzo. L’obiettivo non è più portare l’attacco al cuore dello Stato, ma alle classifiche di vendita.

Lia Celi @liaceli.it