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Quella mirabile anomalia che è il Tempio Malatestiano di Rimini


4 Ottobre 2020 / Paolo Zaghini

“L’umanesimo cristiano del Tempio Malatestiano. Percorsi di riscoperta artistica, teologica e sapienziale” A cura di Johnny Farabegoli e Natalino Valentini – Minerva.

Un libro affascinante che racconta, da molti punti di vista, una sola storia: quella del Tempio Malatestiano di Rimini. Il volume raccoglie gli interventi svolti nel corso del ciclo di conferenze (svoltesi fra novembre e dicembre 2014) promosso dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose (ISSR) “Alberto Marvelli” congiuntamente alla Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini e al Comune di Rimini.

Scrive in apertura Natalino Valentini, direttore dell’ISSR “Marvelli”: “Il Tempio Malatestiano di Rimini non è solo un bene culturale di grande pregio artistico e architettonico internazionalmente riconosciuto, certamente l’edificio più significativo dell’Umanesimo europeo, ma anche il simbolo identitario della città e della Chiesa riminese (oggi anche Basilica Cattedrale)”.

Ma il fine di molti degli interventi è quello di dimostrarne il valore intrinseco per il cattolicesimo. Il Vescovo Francesco Lambiasi: “Amo la mia-nostra Cattedrale perché mi riflette il volto di Dio che non si presenta come un geloso rivale e invidioso antagonista dell’Uomo, ma come suo potente e misericordioso alleato. E’ un Dio che ci ha fatti per volare alto, verso di lui, con le due ali della ragione e della fede, come – nella stessa spaziosa aula del duomo – propongono gli emblemi della sapienza greca attraverso le figure mitologiche di sibille, eroi, putti e muse, da una parte, e, dall’altra, le immagini della più genuina visione cristiana: virtù teologali e cardinali, santi, angeli e stelle”.

Ancora Valentini: “Il Tempio Malatestiano rappresenta ancora oggi un potenziale centro d’irradiazione culturale e spirituale: un punto d’incontro e di confronto tra i nuclei misterici della vita cristiana e la cultura laica, tra teologia e filosofia, tra fede e ragione, tra ‘Logos’ e ‘Sophia’”.

Facciamo un passo indietro. Dopo i gravi danni subiti nel corso della Seconda Guerra Mondiale, il Tempio venne restaurato (i lavori si conclusero nel 1950). Il 21 settembre 1950 il Tempio fu riconsacrato e riaperto al culto. Nel 1951 don Domenico Garattoni, canonico della cattedrale, pubblicò “un piccolo opuscolo ‘apologetico’, dal titolo significativo ‘Il Tempio Malatestiano. Leggenda e realtà’, in cui di fatto viene sollecitato dopo il restauro ‘materiale’, quello che dovrebbe essere un vero e proprio restauro ‘immateriale’” scrive Johnny Farabegoli. Scriveva infatti don Garattoni: “Un ripristino che ridoni in pieno al Malatestiano la sua fisionomia, il suo carattere, la sua efficienza di Tempio Cristiano, che gli sono stati menomati e tolti, come ne è stato falsato il concetto e la rinomanza, con leggende, fantasticherie e assurdità senza fine”.

Ma Antonio Paolucci, citato nell’intervento di Crispino Valenziano, dirà: “Il Tempio Malatestiano di Rimini è una mirabile anomalia. Ed è anche un insieme altrettanto mirabile di contraddizioni”.

Possiamo dire che il tutto nacque dalla guerra senza esclusioni di colpi fra Sigismondo Malatesta e il Papa Pio II, al secolo Enea Silvio Piccolomini. Quest’ultimo nei suoi “Commentarii” scrisse: “[Sigismondo] edificò in Rimini un nobile tempio in onore di san Francesco, ma lo riempì a tal punto di immagini e di simboli dei gentili che sembrò un tempio non di cristiani, ma di infedeli adoratori di demoni, e in esso eresse un sepolcro alla sua concubina elegantissimamente abbellito di artistiche sculture, e vi aggiunse un’iscrizione a mò dei pagani che suonava così: ‘dedicato alla diva Isotta’”.

Pier Giorgio Pasini si sofferma a lungo su questa valutazione e ‘legge’ il pensiero e l’azione del tecnico costruttore, Leon battista Alberti: “La chiesa malatestiana nell’intenzioni dell’Alberti avrebbe dovuto essere insieme ‘nuova’ e ‘antica’ tanto per i suoi messaggi quanto per le sue forme e la lode del Creatore senza dubbio ne avrebbe dovuto costituire un elemento fondamentale insieme a quello del succedersi del tempo, che ci porta a considerare l’eternità e l’immensità della Divinità”. Ma Pasini aggiunge anche che “Sigismondo avrebbe fatto costruire il tempio solo per glorificare se stesso e per tramandare ai posteri la sua gloria (…). Nel Tempio i richiami a Sigismondo e alla sua famiglia sono sparsi ovunque e sono decisamente tanti da far sembrare la religione un semplice pretesto per la smodata ambizione di un principe che crede nell’’eternità’ della storia degli uomini più che in quella di Dio e che è interessato solo a tramandare ai posteri la sua gloria”. Ma sarebbe bene “abbandonare definitivamente le insinuazioni malevole e le invettive di questo pontefice astioso che tanto male ha arrecato a Sigismondo e alla sua fama, e tanti equivoci ha contribuito a creare sul Tempio malatestiano”.

Giovanni Grandi torna sugli elementi architettonici: “Il Tempio Malatestiano è una delle espressioni rinascimentali – forse la più acuta – del problema culturale e concettuale della ricomposizione dei motivi pagani e cristiani”.

Approfondisce la questione Elena Filippi: “Il Tempio Malatestiano è l’opera che forse meglio di altre rivela le risorse di umanista sapiente di Leon battista Alberti, costituendo una mirabile sintesi di confronto con la tradizione del mondo antico e, al tempo stesso, annuncio dell’orizzonte di senso del mondo rinascimentale e moderno, fatto anche di scelte coraggiose e perfino di contraddizioni, comunque di apertura a un certo sincretismo. Che questo costituisca invero un tratto saliente dell’Umanesimo, anche nella sua declinazione cristiana, è un dato portato alla luce dalla critica soprattutto in tempi recenti”.

Anche Nevio Genghini torna su questa commistione di interessi: “Il Tempio Malatestiano è lo specchio di un’ambizione che animò e tormentò le menti più acute dell’Umanesimo: riconciliare Oriente e Occidente, Atene e Gerusalemme”.

La conclusione tratta da Valentini è che il Tempio Malatestiano è una straordinaria espressione dell’Umanesimo “che se, di fatto, adotta linguaggi artistici ed espressivi dedotti da un codice culturale appartenente alla classicità, riesce comunque a declinarli, sapientemente, secondo una profonda e coerente continuità con la grande tradizione metafisica e spirituale cristiana”. Ma, come riconosce laicamente Massimo Pasquinelli, “critici dell’arte e studiosi d’iconografia hanno scritto e continueranno a pubblicare preziosi contributi sul Tempio Malatestiano partendo dalla personale formazione culturale, storica e filosofica”.

Paolo Zaghini