HomeCronache MalatestianeQui fra noi rustici per pudore i migliori poeti si nascondono


Qui fra noi rustici per pudore i migliori poeti si nascondono


12 Novembre 2022 / Giuliano Bonizzato

Ai tempi in cui, studente in Legge, collaboravo free lance al Resto del Carlino come cronista giudiziario, ebbi modo di frequentare spesso Luigi Pasquini, elzevirista principe del giornale, che era stato anche mio insegnante di Disegno alle Medie.

Quel giorno il Professore era in vena di confidenze, cosa che per la verità non gli capitava troppo spesso. Fu così che, passeggiando in Piazza Cavour dopo essere usciti assieme dalla redazione, mi disse: “Senti, Gibo. Oggi ho scritto un pezzo che sono certo piacerà a molti. Ma sta pur sicuro che nessuno me lo verrà a dire. Perché da noi sono pochi quelli che ti battono una mano sulla spalla!”.

Ho ricordato questo episodio, in “Cronache Malatestiane del Terzo Millennio” (2001 Raffaelli Editore) dove osservavo che questa caratteristica dei riminesi deriva, a mio sommesso avviso, non tanto da rusticità o addirittura invidia, quanto da una sorta di riservatezza e quasi di pudore dei propri sentimenti.

A distanza di vent’anni sento di dover aggiungere qualcosa a quel mio giudizio.
E scusate se devo partire da lontano rifacendomi agli antichi Greci. I quali definivano con la parola hubris, il difetto di chi ostenta superiorità e pecca quindi di arroganza e presunzione. Questo modo di comportarsi, che in Romagna potrebbe essere tradotto efficacemente con il termine “sburonaggine”, irritava parecchio gli Dei. I quali reagivano. E come!

Icaro, con le sue ali incollate con la cera, pretende di volare alto come il sole, nonostante i saggi consigli di Papà Dedalo? Giù a sfracellarsi nel mare… Il Titano Prometeo ruba il fuoco agli amici per consegnarlo agli uomini? Et voila! Nudo e legato a una roccia con un aquila a mangiargli perennemente il fegato… Niobe che ha dodici figli, sburoneggia con Giunone che ne ha solo due? Zip, zip, arrivano le freccine a farle fuori uno per uno gli amati pargoli… Eccetera eccetera.

Da quanto sopra esposto consegue la funzione benefica di coloro che, in tutti i modi, vuoi con una voluta indifferenza, vuoi con una ben calibrata pernacchietta dietro i portici, cercano di impedire che tu ti monti troppo la testa, ti creda un padreterno, diventi insomma, un insopportabile “sburone” inviso agli Dei… e agli amici.
Rusticità? Macchè! Puro e semplice altruismo!

Ciò non significa affatto che, da noi, non si riconoscano i meriti. Quegli stessi riminesi che non battevano mai la mano sulla spalla di Pasquini, si ritagliavano poi il suo articolo e magari lo tenevano pure nel portafoglio come ho avuto modo di constatare personalmente. Ed erano gli stessi “rustici” riminesi che riempirono le piazze e le strade ai funerali di Federico.

Gli stessi che ora rischiano addirittura (Dio non voglia) di trasformare Rimini in… Felliniland. E che, al Teatro Novelli, nelle serate musicali organizzate da Minni Torsani in memoria di Glauco Cosmi, si alzavano in piedi tutti assieme, commossi, un vera folla plaudente, quando Uto Ughi, deposto il violino, ricordava l’appassionato creatore e anima della Sagra Musicale Malatestiana dove lui, Uto, grazie a questo instancabile scopritore di talenti, aveva debuttato giovanissimo.

Già, Glauco. “Rustico” anch’egli al punto che solo dopo la sua scomparsa vennero scoperte dalla sorella Rossana, per puro caso, nascoste in mezzo a mille scartafacci, le stupende poesie piene di sentimento e umanità, poi pubblicate con il titolo “A vòj ragnè se mond” (Voglio litigare col mondo). Quei versi che non avrebbe mai dato alle stampe di sua volontà e che ora fanno di lui, per unanime consenso della critica, il più grande poeta dialettale riminese.

Giuliano Bonizzato

(nell’immagine in apertura: 25 settembre 1983. Rimini, Teatro Novelli. Glauco Cosmi con Federico Fellini alla presentazione del film “E la nave va”)