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Alle pagine stupide e provocatorie sarebbe molto meglio non rispondere con le invettive e le carte bollate, ma con contenuti digitali più spiritosi e intelligenti


Rimini deve imparare a nuotare nel mare social, torbido e zozzo


3 Settembre 2023 / Lia Celi

Se il mare di Rimini è veramente riminese, l’ironia social gli fa un baffo. Non se la tira, si piace con i suoi pregi e i suoi difetti, se ne infischia di non essere cristallino come quello della Sardegna o delle Seychelles, e non dà agli immeritevoli umani in vacanza di credersi in un paradiso terrestre incontaminato, in cui riposarsi della fatica di inquinare il pianeta nel resto dell’anno. E se qualche leone da tastiera lo deride, lo chiama sporco o inquinato, o lo pubblica foto fake, com’è accaduto nelle scorse settimane, il nostro mare scrolla un po’ le sue onde e torna ad accarezzare la spiaggia più accogliente e organizzata d’Italia e forse del mondo. Con le sue centinaia di millenni sulle spalle, lui conosce già la prima legge dei social, “don’t feed the troll”, non dare corda al diffamatore digitale. Raccogliere la sua sfida è il modo più sicuro per trasformare la shitstorm in un uragano di cui si uscirà peggio di come ci si è entrati. Perché il troll, a differenza della sua vittima, si nutre delle sue reazioni, anzi, ne è ghiotto; inoltre non è mosso dal risentimento, che rende antipatici e poco brillanti, ma semplicemente dalla voglia di mettersi in mostra, oltre che dall’abbondanza di tempo da perdere.

Non la pensa così Federalberghi, che ha querelato due pagine Facebook, “Commenti memorabili” e “Pastorizia never dies”, per diffamazione aggravata a mezzo social network, e che, per bocca della sua presidente Patrizia de Rinaldis, ha chiesto punizioni esemplari per l’offesa «alla dignità umana e all’economia del territorio», lamentando con accenti accorati il colpo basso a una zona recentemente provata da una catastrofica alluvione.

A voler cavillare, i diffamatori se la sono presa soltanto con il mare, non con l’industria dell’ospitalità rappresentata da Federalberghi, che quindi ha solo parzialmente voce in capitolo. Oltretutto i post e i meme sono chiaramente grotteschi e iperbolici: chi sa come funziona l’ironia in rete non si scompone più di tanto – e infatti nei commenti si registra sì qualche consenso da parte di riminòfobi che qui non ci verrebbero mai, social o non social, ma sono molte di più le repliche di chi il nostro mare pacioccone lo ama e lo stima. Sì certo, fa un po’ impressione vedere il nostro mare diventare lo zimbello della rete a pochi mesi dall’alluvione che ha messo in ginocchio la Riviera e dall’unanime coro laudatorio verso i bagnini resilienti che sgobbavano h24 per mettere tutto a posto alla vigilia della stagione turistica. Ma l’opinione pubblica, e quella social in particolare, è fatta così: va e viene, alterna tempeste e bonacce, i like sono soggetti a flussi e riflussi, proprio come il mare. Un giorno sei sulla cresta dell’onda e quello dopo l’onda sommerge e ti sbatte sulla riva.

Nel mare social, quello sì torbido e zozzo, non tutti sanno nuotare da professionisti, ma bisognerebbe imparare almeno a starci a galla e soprattutto a non bere, o meglio, a non abboccare agli ami gettati dai troll. Insomma, alle pagine stupide e provocatorie sarebbe molto meglio non rispondere con le invettive e le carte bollate, ma con contenuti digitali più spiritosi e intelligenti, che riaffermino non solo la salubrità del nostro mare, ma anche la qualità umana di chi abita e lavora sulle sue sponde. Per inciso, per il nostro turismo certe campagne promozionali malfatte possono essere più dannose di qualche pagina impertinente. Oltretutto il troll lavora gratis, mentre “Open to meraviglia” è costata alle casse dello Stato circa mezzo milione di euro.

Lia Celi