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Rimini in maschera, quando il Carnevale era una cosa seria


19 Dicembre 2016 / Paolo Zaghini

Manlio Masini: “Rimini in maschera. Il Carnevale tra Otto e Novecento” Pazzini Editore.

Un divertissement puro l’ultima fatica di Manlio Masini, giornalista e studioso di storia locale, giocato spigolando fra le cronache di fine Ottocento e la belle epoque riminese fino al dramma della Prima Guerra Mondiale. La festa del carnevale, dunque, per leggere le vicende della società riminese e i riti del divertimento nei giorni in cui “il disordine sociale” era consentito ed ammesso, sino al ritorno alla normalità della vita di tutti i giorni.

“Rimini non si è mai sottratta al rituale del Carnevale e nell’arco della sua storia ha espresso una svariata tipologia di festeggiamenti, alcuni dei quali, sebbene in forme diverse, hanno continuato a riproporsi anche dopo la costituzione del Regno d’Italia, come, per esempio, le mascherate lungo la Strada Maestra (Corso d’Augusto), i festeggiamenti in Piazza della Fontana (Piazza Cavour), la musica, le recite o le accademie nei vari teatri pubblici, privati o parrocchiali”.

A partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento, con la diffusione della stampa locale, le cronache dei giornali di Rimini si riempiono di una gran quantità di notizie sul Carnevale. Ed è da queste pubblicazioni che Masini pesca le informazioni del libro.

“Il Carnevale non si esauriva nella sfilata dei carri e nel piacere di ritrovarsi ‘a fare casino’ – diremmo oggi – per le strade; a questi due caratteristici momenti si aggiungevano le manifestazioni di contorno, promosse dal Municipio attraverso specifici comitati organizzatori. Tra queste, la ‘gara dei moccoletti’, che impegnava i partecipanti nello spegnere le altrui candele; la ‘corsa degli asini’; i concerti, le tombole, le lotterie, i fuochi d’artificio, le luminarie fantastiche delle due piazze e, per i più piccoli, i burattini. E poi, per rendere partecipi anche gli abitanti di città, c’erano i premi ai balconi maggiormente illuminati”.

Naturalmente c’è grande attenzione da parte delle cronache ai luoghi deputati agli eventi: “lo sfarzo delle veglie danzanti al Vittorio Emanuele, due o tre per stagione, attese e sospirate per un anno intero, sono la delizia dei nostri cronisti, che le descrivono nei loro aspetti più gai e mondani, misurando di volta in volta l’efficienza organizzativa e il successo della serata dal numero dei presenti, dall’eleganza delle toilette, dalla riuscita della cena, della musica, delle maschere e … dall’allegria”.

Ma anche per quelle del Casino Civico, ritrovo dell’aristocrazia locale (“uno dei templi dove il brioso rituale del periodo più spensierato dell’anno è celebrato nello sfarzo più eccelso”) o del Circolo Cittadino, punto d’incontro della borghesia riminese (“il ritrovo più spigliato della città, con feste e ricevimenti che nulla hanno da invidiare per sfarzo e allegria a quelli del Casino Civico”). Nei decenni di fine Ottocento le due realtà si contenderanno il “primato del divertimento di Carnevale”.

Nei giorni del Carnevale si balla dappertutto, nelle sale pubbliche e nelle case private. Masini si sofferma in particolare su “le tre perle del Carnevale riminese di prima della guerra”: il Ballo della Croce Rossa del 28 gennaio 1913 nei saloni del nuovo Palace Hotel del cavaliere Pietro Palloni; il Gran Ballo con cotillon a beneficio della Croce Verde il 13 febbraio 1914 al Politeama Riminese; il Veglionissimo della Stampa del 16 febbraio 1915 al Teatro Vittorio Emanuele II. “Su questi tre avvenimenti la città, a detta degli opinionisti, ha espresso il meglio del brio, dell’eleganza e della solidarietà”.

Un capitolo finale divertente è quello dedicato al tango. Il Corriere Riminese il 18 febbraio 1914, parlando del Gran Ballo della Croce Verde, scrive “si è ballato un po’ di tutto; meno il tango … peccaminoso che non ha ancora fatto (purtroppo) capolino in nessuna delle nostre riunioni eleganti”. Condannato dalle gerarchie ecclesiastiche, vietato agli ufficiali e bandito nelle feste di gala, il tango riempie però le cronache cittadine. Condannato sia dai giornali cattolici che da quelli liberali. Ed anche dai futuristi di Marinetti. Ma il vortice del tango non sarà frenato da nessuno di questi, e terminata la guerra, esploderà con tutta la sua carica sensuale nell’intera Europa.

Paolo Zaghini