HomeCulturaE a Rimini Mattarella avrà pensato alla Prova d’orchestra di Fellini


E a Rimini Mattarella avrà pensato alla Prova d’orchestra di Fellini


4 Agosto 2019 / Lia Celi

C’era più di un motivo per essere presenti ieri sera alle Nozze di Figaro andate in scena al Teatro Galli per l’inaugurazione della Sagra Musicale Malatestiana. Anzi, più di tre, contando la bellezza dell’opera mozartiana, la presenza sul podio del direttore di una leggenda vivente come Riccardo Muti e quella, in platea, del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Il quarto era l’occasione, più unica che rara in agosto a Rimini, di vedere uomini vestiti decentemente, con pantaloni lunghi, giacca e cravatta, o addirittura papillon. Un fenomeno più raro della nidificazione del fratino sulle nostre spiagge. Giusto per il Presidente della Repubblica il maschio riminese poteva rinunciare ai bermuda d’ordinanza da maggio a ottobre, e solo perché il dress code lo richiedeva esplicitamente.

Ma il Capo dello Stato al Galli aveva ben altro da fare che ispezionare l’abbigliamento degli spettatori maschi. Più che ascoltare le immortali arie di Fiordiligi e Dorabella doveva tenere d’occhio il maestro Muti per osservare sul campo, e possibilmente imparare, come si riesce a mettere d’accordo un ensemble di strumenti dai suoni diversi a farli suonare tutti nel rispetto di uno stessa carta fondamentale, lo spartito di Mozart nel caso di Muti, la Costituzione per Mattarella.

Forse era il caso di portare d’imperio al teatro Galli pure Elisabetta Alberti Casellati e Roberto Fico, rispettivamente presidenti di Senato e Camera, perché prendessero appunti; e di tempo libero ne hanno, considerato che le due aule chiudono i battenti fino al 9 settembre. Anzi, potrebbero seguire tutti i concerti della Sagra con profitto per le nostre istituzioni.

Sia il Senato che la Camera che le orchestre sinfoniche sono emicicli, il che fa del complesso musicale lo spunto perfetto per metafore politiche: lo dimostrò Fellini con uno dei suoi ultimi film, Prova d’orchestra, appunto.

Lo ricordate? Uscì nel 1979, e raccontava di un gruppo di orchestrali che progressivamente, blanditi e adulati nella loro voglia di protagonismo da una troupe televisiva, cedono al narcisismo e all’autocompiacimento individualistico per il loro strumento, si ribellano al direttore avanzando pretese sempre più folli.

A un certo punto si sbarazzano del direttore, non più necessario perché “la musica deve darsi il tempo da sola”, e lo sostituiscono con un enorme metronomo. Ma una gigantesca palla da bulldozer abbatte la parete dell’auditorium dove si svolge la prova, nella devastazione generale la defenestrata bacchetta riprende il potere, e il direttore diventa dittatore, con tanto di accento tedesco e voce stentorea.

A quarant’anni di distanza il film di Fellini mette i brividi molto più che all’epoca della sua uscita, perché oggi in Italia sembra di essere a tre quarti del film, quando ognuno nell’orchestra fa quello che gli pare e con gli spartiti ci si pulisce il sedere, ed è imminente l’arrivo della palla demolitrice, mentre il direttore, estromesso e sbeffeggiato, se ne sta chiuso in camerino a suonare il pianoforte.

Dobbiamo aspettarcelo in autunno, lo choc che ammutolirà tutti e li indurrà a invocare le maniere forti? Forse è meglio adottare come mantra la cabaletta che chiude le Nozze di Figaro: Fortunato l’uom che prende/ogni cosa per buon verso/e tra i casi e le vicende/da ragion guidar si fa. L’autore di questi versi, Lorenzo da Ponte, a quasi sessant’anni emigrò a New York. Ma non ditelo a Mattarella.