HomeCulturaRimini, Riccione, Roma, Baghdad: e la poesia svela un pezzo di grande storia dimenticata


Rimini, Riccione, Roma, Baghdad: e la poesia svela un pezzo di grande storia dimenticata


13 Settembre 2020 / Paolo Zaghini

Rosita Copioli: “Le figlie di Gailani e mia madre” – Franco Maria Ricci.

Un labirinto. Storico e culturale. Dove tutti i sentieri però alla fine si incrociano. Questo è il nuovo libro, un racconto in versi, della poetessa Rosita Copioli. Un libro strano, di non facile lettura, ma sicuramente avvolgente e coinvolgente nel suo srotolarsi nel tempo e nello spazio. Edito dal più raffinato editore italiano, Franco Maria Ricci, scomparso solo pochi giorni fa.

Scrive nel Prologo il saggista e critico letterario Pietro Citati: “Cara Rosita mi piace moltissimo la forma generale, che non ha altri esempi consimili. Spesso hai scritto libri, anche di prosa, che non assomigliano a nessuno”.

La storia narrata nel libro nasce da un evento personale: l’Autrice ritrova in un cassetto della madre riccionese Luisa alcune foto e poche lettere a Lei scritte nel primo dopoguerra dalle figlie di Rashid Ali al-Gaylani (1892-1965), uomo politico iracheno, più volte ministro e Primo Ministro del Regno dell’Iraq negli anni Trenta e primi anni Quaranta, tra i fondatori del partito arabo nazionalista, profondamente contrario alla presenza inglese nel suo Paese e per questo, fra il 1940 e il 1941, cercò accordi con l’Italia fascista e la Germania nazista.

Il 1° aprile 1941 organizzò un colpo di stato che portò l’Iraq ad una breve guerra, persa, con la Gran Bretagna. A fine maggio 1941 Gaylani riparò prima in Iran e poi in Italia. Dopo la sconfitta della Germania trovò rifugio in Arabia Saudita, fino al 1958 quando rientrò in Iraq a seguito della rivoluzione che abbatté la monarchia. Ma ancora una volta tramò contro il nuovo governo iracheno organizzando una rivolta. Questa fu sventata e Gaylani condannato a morte. Graziato, gli fu consentito di espatriare e di riparare in Libano, dove visse fino alla morte nel 1965, all’età di 72 anni.

Nel 1945 gli inglesi allestirono sulla costa romagnola un grande campo di concentramento per i soldati tedeschi, e i loro alleati (turkmeni, SS fiamminghi, francesi, danesi, norvegesi, baltici, estoni, lettoni, cosacchi, polacchi, ucraini e anche italiani della RSI). Di questa vicenda gli storici se ne sono occupati più volte. Invece, come scrive la Copioli, “si sa pochissimo dei due campi femminili [a Riccione e a Misano], che raccoglievano ausiliarie, simpatizzanti dei regimi, e anche donne pregiudicate e pure di malaffare che alla colonia ferrarese dell’Abissinia, gestita dai canadesi, richiamavano i passanti”.

E’ qui, nel campo di Riccione, che le tre figlie di Gaylani, Widad, Neijle e Nabila, erano state imprigionate dopo la fuga del padre dall’Italia. La Copioli racconta che la madre le aveva incontrate nell’estate 1946, “aveva portato loro aiuti, che credevo provenissero dal Vaticano”, e si ferma qui.”Mia madre era sempre stata vaga. Non avevo molti indizi”. La curiosità dà vita ad una ampia ricerca, ma alla fine è la poesia a prevalere e a farsi racconto.

E nel volume la storia, che ha inizio a Riccione, prosegue facendo incontrare al tempo della Seconda Guerra Mondiale, mondi imprevedibili e distanti, unendo persone lontanissime. Si allarga alla guerra e al dopoguerra, agli intricati assetti mediorientali. Una storia priva di confini.

Terribile la descrizione che fa della Linea gotica: “Infuriavano le battaglie della Linea gotica / – ingegnosa strategia della ‘ritirata combattuta’ / ideata già nel ’43 / che un bavarese precisissimo costruì come un puzzle / gioco d’ingegneria terrestre da Pesaro a Massa / bunker caverne trincee reticolati torrette di pantera cavalli di frisia / rifugi fossati postazioni anticarro e mortaio e per tiratori scelti / nidi di mitragliatrici panzernest nidi d’acciaio corazzato / a disegni svariati di superficie e interrati / campi minati mine antiuomo”.

Molto più poetica l’immagine di Baghdad: “Ma sulle rive del Tigri / mentre Baghdad era ancora impero ottomano / – non più il cuore della Mille e una notte di Harun al Rashid / che scambiava doni sontuosi con Carlo Magno / inclusa la Terra Santa il Santo Sepolcro / – una città di stradine strette, / di punti precari – ma sempre / una città avviata come il Medio Oriente / alla piena internazionalità / degli imperi – / furono dolci i frutteti di palme di dattero di fichi di mandorli, / i meli i peri gli albicocchi i peschi i susini le vigne, / i campi di grano e di orzo più lontani con le fattorie degli animali / i primi più antichi giardini fioriti / intorno alla casa bianca di campagna / dove era nato Rashid”. Harun al-Rashid (766-808), fu Califfo, ma la sua fama riposa soprattutto sul ruolo favoloso attribuitogli dalle Mille e una notte.

Rimini, Riccione, Roma, Baghdad. La mamma Luisa, le ragazze Gaylani, Rashid Ali al-Gaylani, Mussolini, Hitler. Un poema intriso di memorie, di sofferenze e di sangue.

Scrive ancora Citati: “Non ti basta di scavare dove sono sepolti.. Vuoi che siano, che siate, una cosa sola: che l’invisibile torni visibile, con le stesse vibrazioni delle creature incarnate. Perciò li riporti alla luce, li ricrei, li salvi. Ed è come se non fossero mai morti”.

Per concludere: “La poesia diventa racconto: una marea alta della storia – come nell’epica antica e nei poemi medievali. Non avresti potuto scrivere in prosa, perché soltanto i versi possono dare corpo alle ondate sempre rinnovate, che trascinano e sommergono, e tornano a rinnalzare. Nuotando, dici, ‘ti fidi dell’impossibile’. Proprio perché nuoti così bene, tu scrivi così bene”.

Paolo Zaghini