Il 21 novembre 1945 il Comune di Rimini completa la relazione contenente i «Dati statistici delle distruzioni di guerra al centro urbano di Rimini». La relazione viene inviata al Governo il 27 dello stesso mese. In sintesi, la relazione così elencava i danni: il 75% dei fabbricati distrutti o inagibili; l’acquedotto comunale inutilizzabile; l’ospedale civile parzialmente distrutto e privo di attrezzature; il cimitero impraticabile con diverse tumulazioni scoperte; i ponti stradali e ferroviari quasi tutti annientati e danneggiati; la stazione ferroviaria e le linee secondarie distrutte e prive di materiale; la filovia Rimini-Riccione inutilizzabile per la distruzione delle carrozze e per l’asportazione delle linee aeree; gli edifici scolastici quasi tutti crollati; le strade urbane e del forese generalmente deteriorate ed ingombre di macerie; le chiese tutte distrutte, tranne due; gli impianti di gas, luce, telefono, interrotti ed inutilizzabili; l’attrezzatura turistico-balneare, annientata per i 4/5; l’agricoltura danneggiata gravemente; i cantieri navali distrutti e la flotta peschereccia totalmente affondata; il teatro comunale parzialmente distrutto. Su 72 mila residenti, 43 mila erano senza casa. Su 121.500 vani censiti prima della guerra, 109.350 risultavano distrutti o inabitabili. Urgeva un piano regolatore per la ricostruzione. Il primo a essere redatto fu quello dell'architetto Ernesto La Padula; docente a Roma, fra
Gregorio nasce a Rimini intorno al 1300. Della sua famiglia e della sua provenienza non si sa nulla, anche se nei secoli in tanti si sono sforzati di trovargli un cognone. E' noto invece che riceve la sua prima formazione nell'Ordine mendicante degli Eremitani di Sant'Agostino, nel quale era entrato. Studia poi alla Sorbonne di Parigi (dal 1322/23 al 1328/29), fino al conseguimento del baccellierato. E' lettore all'università di Bologna tra il 1329 e il 1338, poi in quella di Padova e a Perugia. Torna nel 1340-1342 a Parigi, dove prepara le lezioni sulle Sentenze di Pietro Lombardo, che tiene nel 1343-1344. Nel 1345 consegue il grado di Magister teologica. Nel 1346 è a Rimini per recarsi l'anno successivo a Padova. Nel 1351 il Capitolo generale di Basilea lo nomina lector principalis nel recentemente costituito Studium agostiniano di Rimini e lo incarica, a ulteriore prova della sua autorevolezza, di procedere alla nomina del nuovo priore del convento. Lo Studium, oggi diremmo università, fu da subito e per secoli un centro culturale di massimo livello, che dopo il terremoto del 1786 si diede la grandiosa sede che ancora oggi vediamo. Nel 1357 Gregorio diviene priore generale degli Agostiniani come successore di Tommaso di Strasburgo. Il 20
Elisabetta Renzi nasce a Saludecio il 19 novembre 1786. La famiglia è benestante: il padre Giambattista Renzi è perito estimatore, la madre Vittoria Boni proviene da una famiglia nobile di Urbino. Nel 1791 i Renzi si trasferiscono a Mondaino. Secondo l’usanza del tempo, la fanciulla viene affidata alle monache Clarisse perché riceva un’adeguata formazione. All’età di 21 anni Elisabetta chiede di entrare nel monastero delle Agostiniane di Pietrarubbia. Nel 1810 Napoleone sopprime il monastero ed Elisabetta, suo malgrado, deve tornare in famiglia. Nel 1813, l’unica sorella, Dorotea, muore all’età di vent’anni. Passano quattordici anni di ricerca, di travaglio interiore. Un giorno, mentre sta cavalcando, Elisabetta viene sbalzata dal cavallo imbizzarrito. Si rialza incolume ed interpreta questa caduta come il segno di una chiamata di Dio. Si consiglia con il suo direttore spirituale don Vitale Corbucci che la rassicura, indicandole Coriano dove funziona un “Conservatorio”, una scuola per le ragazze più povere. Elisabetta arriva a Coriano il 29 aprile 1824. In seguito il vescovo di Rimini Ottavio Zollio la nomina Superiora della piccola comunità. Nel 1828 Elisabetta traccia alcune norme di vita spirituale e comunitaria con il Regolamento delle “Povere del Crocifisso”: insiste sul distacco dal mondo per vivere lo spirito della croce, indispensabile per
Era discendente di papa Pio II, il peggior nemico di Sigismondo
Il 17 novembre 1228 (o il 16, secondo Guidantonio Zanetti, se non il 18, stando a Luigi Tonini) Rimini e Città di Castello firmano solennemente un patto di alleanza. Come scrive il Tonini, «Il Popolo di Urbino era vincolato da obbligazioni solennemente promesse tanto al Comune di Città di Castello quanto a quello di Rimini. Or questi dubitando per avventura della fede degli Urbinati, a meglio contenerli trovarono acconcio di stringer lega fra loro, celebrandola in Città di Castello». La cerimonia si svolge durante il Consiglio generale di Città di Castello; per i Tifernati firma il Sindaco Uberto Armanne, per i Riminesi il suo pari grado Gualterio Caldani. [caption id="attachment_66253" align="aligncenter" width="864"] Città di Castello: Porta S. Maria in una fotografia di fine '800[/caption] Patti di questo genere sono molto frequenti in quegli anni e Rimini è una delle città più attive nell'intessere rapporti diplomatici. Ma l'interesse maggiore di questo documento per noi è un altro e si trova proprio al suo incipit, che, come traduce Luigi Tonini «nel volgar nostro suona: "Ad onore di Dio e di Maria sempre Vergine, e del B. Giuliano Martire, e de' BB. Florido e Amanzio Confessori, e degli altri Santi di Dio, e ad onore di Papa Gregorio
Il 16 novembre 2014, mentre sta pranzando al ristorante Pic Nic con la figlia Ilaria e alcuni amici, fra cui Enrico Gnassi, padre del sindaco Andrea, Maurizio Balena si accascia sul tavolo. Se ne va così, a 72 anni, uno dei personaggi più noti di Rimini. "Antiquario" era una parola davvero riduttiva per lui, come non ingannava il suo minuscolo negozio nel vicolo presso la Vecchia Pescheria. Amava visceralmente la sua Rimini, anche andando controcorrente e senza mai indulgere ai luoghi comuni. Ed era un amante dell'arte a tutto tondo, un esperto di fama nazionale che fu chiamato a risolvere anche veri e propri gialli. Accade così per alcuno dei casi più clamorosi di trafugamenti d'opere d'arte. Come quando fu protagonista del ritrovamento di tre capolavori del Rinascimento rubati il 6 febbraio del 1975 da Palazzo Ducale, a Urbino: niente meno che la Madonna di Senigallia e la Flagellazione di Piero della Francesca e la Muta di Raffaello. L’allora procuratore di Pesaro Gaetano Savoldelli Pedrocchi chiese aiuto proprio a Balena, che accese i suoi radar nel mondo dei mercanti d'arte internazionali. E il 23 marzo 1976 i quadri dal valore inestimabile saltarono fuori in Svizzera, a Locarno in Svizzera. E se i ladri e
Scrive Luigi Tonini sulla scorta del Muratori: «In quello stesso 1325 Malatestino fu coi Bolognesi contro quelli di Modena, e si trovò nella rotta toccata al campo bolognese a Zappolino il dì 15 di novembre, ove egli restò prigioniero di Passerino Signor di Mantova assieme con Angelo da S. Elpidio Podestà di Bologna, con Sassuolo di Sassuolo, con Jacopino e Gherardo Rangoni, e con molti altri Nobili». La battaglia di Zappolino in Val Samoggia fra Guelfi e Ghibellini fu uno dei più grandi scontri campali avvenuti nel medioevo: vi presero infatti parte circa 35 mila fanti e 5.300 cavalieri e costò la vita a migliaia di uomini. Nonostante questa tragedia, la sua memoria ben presto passò in burla. Finché nel Rinascimento Alessandro Tassoni la consacrò in questa forma con uno dei poemi satirici più fortunati della letteratura italiana, "La secchia rapita". Come ci era finito un Malatesta nella contesa fra Modenesi e Bolognesi? E chi era Malatestino Novello? Non se ne conosce l'esatta data di nascita, che dovrebbe risalire ai primi del Trecento. Figlio di Ferrantino, il nonno era Malatestino "dall'occhio" e il bis-nonno, che lui certamente conobbe, il centenario Malatesta da Verucchio, il fondatore del dominio della casata su Rimini detto da Dante "il
Giuseppe Babbi era nato a Roncofreddo, il 28 gennaio 1893, ma all'età di 11 anni si era trasferito con la famiglia a Rimini. Nel 1911 entra a far parte dei gruppi di Azione Cattolica e fonda il circolo giovanile operaio "Ludovico Contessi", di cui è il primo presidente. Nel 1912 segue con attenzione la nascita della locale Federazione dei contadini. Lavora prima come commesso in una farmacia, poi nel 1915, assunto nelle Ferrovie dello Stato, inizia ad organizzare un sindacato nazionale dei ferrovieri cattolici. [caption id="attachment_65670" align="aligncenter" width="1149"] Giuseppe Babbi[/caption] Nel 1917 si sposa con Maria Dalli; dal matrimonio nasceranno otto figli. Entra poi nelle fila del Partito Popolare, fondato nel 1919 da don Luigi Sturzo. Nel 1921 contrasta le tendenze filo-fasciste incipienti anche nel suo partito; anzi eletto delegato PPI al congresso di Torino del 1923 abbraccia la tesi di rifiuto del nuovo regime - come sosteneva anche Sturzo – e non manca di avversare di persona il fascismo. Come riporta Antonio Montanari ("I giorni dell'ira", Il Ponte, 1997) «Babbi, scrisse Oreste Cavallari, "con poca istruzione e molta miseria, si era fatto da sé con forte carattere e forte personalità. Tutti, anche gli avversari politici, ne riconoscevano la forza d'animo e la purezza d'ideali".
«Non ostante il ristabilimento della dominazione pontificia si compì nel novembre la demolizione dell’antica nostra Cattedrale sulla piazza del Corso, oggi Malatesta, che dicemmo essersi acquistata dal Romagnoli di Forlì. In quell’occasione tornarono in luce molte iscrizioni antiche
Il 12 novembre 1956 la Cassa di Risparmio di Rimini bandisce un concorso nazionale per la ricostruzione del teatro "Amintore Galli" di Rimini, colpito 12 anni prima dai bombardamenti. Al concorso partecipano 15 fra i migliori architetti italiani. Alla fine viene il primo premio viene assegnato al progetto del riminese Mario Ravegnani Morosini. Se non che, al momento di finanziarlo, i soldi non si trovano, né a livello locale né a quello nazionale. Solo il 28 ottobre del 2018 il "Galli" torna a vivere, Ma ecco tutta la vicenda del Teatro di Rimini: http://www.chiamamicitta.it/teatro-rimini-storia-rinascita/ https://www.chiamamicitta.it/28-ottobre-2018-risorge-il-teatro-galli-di-rimini/
La storia medievale è fitta di contese, come è noto, fra città e signorie feudali, fra il potere civile e quello ecclesiastico. Battaglie che si combattevano anche con le armi, ma principalmente davanti a dei giudici a suon di bolle, diplomi, querele, diffide. E siccome scripta manent, i fascicoli di queste cause sono la principale fonte da cui possono attingere gli storici per ricavare le informazioni più disparate. E' il caso di una lunga querela che Ambrogio, vescovo di Rimini, intenta nel 1272 contro il Comune della sua città. Più precisamente, il presule rispolvera una causa che si trascinava da decenni e che riguardava la sovranità su diversi castelli del contado un tempo sottoposti alla Curia riminese e ora controllati dal Comune: San Giovanni in Galilea, Ripa Massana (presso Tavoleto), Valle Avellana, "Inferno" (Onferno), Saludecio, "Lauditorio" (Auditore), Castelnuovo (presso Auditore), Piandicastello (presso Mercatino Conca): tutti in Val Conca. E il più importante, nella direzione opposta: Santarcangelo. Per tutti questi beni, in realtà, 17 anni prima l'allora vescovo Giacomo e il Comune di Rimini erano arrivati ad un accomodamento, con il secondo a versare una somma al primo pur di mantenere un possesso in origine certamente usurpato, ma che si manteneva ormai nei fatti da moltissimo
Scrive Carlo Tonini: «Il nostro mons. Villani ci ha lasciato memoria che nello stesso anno 1614, e precisamente il 10 novembre, cadde in Rimini una sì copiosa e straordinaria pioggia, che non mai era stata eguagliata non che vinta da altra». [caption id="attachment_65156" align="aligncenter" width="1146"] Antonio Carracci: "Il Diluvio" (1615-1618)[/caption] Ieri come oggi, i cronisti tendono all'esagerazione. Però, al netto delle dotte citazioni classiche, le descrizioni che ci sono giunte disegnano un quadro davvero catastrofico: «I fiumi della Conca, dell’Aprusa (l'Ausa), della Marecchia e del Rubicone (probabilmente l'Uso) essersi tanto innalzati sopra il letto loro naturale, e aver si fattamente allagate le circostanti campagnije, da potersi a quella alluvione ottimamente applicare i versi della Metamorfosi d’Ovidio, ne’ quali è si vivamente descritto il diluvio di Deucalione e di Pirra. E quindi il sobborgo di S. Giuliano essersi dovuto dagli abitatori abbandonare, facendo quasi luogo ai pesci, che colle irrompenti acque vi entrarono». Pesci che entrano in città e barche che ne sono spazzate via: «Le navi essere siate trasportate dall’impeto della fiumana fuori del porto, ed ivi conquassate e sommerse: e molto maggiore essere stata la strage e la mina nel mare, essendo periti molti nocchieri e remiganti». [caption id="attachment_65158" align="aligncenter" width="1142"] Nicolas Poussin: "L’inverno (Il