Dopo le strizzate del fisioterapista che gli ha risistemato la schiena, esce in giacca e camicia sotto l’acquazzone. Pensa: “Quando raggiungerò finalmente quel bar laggiù in fondo, dopo una bella corsa, otterrò, sia pure in misura ridotta (ma mettendo in circolo le medesime endorfine!) lo stesso premio naturale che duecentomila anni fa gratificava l’uomo di Neanderthal quando raggiungeva e abbatteva la preda”. Proprio così. E mentre, prima di entrare nel locale, si sfila i mocassini per farne uscire l’acqua, si convince sempre più di quanto sia difficile liberarsi dai condizionamenti accumulatisi per millenni in quella che il buon Jung definiva ‘paleopsiche’. Già. Il cervello antico. La ‘caldaia biologica’ A pensarci bene il maschilismo o mentalità patriarcale che dir si voglia, è ben simboleggiato dagli antichi gruppi di caccia dai quali le femmine erano rigorosamente escluse. Gruppi sopravvissuti al giorno d’oggi sotto forma di Club, Logge, Squadre, bande
Era inevitabile. Dopo aver rievocato il comportamento della Celere e degli studenti universitari negli anni immediatamente precedenti la contestazione, (poi venne il ’68 e non rise più nessuno ) non ho resistito al desiderio di riprendere in mano un testo che, a suo tempo, mi aveva particolarmente interessato. Si tratta di ‘A Rimini il 68 degli studenti. Storia di un inizio' a cura di Fabio Bruschi) uscito nel 2017 (Editore Panozzo) in occasione del cinquantenario del mitico (nel bene e nel male) anno di cui sopra. Sfogliandolo e soffermandomi sulla documentazione fotografica che accompagna i saggi di Giuseppe Chicchi, Fabio Bruschi Piero Meldini, Leonardo Montecchi, Elisa Gardini, Gianfranco Miro Gori, Jader Viroli, ho rivisto i volti ancora imberbi di tanti ragazzi (molti dei quali sono – o purtroppo furono - miei amici carissimi) che vissero in prima persona quegli esordi. E ancora una volta, ripensando al tradizionale eschimo e maglione adottato 5 o 6 anni dopo nelle Università, provo un sentimento di tenerezza ritrovando ognuno di loro ritratto in giacca e cravatta… Come Bruno Sacchini, Cesare Biondelli e Antonio Zavoli, cattolici del dissenso, fondatori nel Circolo Maritain (1963). Come Franco Pesaresi giovanissimo sindacalista della CGIL. mentre regge uno striscione contro la guerra
Allora si chiamava ‘Celere’. E i ‘Celerini’ erano abilissimi piloti sulle loro jeep, specialisti nelle tecniche anti-sommossa, nonché, come vedremo (argomento del giorno!) nell’uso appropriato del manganello. Godevano infatti di un addestramento particolare rispetto agli altri e più numerosi ‘reparti mobili’. Impiegata, di conseguenza nelle situazioni più delicate, la presenza della Celere non poteva mancare, ogni anno, a un evento di massa che (anche se nulla aveva a che fare con cortei e manifestazioni di protesta) si presentava decisamente anomalo: l’annuale Festa delle Matricole di Bologna. Tre giorni di straordinario caos allegria e gioia di vivere durante i quali le Autorità, lasciavano agli studenti la libertà di organizzarsi come volevano. In quel 1961 tutto si era svolto regolarmente e secondo programma. Sfilata dei Carri Allegorici, con la Romagna rappresentata dal Juke Box Umano di Gibo e Piero, Corsa dei “Carioli” per la micidale discesa di san Luca, recita vietata ai minori dell'Ifigonia in Cùlide davanti alla statua del Nettuno immutandato per l’occasione, fallosissima partita di pallone in costume Medievale in Piazza Maggiore. Più tutto il resto (ed era tanto) lasciato alla iniziativa e alla creatività dei singoli. E dunque c’era chi, travestito da vescovo, impartiva ai passanti benedizioni non richieste con
Passeggiando domenica per Marina Centro mi è capitato di affiancare due anziane signore che, appena uscite dalla Messa, si trovavano d’accordo nel criticare vivacemente il sacerdote officiante. Ciò in quanto, costui, nel corso della predica, non avrebbe speso un parola sulla sanguinosa vicenda di chi, colto da delirio religioso, aveva sterminato moglie e figli per liberarli dal demonio. Ho proseguito il mio cammino pensando che sarebbe stato davvero imbarazzante per quel prete (che, d’altronde non avrebbe potuto dir altro!) richiamarsi ai polemici concetti espressi da Padre Gabriele Amorth, esorcista della Santa Sede e Presidente Internazionale degli Esorcisti, scomparso nel 2016. Il quale, in una intervista rilasciata nel 2007 al giornale cattolico on line “Petrus”, * affermava testualmente: “Come esorcista, ma prima ancora come sacerdote, ho il dovere di denunciare il colpevole immobilismo di tutti quei Vescovi - purtroppo, la maggior parte - che non formano e nominano esorcisti perché non credono nel demonio, non lo hanno mai studiato, non se ne sono mai occupati e di cui hanno solo una vaga credenza… La situazione è tragica! A chi mi riferisco? Basta guardarsi un po’ in giro! Tanto per restare in Italia, a Bologna non ci sono esorcisti, a Firenze si fatica
Dopo aver scoperto (vedi Rimining) la pericolosità di certi neologismi poco utilizzati, sono stato colto da un terribile dubbio. Quello di aver messo anch’io in circolazione vocaboli destinati a clamorosi equivoci. E così ho interpellato a mia volta mister Google per scoprire il destino delle mie invenzioni lessicali, raccolte addirittura in un dizionarietto pubblicato diversi anni fa da un periodico locale. Risultato? A dir poco avvilente. Eccone qualcuna. Gnassismo (“modello urbanistico di una città a misura di bicicletta”). Risposta Google :“Forse cercavi ‘gnosticismo’”… Vu-pissià (“Volenteroso extracomunitario munito di pitale con cui sopperire alle impellenti necessità fisiologiche dei partecipanti alla Molo Street Parade”) Risposta: “Pissia da Fermo. Martire Cristiana venerata come Santa dalla Chiesa”… Colonnite (“Patologia oculare da colonna classica con perdita totale o parziale della visione del palcoscenico” ): “Forse cercavi ‘colite’”… E via andando. Con una sola eccezione per Merdereologia (“Scienza che studia l’interazione dei fenomeni metereologici con lo sversamento dei liquami in mare”). Mister Google, infatti, consultato su tale nuova ‘voce’, richiama l’intervento a un Consiglio Comunale del Centro Italia di tal Pecorazzi, ove questi lamenta una “situazione merdereologica che non prevede miglioramenti in virtù del brusco intasamento dei cessi
Poiché in un recente convegno sulla intelligenza artificiale è stata tirata in ballo anche la mia professione, mi permetto, di richiamare quanto affermava un rimpianto Maestro quando mossi i miei primi passi nelle Aule di Giustizia “Ricordati che per vincere non basta questo (e indicava la propria testa) ma ci vuole anche questo (e metteva l’indice sul cuore)”. La macchina del futuro potrà infatti acquisire ed elaborare dati, analizzare razionalmente indizi e prove, essere in grado sia di imbastire una ineccepibile difesa che di redigere una sentenza dalle inattaccabili motivazioni. Ciò in virtù di algoritmi sempre più sofisticati e di un cervello elettronico in grado di immagazzinare una mole di dati e di precedenti dottrinari e giurisprudenziali difficilmente raggiungibile dalla mente umana. Già. La testa. E il cuore? Difendere e giudicare senza questo organo, altrettanto potente, significherebbe rinunciare non solo alla propria umanità ma anche alla vera giustizia. E’ col cuore, che in sede penale si creano potenti correnti empatiche che, viaggiando tra difensore, giudice e giurie, sono in grado di modificare circuiti mentali preconcetti e convinzioni radicate. Ed è sempre col cuore che in ambito civile si trovano soluzioni transattive, si riconciliano nemici giurati, si sciolgono i nodi di complesse situazioni familiari.
Se la vita è un dono dovrei poterne fare ciò che voglio. Ma se la mia vita non è mia, ma appartiene ad Altri (o a chi se ne proclama interprete o emissario) la faccenda potrebbe farsi davvero pericolosa. Perché potrei nascere nella Repubblica vagheggiata da Platone dove, quando non servi più, la vita te la tolgono anche se non vuoi, oppure in una Repubblica altrettanto Ideale dove invece pretendono di farti campare quando stai così male da non veder l’ora di staccare la spina. Senza offesa per nessuno. Prima che arrivasse il Cristianesimo era tutto più facile. Mario Monicelli si sarebbe tolto la vita conversando tranquillamente con gli amici, come Socrate, come Seneca. Il suo volto di filosofo antico si sarebbe disteso, sorridente, nella pace dell’eterno riposo… Ed invece quel volto, conquistato a poco a poco, negli anni, in virtù della sua bellezza interiore, si è spiaccicato al suolo dopo un volo dal quarto piano di un Ospedale. Lui, grande esteta, costretto a scegliere una fine quanto mai antiestetica. Tedium vitae. Cupio dissolvi. Arriveremo a vivere centocinquanta anni con un enorme desiderio, poi, di farci un dormita eterna… A proposito. Non ho mai capito perché, nei nostri cimiteri, si trovi scritto “Requiescant in pace”.
In merito allo spirito goliardico evocato ultimamente su queste pagine, mi corre l’obbligo di ricordare un riminese che pur non avendo mai frequentato un’aula universitaria, di quello spirito rese vivacissima e fantasiosa testimonianza. Mi riferisco al Commendator Umberto Bartolani. Un vero mecenate cui dobbiamo importanti iniziative compreso il recupero, il restauro e la collocazione in Piazzale Fellini, della dispersa Fontana dei quattro Cavalli. Tenace ed efficace propagandista della nostra Riviera, di pura marca goliardica fu il suo exploit alla Fiera di Milano del 1953 quando ebbe la pensata di distribuire per quindici giorni a italiani e stranieri, all’ora del caffè, ventimila bustine identiche a quelle dello zucchero con la scritta. “Attenzione! Campione di sabbia prelevato a Miramare (Riviera di Rimini), la più bella e accogliente spiaggia d’Italia”… [caption id="attachment_450229" align="alignleft" width="1023"] Umberto Bartolani nei panni del Podestà di Rimini sul set di "Amarcord" di Fellini (foto di Davide Minghini - Archivio Biblioteca Gambalunga)[/caption] Ma soprattutto, il nostro Commendatore si era ‘specializzato’ a comparire, nelle foto ufficiali, a stretto contatto con le Autorità che circondavano i Presidenti della Repubblica. Era il suo hobby, grazie al quale coglieva anche l’occasione di trasmettere al Capo dello Stato suggerimenti e richieste in favore della sua amata città. Riusciva
-‘Scusa Gibo. Cosa intendevi dire, nella tua ultima cronaca, affermando che ai tempi della tua giovinezza Renzo Arbore era un ‘Principe della Goliardia’?- Poiché la domanda mi è stata rivolta da un cinquantenne, lì per lì mi sono stupito che non lo sapesse… Eh, già. Dimentico troppo spesso la mia età… Come diceva quel tale: “Dentro ad ogni vecchio c’è sempre un giovane che si chiede cosa gli sia successo”. Era invece perfettamente logico che l’amico ignorasse istituzioni defunte già al tempo della sua nascita… Figuratevi che non ne trovo traccia neppure su Wikipedia alla voce ‘Goliardia’… Beh, magari a molti di voi non glie ne potrà fregar di meno ma mi sento tenuto a riempire questa lacuna. Cominciando col dire che gli Ordini Sovrani erano costituiti su base cittadina o regionale. Bologna ad esempio era retta dal Sacer Venerabilisque Fictonis Ordo, la Liguria dal Dogatum Genuense, Roma e Torino da un Pontificato, Trieste e Padova da un Tribunato, Firenze dall’Ordine della Vacca Stupefatta, le Marche dalla Cricca Marchigiana. La nostra regione (ben lungi dal ritenersi collegata all’Emilia) si era costituita in Feudo Goliardico Romagnolo rappresentato nelle varie Città da un Castello retto dal Vassallo nominato dal Gran Feudatario di Ravenna. I titoli
Con il programma televisivo “Appresso alla musica: premiata bottega di antiquariato musicale” ho ritrovato, dopo diversi anni di assenza dai teleschermi, il volto di un vecchio amico. Uno dei pochi sopravvissuti Principi della Goliardia del periodo magico della mia giovinezza. Ricordo con affetto l’entusiasmo con cui il grande pubblico accolse trasmissioni come “Quelli della notte” e “Indietro tutta” nelle quali Renzo Arbore, clarinettista, showman, autore radiofonico e televisivo, ripropose lo spirito folle e surreale (e ormai dimenticato) che aveva animato generazioni di universitari nella loro lotta contro il conformismo, la censura, il bigottismo e l’ipocrisia. Ci riuscì, allora, selezionando e dirigendo con grazia e intelligenza, un gruppo di bravi artisti che del virus della Goliardia erano portatori ancora giovani e sani: Nino Frassica, Maurizio Ferrini, Andy Luotto, Riccardo Pazzaglia, Marisa Laurito, Simona Marchini, Roberto D'Agostino, Giorgio Bracardi, Massimo Catalano, Mario Marenco… Ma eravamo ancora nei favolosi anni 80, prima che la televisione commerciale becera e sguaiata prendesse il sopravvento. Ed ero con Renzo quel 14 ottobre del 2000 a Bologna, quando Lui, inaugurando il primo Museo in Europa dedicato alla Storia della Goliardia, osservò amaramente “Non c’è più gente che coltivi lo spirito di ‘quelli della Notte’… La nuova generazione si rifà
Osta. Questa esclamazione assume da noi i significati più diversi a seconda dell’intonazione con cui viene pronunciata, nonché delle virgole, dei puntini, degli articoli e dei complementi oggetto cui si accompagna. Vediamo di farne un breve riepilogo. a) Sottolinea una circostanza rilevante. Mi comunicano che il figlio di un caro amico si è laureato in Ingegneria elettronica con 110 e lode. Osta! (senza particolari inflessioni vocali). b) Osta, te… Qui, la pronuncia della ‘O’ viene allungata (Oooosta), accompagnata dal confidenziale ‘te’, ad esprimere, sia il riminesissimo avvertimento a un amico di non esaltarsi troppo (rectius: ‘sburoneggiare’) per il successo conseguito, che la sincera condivisione di quel successo. A Rimini sono passati ormai alla storia due ‘Osta te’. Quello del telegramma inviato da Fellini a Zavoli quando questi accettò la Presidenza della Rai, abbandonando la precedente attività di giornalista televisivo, e l’altro, rivolto direttamente da Titta a Fellini quando questi lo informò telefonicamente da New York, di aver vinto l’Oscar. c) In questa accezione la parola viene sillabata (O-sss-t-a) con accento tra il sofferente e il trattenuto. Succede ad esempio quando, giocando a calcetto, ricevi una pallonata nelle parti basse. Oppure allorchè rimani folgorato dall’improvvisa constatazione, di quanto sia pataca un personaggio, incredibile una situazione, imperdonabile
Caro Gesù Per l’anno che viene Ti prego di far entrare nella testa di tanti tuoi ministri che debbono piantarla con la loro resistenza passiva e qualche volta anche attiva alla visione che della Chiesa ha l’attuale Pontefice. Che, proprio per questo riscuote il plauso di chi non crede nella precettistica ma che (al di la di ogni disquisizione sulla Divinità) ha sempre fatto il tifo per Te. A maggior ragione oggi quando imperversano ancora le guerre di religione… Pensa, caro Gesù, che sulla faccenda ci feci su anche una poesia. Che mi permetto di riproporre quale distillato sostanziale di come la pensano tanti come me. Pronti’? Via! Siamo obiettivi. Se il terrorista è innanzitutto un integralista che il suo Corano alla lettera prende e poi, con quello, sereno ti stende anche la Bibbia, che ha il nostro consenso va letta, sempre, con molto buon senso giacchè, se il testo tu segui a puntino rischi di fare lo stesso casino. Alla richiesta di uccidere il figlio il buon Abramo non battè ciglio “poiché è il Signore, ad averlo ordinato ‘sto sgozzamento non è reato” Col “Dio lo vuole”, roghi e Crociati furono, un tempo, giustificati e in più cademmo nel paradosso di massacrarci tra noi a più non posso divisi solo dalla lettura di qualche passo della Scrittura…. Beh, lo