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Sandro Bacchini: vanga, vino e fantasia


11 Giugno 2017 / Paolo Zaghini

Sandro Bacchini: “Vino e sentimenti” – La Cesenate Edizioni.

Incontrare Sandro Bacchini è sempre un’emozione, anche quando lo conosci ormai da oltre vent’anni. Oggi, a 78 anni, è sicuramente il decano dei produttori vinicoli riminesi e la sua gestione della Tenuta del Monsignore a San Giovanni in Marignano un esempio per la produzione e commercializzazione del vino (oltre 230.000 bottiglie all’anno). Una passione infinita per il vino e la sua storia, che si intreccia in maniera quasi romanzata (ma non troppo) con la storia della sua famiglia che affonda le radici nella Firenze della metà del Duecento. Per trasferirsi poi nel Trecento a San Clemente ed infine nel Cinquecento a San Giovanni in Marignano.

I Bacchini diventano agricoltori con Tonsino ed il figlio Giovanni alla fine del ‘300, quando prendono stabile dimora in Romagna ed iniziano a coltivare le proprie terre. Da allora i Bacchini coltivano di generazione in generazione, cioè per circa 700 anni, le proprie terre ed i propri vigneti. Alla fine dell’Ottocento Monsignor Francesco Bacchini, Vescovo di Terni, scelse come sua dimora di campagna l’attuale Tenuta (da qui il nome) allorquando divenne Vescovo della grandissima diocesi di Tripoli del Libano.

Nel corso del ‘900 diversi Bacchini modernizzarono l’azienda, ampliarono i vigneti, costruirono la moderna e tecnologica cantina. Come racconta Sandro nel suo libro, tra la memoria e l’amore per il vino, “sono stato attore di ben sessanta vendemmie, per sessanta anni ho contribuito a trasformare un grappolo d’uva in un bicchiere di vino”.

“Tradizione di famiglia, dinastia di mestiere che si traduce in esperienza ereditata. L’esperienza è l’insieme di tanti piccoli ricordi che se presi singolarmente possono apparire insignificanti, ma se coordinati dalla nostra mente formano un patrimonio prezioso. L’esperienza richiede tempo e il tempo genera vecchiaia e cosa è più bello di una vecchiaia circondata dalla gioventù desiderosa di apprendere e attingere dall’esperienza, e che considera l’esperienza elemento essenziale dell’universalità del sapere?”. Sandro è la diciottesima generazione dei Bacchini, sua figlia Nicoletta la diciannovesima, e la speranza di Sandro è che i nipotini Nicolò e Mattia saranno la ventesima.

Nel libro Bacchini cita Dante, Manzoni, Carducci, Rossini per le cose belle che hanno scritto sul vino, ma il suo ringraziamento vero va al medico francese Louis Pasteur (1822-1895) per i suoi studi di microbiologia che hanno permesso di fare luce su due aspetti fondamentali consentendo così la nascita della moderna enologia: come nasce il vino dal mosto e quali sono gli agenti patogeni che lo deteriorano.

“Nella nostra famiglia il pioniere di questa ricerca è stato mio padre Francesco (1908-1979) che ne apprese le basi teoriche e scientifiche nella scuola dei salesiani di Montechiarugolo di Parma. Nella nostra zona è stato il primo a usufruire delle competenze dell’enologo che gli hanno permesso di modernizzare la tecnologia di produzione partendo dalle nuove scoperte scientifiche. Negli ultimi 700 anni la nostra famiglia ha sempre risposto ‘presente’ all’appello fatto dalla storia della viticoltura, quali semplici militi dell’esercito dei vignaioli della storia”. A seguito degli studi di Pasteur l’enologia da tecnica di produzione del vino divenne una scienza. La conseguenza immediata di ciò fu il notevole innalzamento qualitativo della produzione. “Nacque e si affinò sempre più l’analisi organolettica del vino, cioè lo studio del vino utilizzando la vista, l’olfatto, il gusto e il tatto. Il vino diviene fonte di emozioni che si traducono in piacevoli sensazioni”.

A questo punto nel libro il perito agrario Bacchini diventa filosofo: “Il vino non è soltanto una bevanda o un alimento ma anche e soprattutto una fonte di grandi emozioni volte al nostro godimento. Le emozioni così provate interagiscono sui nostri sensi suscitando in noi situazioni di particolare piacevolezza. Il vino diviene quindi un bene non solo materiale ma anche immateriale, consistente in un somma di emozioni che influiscono sulla nostra sfera sensitiva e che provoca un mutamento nel nostro essere”. E qui Sandro non parla di “ciucca”, dell’esagerazione nel consumo (cosa che aborre), ma del piacere in senso lato che un buon bicchiere di vino può dare. Ed entra anche nel dettaglio: “E’ fondamentale lo stato d’animo con cui ci approcciamo al vino. Se un vino viene assaggiato ‘con la luna di traverso’ o in un momento di serenità le sensazioni provate saranno profondamente diverse”; “Potere immenso che può avere una bottiglia di vino sorseggiato nel luogo giusto ed in giusta compagnia!”; “Bisogna scrutare nell’animo umano per trovare il giusto connubio per abbinare vino e sentimenti”. Ma alla fine Sandro un po’ si prende in giro da solo: “Il mio filosofeggiare da contadino un po’ bevuto, sono sicuro, vi ha fatto venire il mal di testa”.

Chiude i suoi racconti con una invettiva contro la burocrazia che perseguita il buon lavoro di chi suda da mattina a sera sulla dura terra citando il Presidente della Repubblica Italiana Luigi Einaudi (in carica dal 1948 al 1955): “Migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli”. Ma Lui dice: non mi arrendo!

E’ bella infine la battuta che Sergio Zavoli dedica a Sandro nella sua prefazione: “Quando ho iniziato a leggere lo scritto del duttile imprenditore vinicolo, ho capito che non solo sapeva dar di penna ma, come se fosse nato contadino, se la sarebbe cavata a vanga e fantasia”.

Paolo Zaghini