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Sangiovesa: solo a Santarcangelo un’osteria può fa volare la memoria


22 Maggio 2022 / Paolo Zaghini

“La Sangiovesa. Losteriadisantarcangelo – 1990/2020” A cura di Giorgio Melandri 
Maggioli

Questo libro è il racconto di un sogno realizzato, fatto dall’imprenditore santarcangiolese Manlio Maggioli, lungo ormai oltre trent’anni. Con le imprese familiari ormai saldamente nelle mani dei figli Amelia, Paolo e Cristina, Manlio, classe 1931, ancora in gran forma (è facile incontrarlo in giro per Rimini o a Santarcangelo di Romagna), si è impegnato in questi anni a costruire il successo di un ristorante, “La Sangiovesa” (aperto dal 1990), a realizzare una tenuta agricola modello di 120 ettari, “Tenuta Saiano”, comprata nel 2003, a produrre prodotti agricoli doc.

“Tenuta Saiano” è “un progetto agricolo maturo, che rifornisce La Sangiovesa di buon vino biologico, di uova, polli, piccioni, salumi, olio, miele, castrati e agnelli, anatre”. Oltre il 90% della produzione serve alla Sangiovesa.

Fu Tonino Guerra (1920-2012) a inventare l’anima della Sangiovesa, intuendone subito le potenzialità come contenitore dove ammucchiare la poesia e la bellezza, “un locale che avrebbe proposto cibi e vini della Romagna, ma che poteva anche essere un luogo capace di dare grandi soddisfazioni agli occhi”. A Guerra si affiancò un altro amico fraterno di Manlio, Alteo Dolcini (1923-1999) che amava e promuoveva le cose di Romagna. E fu proprio lui a inventare il nome “La Sangiovesa”. Federico Fellini disegnò la donna giunonica simbolo da sempre del ristorante.
E l’altro amico, Alfonso Marchi, il patron dell’Antica Stamperia Artigiana Marchi, con il suo mangano datato 1633, ha fornito tutte le tele stampate che si trovano alla “Sangiovesa”.

Eh sì, perché “La Sangiovesa” non poteva che essere a Santarcangelo, dove secondo il grande poeta Raffaello Baldini “a sémm tòtt mat” (siamo tutti matti), “dove i racconti sono pieni di iperboli e pennellate, i dialoghi di botta e risposta dai tempi serrati, i commenti di pause e di un gusto teatrale che soprattutto in Romagna diventa una vera e propria arte”. “Il cibo accompagna e sottolinea, e c’è nelle vie del paese lo stesso paesaggio, anche umano, che trovate nel piatto”.

Tonino Guerra è stato vicino alla “Sangiovesa” fino alla fine dei suoi giorni, arricchendola con continue idee, con oggetti, con invenzioni, con delle piccole scenografie come la Grotta delle Colombaie, con le stufe immaginarie, con la collezione degli Avvisi, “un garbato e acuto tentativo di attirare l’attenzione sulle importanti piccole cose, che piccole non erano mai”. L’Avviso n. 6 recita: “A nome di una piccola schiera di poeti, ringrazio tutti quelli che amano, curano e riparano le vecchie case coloniche, uniche gabbie che racchiudono il tempo e che raccontano favole agli occhi”.

Santarcangelo è un paese di terra, lo si capisce bene leggendo i racconti di Tonino Guerra che descrive il viaggio verso il mare, appena dieci chilometri facili da coprire anche in bicicletta, come un viaggio speciale che tanti facevano per la prima volta da adulti. Il mare non fa parte del mondo della “Sangiovesa” che preferisce invece arrampicarsi su per la Valmarecchia a caccia di funghi, pascoli, campi, orti.

La Sangiovesa, nell’antico Palazzo Nadiani, oltre alla sua ottima cucina, offre ai suoi ospiti “una meravigliosa macchina della memoria, una narrazione che custodisce e rivela, che snobba i distratti e regala a piene mani ai curiosi”. Le sue sale sono pezzi di storia: il Cantinone Beato Simone, la piazzetta del Teatro, la Saletta del Teatro Condomini, la Soglia Papa Ganganelli, la Sala Malatesta, la Sala Montefeltro, Passaggio Nadiani, il Campo della Fiera, l’Angolo Valmarecchia, la Stalletta di Pidio, la Sala dei tavella, la Sala dei Marini. Per ognuna di queste sale c’è una storia che il libro ci svela e ci racconta.

E poi c’è la Sala Cagnacci con affissi quattro suoi quadri, acquistati da Maggioli nel 2019. Guido Cagnacci, santarcangiolese nato nel 1601, è uno dei pittori più affascinanti del Seicento. La storia di questi quadri ce l’ha raccontata Pier Giorgio Pasini nel volume “Le donne del Cagnacci” (edito da Romagna Arte e Storia nel 1993 e riedito da Maggioli nel 2020).

Il libro si chiude con le ricette dei quattro menù stagionali, pensati da Massimiliano Mussoni. E’ lui il grande direttore d’orchestra. “Massimiliano è un cuoco completo, che ama la tradizione, forgiato da 22 anni in prima linea in questo locale che macina qualità, ritmo e coperti (…). C’è tanto futuro in questa cucina che attinge al passato come repertorio e alla filiera come strumento di qualità assoluta. Per il resto sono esecuzioni a regola d’arte”.

Ma “La Sangiovesa” è una macchina complessa ed è impressionante vedere quante siano le persone, tra sala e cucina, che lavorano per offrire un prodotto curato in ogni dettaglio. E’ una brigata, composta dal pasticciere, dalle sfogline, dalle piadinare, dal sommelier, dai cuochi, dai camerieri: ognuno è un pezzo importante del successo ormai più che trentennale de “La Sangiovesa”.

Perché, come dice Luca Sommi nella Prefazione, “in un mondo dove tutto si somiglia, solo chi è unico avrà un futuro. E Maggioli l’ha capito. Trent’anni fa”.

Paolo Zaghini