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Terapie preventive: dare del pataca a un amico perchè non lo diventi


27 Agosto 2022 / Giuliano Bonizzato

Luigi Tonini, nella sua prima ottocentesca guida Turistica di Rimini, considera il Riminese “basso estimatore di sé e dei suoi”. Che sarebbe poi la caratteristica degli invidiosi. I quali anziché cercar di innalzarsi al livello di chi li sovrasta, fanno di tutto per appiattirli al proprio.

A mio sommesso avviso la nostra effettiva abitudine a sminuirci e a sminuire potrebbe, invece, derivare dal fatto che la nostra città, aperta al mondo e nello stesso tempo borghigiana, tende fortemente a reprimere quella tendenza provinciale all’esibizionismo, alla mancanza di autocritica, al mettersi in mostra, a gigioneggiare, tipica del Romagnolo. La tendenza insomma, per dirla a modo nostro… alla patacaggine.

Perfino Mussolini, agli occhi smaliziati e ipercritici di un Riminese, si comportava spesso da pataca. Si pensi a quel sorrisino compiaciuto ad ogni pausa dei suoi discorsi al balcone di Piazza Venezia; a lui, a torso nudo, che miete le messi in occasione della “battaglia del grano”; all’esibizionismo del labbrone in fuori, della mascellona contratta, del torace in pole position e delle mani a pentolino sui fianchi… – “Benito, nu fa e’ pataca, dài!” – gli sussurravano a Rimini. Il che gli faceva girare non poco le scatole anche se non lo dava a vedere. A Riccione, tanto per dire, non era così, come dimostrano la simpatia e l’amicizia che il Duce professò sempre nei confronti della Perla Verde dell’Adriatico divenuta ‘la spiaggia del Duce’ con tanto di ‘Villa Mussolini’ * mentre la nostra città, che non lo vide mai in costume da bagno, nè ai remi di un moscone, fu da lui battezzata “Scarto delle Marche e rifiuto della Romagna”.

E dovevamo averlo fatto incavolare davvero dal momento che l’Ariminum amata dagli imperatori, la Rimini ‘caput viarum’, la Città dell’Arco del Ponte e dell’Anfiteatro, a lui, cultore del mito della Romanità, aveva fatto sempre molto effetto, come dimostra il regalo di quella copia in bronzo di Giulio Cesare che peraltro, nel dopoguerra, finì sepolta tre volte. La prima dove si sapeva, la seconda dove lo sapevano solo in pochi e la terza… nella ex Caserma degli Artiglieri dove risulta tuttora confinata.

Pazienza. Con una Villa Mussolini e una ‘Spiaggia del Duce’ in meno e una copia di Giulio Cesare in più (quella in Piazza tre Martiri, politicamente asettica in quanto a spese del Rotary) ce ne faremo una ragione. Non senza rilevare, per onestà intellettuale, che i riminesi che suggerivano al Duce di ‘non fare il pataca’ era perché lo vedevano come uno di loro.

Già. Perché da noi, quando temiamo che l’amico di successo cominci a sburoneggiare, facciamo di tutto perché non si trasformi, da pataca potenziale in effettivo, vale a dire talmente incorreggibile da valicare prima o poi il tragico confine senza ritorno che lo divide dallo str…

E’ in questo comportamento, a mio parere unico in tutta a Romagna, che viene a galla sia lo spirito popolano del Borgo che la finezza cosmopolita di una città sin dalla sua fondazione al centro di tutte le strade. Tipico a tal proposito anche l’atteggiamento nei confronti di Fellini dei suoi affezionati amici riminesi, preoccupati che il grande Regista, blandito corteggiato e adulato nella Capitale, si montasse la testa, perdesse la sua spontaneità, insomma s’impatachisse. Dal che nasceva una sorta di terapia preventiva che può sintetizzarsi nell’ormai famosa frase rivolta da Mario a Titta: – “Se vai a Roma e vedi quel pataca di Fellini, salutalo da parte mia e digli che è un pataca”.
Bello e istruttivo: dare del pataca a un amico che non lo è per paura che lo diventi…

Giuliano Bonizzato

*Vedi ‘Riccione, la bellissima del mare’ a cura di Beppe Boni recentemente pubblicato in occasione del centenario dalla fondazione. (pag.19-59).