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Gianfranco Miro Gori: "Ceppo e mannaia. Anarchici e rivoluzionari romagnoli nel mondo"


Zoca e manera! Gli anarchici di Romagna dichiarano guerra a tutti i poteri del mondo


2 Aprile 2023 / Paolo Zaghini

Gianfranco Miro Gori: “Ceppo e mannaia. Anarchici e rivoluzionari romagnoli nel mondo” – Interno4.

Miro da qualche anno alterna la redazione di libri di poesie romagnole (l’ultimo “Artai. Versi nel dialetto romagnolo di San Mauro Pascoli (1995-2014)” edito da Tosca nel 2019), a quelli sul cinema (l’ultimo “Rimini nel cinema: immagini e suoni di una storia ultracentenaria” edito da Interno4 nel 2019), a quelli storici (l’ultimo prima di questo che recensisco ora “Processo al ’68” edito da Il Ponte Vecchio nel 2016).

Per quest’ultimo suo lavoro ha preso 13 anarchici romagnoli tra la metà dell’Ottocento e la metà del Novecento e ne ha ricostruito la vita e le vicende. Sono nomi noti, protagonisti della vita politica e giudiziaria italiana, ma non solo. Molti di loro hanno operato in altri paesi europei e negli Stati Uniti.

Gli anarchici romagnoli furono grandi protagonisti, sin dall’origine, del movimento anarchico italiano. “L’Internazionale dei lavoratori in Italia nasce anarchica. Nel segno di Bakunin. E non a caso tiene il suo Congresso di fondazione in Romagna”, per l’esattezza a Rimini dal 4 al 6 agosto 1872. “Lo presiede Carlo Cafiero, trasferitosi armi e bagagli dal comunismo ‘autoritario’ di Marx all’anarchia predicata da Bakunin. Ne è segretario l’imolese Andrea Costa, astro nascente del socialismo rivoluzionario di impronta libertaria”.

Gori, nella presentazione scrive: “Ho pensato di raccontare le storie di alcuni anarchici romagnoli, con il semplice intento di riproporre all’attenzione del pubblico personaggi assai noti ai tempi loro, anche se oggi molto meno”. Lo fa, mi permetterei di dire, guardandoli con grande simpatia anche se molti di loro vissero una vita violenta, subendo dure repressioni degli stati dove agirono, ma compiendo diversi di loro attentati, omicidi, scontri a fuoco con la polizia.
Felice Orsini (1819-1858), nato a Meldola, nell’attentato con bombe contro l’imperatore francese Napoleone III a Parigi il 14 gennaio 1858, uccise 156 persone, di cui venti donne e 11 bambini.

L’imperatore si salvò, e Orsini venne ghigliottinato il 13 marzo 1858. I giornali presentarono Orsini come un eroe. Camillo Cavour, vista la popolarità che aveva raggiunto la figura di Orsini, sfruttò la situazione per aumentare la sua pressione politica sulla Francia affinché aiutasse il Piemonte e non lasciasse nelle pericolose mani dei rivoluzionari terroristi l’iniziativa di unificare l’Italia. “Orsini è prima di tutto un combattente, un soldato, insomma un uomo d’azione, che è proteso con le armi al raggiungimento del suo obiettivo”. Ma “resta la domanda se sia stato un uomo del Risorgimento indotto o costretto al tirannicidio o un anarchico della prima ora. Un precursore dei terroristi che non si curavano delle vittime ‘innocenti’ lasciate sul terreno, biasimati nondimeno dalla quasi totalità del movimento anarchico e da tutti i suoi principali capi?”.

Il savignanese Pietro Cesare Ceccarelli (1842-1866) è un militante dell’alba dell’anarchia in Italia, un ex garibaldino, “lucido teorico della guerra per bande, nonché istruttore militare dei ribelli”.
Amilcare Cipriani (1844-1918) riminese di adozione (era nato ad Anzio da padre romagnolo, trasferitosi nella nostra città giovanissimo) si definì “socialista, ateo, rivoluzionario, comunista, internazionalista”. Anche lui non fu un teorico, quanto invece un guerriero. Partecipa nel 1871 all’insurrezione popolare di Parigi e alla proclamazione della Comune. Sconfitti i comunardi, viene condannato a morte, ma la pena gli viene poi commutata nella deportazione a vita in Nuova Caledonia. Dopo nove anni viene graziato assieme a tutti i comunardi dal Presidente Leon Gambetta e nel 1880 rientra in Francia. Espulso rientra in Italia dove viene arrestato per diserzione dall’esercito e per un omicidio commesso ad Alessandria d’Egitto: condannato a 25 anni di reclusione a Portolongone. In Italia si scatena una campagna in sua solidarietà e i socialisti lo candidano alle elezioni, facendolo eleggere. Ma il governo annulla le elezioni. Nel luglio 1888 viene rilasciato, torna a Rimini. “Un’apoteosi (…) messaggi inneggianti all’eroe della Comune. La stampa lo esalta. Tutti lo vogliono: e lui ripara in Francia”. Per la festa del’1 Maggio 1889 è a Roma, sul palco degli oratori. Scoppiano dei tumulti in piazza, ci sono feriti, Cipriani accorre con i soccorritori, muore un agente. E’ nuovamente arrestato. Il processo “diventa l’ennesima tribuna per Cipriani”, ma lui deve scontare quasi tre anni di galera. Uscito ripara prima in Svizzera, poi in Belgio ed infine in Inghilterra. Per spostarsi poi in Grecia a combattere contro i turchi. In Italia i socialisti lo fanno eleggere altre due volte in Parlamento, ma “non può entrarvi perché non gode dei diritti politici e civili”. Rimane in Francia sino alla morte nel 1918. “La gigantesca fama, il mito di Cipriani, piano piano sfuma. Ma non in Romagna”. Di lui aveva raccontato anche il recente libro di Marco Sassi “Amilcare Cipriani il rivoluzionario” (Bookstones, 2019).

Gori poi ci racconta la storia della coppia Luisa Minguzzi (1852-1911) e Francesco Pezzi (1849-1917), ravennati; del riminese Domenico Francolini (1850-1926) (“per coerenza, continuità d’azione, rigore teorico, contatti e partecipazione al movimento, Francolini merita un posto tra i principali militanti dell’anarchia in Italia”); dell’imolese Andrea Costa (1851-1910) che prima di diventare leader del Partito socialista di Romagna (fondato a Rimini dal 24 al 28 luglio 1881) per lunghi anni è un dirigente del movimento anarchico italiano; degli anni politici, a fianco degli anarchici, del poeta Giovanni Pascoli (1855-1912) di San Mauro (“Pascoli non ha fatto né farà la rivoluzione, non ha usato né userà il coltello e tanto il petrolio e la dinamite. Con Costa che entra in Parlamento, lui entrerà nell’insegnamento. Da quel momento non scriverà più versi in odore di vendetta e rivoluzione e ateismo; seguiterà però nel solco del socialismo”); del sindacalista Armando Borghi (1882-1968) di Castel Bolognese (“nell’ambito del movimento libertario Borghi combatte le posizioni estreme degli individualisti che si ispirano a Max Stirner, senza però aderire alle istanze di un’organizzazione stabile”; nel 1919 Borghi è ancora “un sostenitore fervente della rivoluzione d’Ottobre, ma ben presto, soprattutto dopo la sua visita in Russia, muterà radicalmente d’avviso, denunciando pubblicamente in ogni occasione l’involuzione autoritaria dei bolscevichi e della rivoluzione”); del savignanese Mario Buda (1883-1963) (che wikipedia definisce come l’inventore dell’autobomba) e di Carlo Valdinoci (1895-1919), di Gambettola, emigrati negli Stati Uniti e autori di numerosi attentati e fra i promotori della campagna per la liberazione degli anarchici Sacco e Vanzetti (arrestati nel maggio 1920 e uccisi sulla sedia elettrica nel 1927); del cesenate Pio Turroni (1906-1982), tra i primi volontari italiani a giungere in Spagna nell’agosto 1936 (organizzatore di un attentato a Mussolini che si doveva attuare “durante le vacanze del duce con la famiglia a Riccione nei primi giorni di agosto del 1938”, ma il progetto per vari motivi sfuma. Ebbe negli ultimi anni della sua vita grande attenzione all’educazione, alla scuola. Collaborò, “anche come muratore” al Centro Educativo italo-svizzero di Rimini: “autogestito e animato dalla socialista svizzera Margherita Zoebeli”)

Ed infine del partigiano faentino Silvio Corbari (1923-1944): “L’epopea di Corbari dura una breve stagione ma la sua intensità non ha eguali”, anche perché “Corbari infrangeva una delle regole bronzee della cospirazione. Quella dell’anonimato. Ogni sua azione recava la sua firma. Sono Corbari, proclamava”.

“Corbari: una mescolanza inestricabile tra anelito alla libertà, ansia di giustizia, brama di uguaglianza, coraggio indomito, sprezzo del pericolo unita ad una quota significativa di narcisismo e vanità”. Il 18 agosto 1944 a Castrocaro Terme viene catturato dai tedeschi che lo appendono per alcuni giorni ai lampioni di Piazza Saffi a Forlì insieme alla sua donna Ines Versari e ai compagni di lotta Adriano Casadei e Arturo Spazzoli.

“Zòca e manèra” (Ceppo e Mannaia) è un motto di saluto dal significato non equivocabile degli anarchici romagnoli del primo periodo del movimento.

Paolo Zaghini