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Ci sono feste comandate e feste da comandare


5 Maggio 2023 / Nando Piccari

Dialogo ascoltato l’altro giorno, fra un turista che cercava di orientarsi ed un passante.
“Scusi, lei è di Rimini?”
“Sì, come posso aiutarla?”
“Saprebbe dirmi come arrivare al Ponte sul Parecchia e in quale punto della città si trovi la Baia Imperiale, per andarci a ballare stasera?”
“Ma intende qui a Rimini? Perché veramente il Parecchia non l’ho mai sentito nominare e quella discoteca sta a Gabicce…”
“Forse non mi sono spiegato bene. So per certo che la Baia è in Via Panoramica e il ponte che cerco è quello antico, costruito da un certo ingegner Tiberio, che mi sembra venisse da Roma. E siccome Rimini ha due secoli di storia, il ponte per essere storico dovrà avere all’incirca cento anni.”
Il riminese si trattiene dal ridere: “Ma chi gliele ha raccontate queste baggianate? Il fiume si chiama Marecchia, il ponte iniziò a farlo costruire l’imperatore Augusto più di duemila anni fa ed a completarlo provvide Tiberio, che non era un ingegnere ma il suo successore. Riguardo poi alla Baia Imperiale, le assicuro che…”

A quel punto il turista, imbufalito, non lo lascia continuare: “Ma come si permette di contraddire il ministro del turismo che finalmente l’Italia si meritava? I casi sono due: o non sa che quanto le chiedevo di indicarmi sono le cose riminesi raccontate in quella stupenda opera di promozione turistica ideata dalla Santanchi?, o lo sa e allora è proprio un comunista che ce l’ha a morte con lei, perché insieme al suo socio Briatore loro sì che sanno cos’è il turismo coi soldi, mica come qui da voi, dove c’è gente che arriva in vacanza con le pezze nel culo”.

Girando per Rimini nei giorni scorsi, era tutto un imbattersi in persone che ridevano chiedendosi l’un l’altra: “Hai letto le fregnacce che racconta la Santanchi?, su Rimini, come su gran parte del resto d’Italia? E la Venere del Botticelli che sembra essere la gemella della Barbie? E gli strozzapreti definiti pasta all’uovo? E il Teatro Galli che sarebbe ancora un rudere ?”

Ma si è poi scoperto che a Rimini la Santanchì? ha almeno un estimatore fra quanti operano nel mondo del turismo e del divertimento: il gran capo Gianni Indino. Il quale, anziché emanare la settimanale enciclica “Habemus sfigam”, s’è lasciato andare per una volta ad un sussulto di gioia. Questo perché «sono bastati venti giorni di lavoro alla Ministra Daniela Santanché affinché (..) la Venere balli finalmente in discoteca», per di più in minigonna.

Sembra che invece la Signor Presidente del Consiglio Giorgia Meloni non abbia ancora trovato modo di congratularsi con la Santanchì?, perché presa da mille incombenze, a cominciare dalla sceneggiata messa in atto il Primo Maggio.
Chiamando le cose con il loro nome, l’imposizione di quell’adunanza ha avuto prima di ogni altra cosa il sapore di un “ricattino” ai sindacati veri, quelli che lei continua a chiamare neofascisticamente “la triplice”. Ai quali ha infatti rivolto un ruvido quesito: “Preferite voi venirmi ad omaggiare accodandovi a quei tre foruncoli pseudo-sindacali che mi reggono la coda, o volete che vi sputtani nel solitario talk show che manderò in onda subito dopo, raccontando che avete scelto i bagordi festaioli del 1° Maggio piuttosto che il confronto con le proposte rivoluzionarie a favore dei lavoratori che avrei voluto presentarvi?”

A voler essere dei ridanciani maliziosi quanto basta, ci si potrebbe perfino divertire immaginando che, in fondo in fondo, alla Meloni quell’adunata abbia favorito pure un nostalgico e gioioso rimando alla “Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali”, voluta da nonno Benito.

Adesso però viene il bello. Pare infatti che. sull’esempio del binomio Primo Maggio-lavoro, sia partita una gara fra i ministri, a chi riuscirà ad abbinare la materia a cui è delegato ad una delle ricorrenze in calendario.

La prima proposta sembra sia stata del ministro alla cultura, che essendo notoriamente un adoratore dell’Alighieri, da lui ritenuto il vero fondatore della destra italiana, avrebbe pensato bene che il 14 febbraio, San Valentino, sarebbe bello promuovere incontri e riflessioni all’insegna del dantesco «Amor, ch’a nullo amato amar perdona».

Sarebbe però intervenuto Salvini, obiettando che se proprio si vuol far ricorso a Dante, lo si usi almeno contro l’immigrazione islamica. Ha infatti saputo dalla sua socia Buongiorno che nel Canto XXVIII dell’Inferno il Sommo Poeta concia per le feste Maometto, «rotto dal mento infin dove si trulla», per cui meglio di così….

Si mormora che a quel punto Sangiuliano avrebbe optato per un’altra proposta analogamente indicativa dell’eccellenza culturale di cui è portatore sano: l’abbinamento fra la Festa del Papà del 19 marzo e la celebre frase di George Herbert, «Un padre è meglio di cento insegnanti».

Salvini si sarebbe però nuovamente ribellato, ritenendo quella frase uno strisciante oltraggio al leghista suo “Ministro all’Istruzione e soprattutto al Merito”. Un po’ come dire che a quel punto non si capisce bene cosa ci stia a fare.

Si è allora fatta avanti la ministra Suor Eugenia Roccella, sperando di mettere d’accordo tutti con il festeggiamento governativo della Festa della Mamma il 14 maggio. Ed essendo fanatica avversaria delle famiglie omogenitoriali, le era sembrato doveroso affiancare la festa allo slogan «Di mamma ce n’è una sola».

Ma alla fine qualche collega l’ha convinta a rinunciarci, per riguardo a Salvini, che di mamme da fronteggiare ne ha messe insieme tre.

Nando Piccari