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Un'amicizia nata nel 1965 e mai venuta meno (anche se mi fece abbandonare il pallone)

Prima ancora che come Assessore del PCI, nel 1965 avevo conosciuto Cagnoni allenatore del Viserba Calcio. Dopo aver giocato con alterne fortune nella Sanges di Don Pippo e Don Valerio, grazie al contributo finanziario di Don Angelini, Parroco di San Fortunato, l'anno prima avevo “fondato” insieme a Bruno Frisoni L'Olympic, destinata poi a diventare il “sacco delle botte” nel campionato Juniores. Ma pure se sconfitti, disputammo proprio a Viserba una delle nostre migliori partite, l'ultima di campionato. Al punto che alla fine il dirigente accompagnatore della squadra locale propose ad alcuni di noi di tornare di lì a qualche giorno per un “provino”. Fu in quell'occasione che vidi per la prima volta Lorenzo Cagnoni, di cui non solo a Viserba si sentiva molto parlare per i successi della squadra sotto la sua guida. Nella partitella che ne seguì segnai due gol, per cui quando alla fine lui mi fece un cenno serioso di avvicinarmi, mi aspettavo di ricevere dei complimenti. Invece mi chiese a bruciapelo quanto pesassi e alla mia risposta aggiunse: “Allora devi perdere tre chili”. Cosicché nei due successivi allenamenti dovetti fare solo dei gran giri di campo, senza toccare il pallone. Fu così che mi rassegnai a lasciar perdere le velleità

E quale qualifica bisognerebbe dargli nella targa dell'intitolazione?

Premetto che se qualcuno mi desse del perbenista, o peggio ancora del moralista, gli risponderei per le rime. Dopodiché aggiungo di aver letto, a poca distanza di tempo l'uno dall'altro, i due articoli usciti domenica in riferimento all'eventuale intitolazione di una via a Zanza. Uno è di Bonfiglio Mariotti, che sul Carlino ha espresso un convinto diniego; mentre Gibo Bonizzato, su questa testata, si è invece mostrato ampiamente possibilista. Per una di quelle impreviste sorprese che ogni tanto capitano nella vita, devo dire che sono pienamente d'accordo con Mariotti, che pure dei due mi è il più distante culturalmente. Come dicono a Napoli,“Ogne scarrafone è bell'a mamma soja”. Dunque comprensione e rispetto per l'uscita con cui la madre di Zanza ha chiesto quell'intitolazione al figlio, di cui continua inevitabilmente a soffrire la perdita. Certo, la cosa fa discutere, anche se non si trova alcun riscontro dei “racconti giornalistici” sulla «Rimini che si divide», o sul «dibattito infuocato che si è scatenato sulla proposta di intitolare a Zanza una via o una rotonda». Anche perché, diciamo la verità: se oggi partisse un sondaggio con la domanda “Vuoi tu intitolare una via o una rotonda a Zanza?” il risultato, numero più numero meno, darebbe un 10% di “sì”,

E sono le stesse cose scritte da Giorgia Meloni nel libro firmato assieme ad Alessandro Meluzzi

All'inizio si poteva sospettare che il mondezzaio di oscenità fascistoidi, razziste, omofobe e tant'altro, contenute nel libro di un generale che incredibilmente ha funzioni di comando nell'Esercito della nostra Repubblica democratica, fosse frutto del suo solitario “andar via di testa”. Dalla solidarietà, via via crescente, ricevuta nei giorni immediatamente successivi s'è invece capito come quell'individuo, forte della sua divisa, fosse stato mandato in avanscoperta, a mo' di coglioncione. Da chi? Da un bel fascio di Fratelli d'Italia, con l'aggiunta di altro generico cascame di estrema destra, più Sgarbi e Salvini, tutti uniti dallo scontento per le evidenti finzioni neo-moderate in cui si sta esercitando con pacchiano impegno la Meloni. Ma siccome alla cretineria non c'è mai fine, ecco aggiungesi ai difensori del Vannacci nientepopodimenochè il “comunista ridolini” Marco Rizzo: «Altro che frasi omofobe, il generale fatto fuori per le sue idee sull’uranio». Adottando il “parlare a nuora perché suocera intenda”, è un po' come se sotto sotto le stessero dicendo: “Guarda che gran parte di nostri elettori ti ha votata perché fino a ieri non ti vergognavi di far vedere che la pensi come quel Vannacci lì. Attenta a fare troppo la signorinella accomodante sia col Quirinale che con Bruxelles, perché Alemanno

Si devono accontentare di rimanere “fascisti dentro” ma ogni 2 agosto qualcosa devono pur mistificare

Lì per lì anch'io, credo come tanti, mi sono divertito a confrontare queste due foto che testimoniano di un così diverso quantitativo di truculenta imbecillaggine fascista accorsa a Predappio in momenti diversi, a festeggiare il compleanno del suo truce pelatone: sopra il foltissimo gregge degli anni passati, sotto il disorientato gruppuscolo di sfigati ritrovatisi lo scorso 30 luglio. Ma a ben pensarci c'è poco da essere allegri, perché una così marcata diminuzione di mondezza a Predappio non è frutto dell'insorgenza di imbarazzi e men che meno di ripensamenti. Corrisponde invece al disegno ben preciso di tanti neofascisti che, per non far danno alla Meloni ed ai camerati che sono con lei al governo, hanno capito di doversi accontentare di rimanere “fascisti dentro”, sforzandosi di non darlo più a vedere. Cosicché l'unico saluto romano che si concederanno sarà d'ora in poi quello ai familiari, uscendo di casa al mattino. Tuttavia le cronache evidenziano come non siano pochi coloro che faticano rassegnarsi ad un simile cedimento finto-democratico, da loro considerato una vera e propria diserzione. La ricorrenza della strage fascista del 2 agosto (io, come si dice, “l'ho scampata per miracolo”) ha così fornito a taluni di costoro l'occasione per ostentare la turpitudine di

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