Musa, cantiam le memorande imprese Di Rinaldin, dell’immortal Tremone, ai quali Marte il cor d’ardire accese di Rinaldo e d’Orlando al paragone. E sempre invitti, e vincitor li rese in ogni audace bellica tenzone, onde la vil sbirraglia infame e sciocca morde per rabbia ancor la lingua in bocca. Sono i versi scritti da un frate, Mariano Minghetti, che Nevio Matteini ha riscoperto della Biblioteca Gambalunghiana di Rimini. Narrano le imprese di Masòn dla Blona, che Leandro Castellani nel suo libro "La ballata di un brigante" ha voluto ribattezzare "il Robin Hood di Montemaggiore". Il 13 ottobre 1786, a Ravenna, il Cardinal Legato Valenti-Gonzaga, condanna a morte Rinaldini Tommaso detto Masòn d’la Blona, Baldrati Giovanni da Castel Bolognese detto Tremone e Foschi Francesco da Cesenatico. Promulgatasi la sentenza e fatto venire da Mantova il carnefice, sono giustiziati per impiccagione il 21 di ottobre. In ottemperanza alle disposizioni della sentenza, le teste di Masòn, di Tremone e del Franceschino, vengono trasportate a Cattolica, ai confini della legazione di Romagna. Sono esposte per ammonimento, «con ferrate e lapide», sul frontone della porta del paese, che da allora (sembra) assumerà il nome di “porta degli impiccati”. E' questa la fine di una delle bande di briganti fra le più famose dell'epoca, capace di imprese che saranno narrate per decenni.
Nel 1543 «Alli dodeci di Ottobre per lo valore di Giovanni Carrari da Bergamo, eccellentissimo Ingegnere, furono compiuti d'acconciare i condotti della Fontana, fatti (come s'è detto altrove) da Antonino Pio, e alle dodici hore delli vinti fu data loro l'acqua con allegrezza universale della Città; la quel tre anni ne era stata priva»: così Cesare Clementini ricorda il ripristino della Fontana che oggi chiamiamo "della Pigna", nella piazza di Rimini che oggi è dedicata a Cavour. Come dice lo storico riminese del '600, si dava per certo che la Fontana avesse origine romane e se ne attribuiva la costruzione all'imperatore Antonino Pio (86-161 d.C.). Ma cos'era successo tre anni prima? Come mai Rimini era rimasta per tanto tempo senza la sua unica fonte di acqua pubblica? [caption id="attachment_60996" align="aligncenter" width="670"] La Piazza della Fontana nel XV secolo[/caption] Lo spiega lo stesso Clementini: «La cagione della qual privazione fu la comparsa in Rimini del Cardinale Del Monte (il Cardinal legato Giovanni Maria Ciocchi del Monte, futuro papa Giulio III) a' cui i Riminesi doveranno eternamente, perché essendo allhora fatti sopra il vaso della fontana fuoghi di smisurata grandezza fracassandolo, chiusero la bocca all'acquedotto, ò come scrive Gio. Battista Monticoli Riminese di veduta, per
Secondo Cesare Clementini, che scrive nel 1617, nell'anno 425 Galla Placidia e suo figlio, l'imperatore Valentiniano III «nel mese di ottobre vennero in questa Città di Rimino, oue furono raccolti con quell'applauso, e pompa, che a tanto Imperatore, e alla diuozione di Popolo fedele conueniua». "Tanto Imperatore", Valentiniano III, ha sei anni e in realtà non è ancora salito ufficialmente sul trono. Sua madre lo sta appunto conducendo a Roma per l'incoronazione come "Augusto d'Occidente", che avverrà il 23 del mese. Un anno prima Valentiniano era stato nominato invece "Cesare d'Occidente", che nella ripartizione voluta da Diocleziano significava stare un gradino sotto l'Augusto. Intanto gli Unni di Attila sono ormai alle porte, ora alleati, ora devastatori. Come i Goti, gli Alani, i Burgundi, i Vandali e tanti altri. [caption id="attachment_60859" align="aligncenter" width="1314"] Particolare della Croce di Desiderio, gioiello carolingio conservato nel Museo di Santa Giulia a Brescia, con un ritratto raffigurante, secondo la tradizione, Galla Placidia e i figli Valentiniano III e Giusta Grata Onoria[/caption] Siamo negli anni convulsi del crollo dell'impero romano d'Occidente ed Elia Galla Placidia (Costantinopoli 392? - Roma 450) ne è una delle protagoniste assolute, nel bene e nel male. Nipote di tre imperatori, figlia di uno (Teodosio il Grande, colui
Il 10 ottobre 1500 Cesare Borgia, il "Duca Valentino", si era impossessato di Rimini dopo un accordo con Pandolfaccio Malatesta. Ma esattamente due anni dopo, la situazione del figlio del papa Alessandro VI fra Romagna e Montefeltro non è affatto rassicurante. Il Borgia in quel 1502 era riuscito a scacciare da Urbino il Duca Guidobaldo da Montefeltro e si era anche impadronito della posizione strategica più importante, il forte di San Leo. Ma il 10 ottobre 1502 a San Leo succede qualcosa, come puntualmente riferisce il giorno dopo Antonio Giustinian, Ambasciatore veneto preso la Santa Sede, in uno di suoi dispacci quotidiani alla Serenissima: «Un castello ditto San Leo, el più forte del Ducato d'Urbino, nel quale si dice erano tutte le robe che fo' del duca, e del signor de Camerino (Giulio Cesare da Varano, strangolato quello stesso anno insieme ai tre figli da Michelotto Corella sicario del Valentino dopo essere stato sconfitto dalle truppe borgesche), se ha sollevato contra el Duca de Valenza(cioè il Borgia), e chiama el duca vecchio (Guidobaldo)». [caption id="attachment_60690" align="aligncenter" width="1314"] Papa Alessandro VI[/caption] Giustinian è molto informato anche sui dettagli della sollevazione. Glieli ha riferiti il Pontefice di persona: «Essendo venuti alle mani li uomini della terra con alcuni Spagnoli che erano
Il 16 agosto 1468 Sigismondo Pandolfo Malatesta aggiunge al suo testamento, redatto una prima volta il 23 aprile 1467, un codicillo con cui lascia le sue proprietà di Ragusa (oggi Dubrovnik) ai figli naturali Lucrezia e Pandolfo, e in mancanza di loro discendenti maschi, a Isotta e a Sallustio, figlio avuto da Vannetta de' Toschi; se anche questi non avessero avuto eredi maschi, il tutto sarebbe andato alla fabbrica "Ecclesie Sancti Francisci de Arimino", cioè il cantiere dove si sta costruendo il Tempio Malatestiano. Lucrezia e Pandolfo erano nati dalla relazione di Sigismondo con la bolognese Gentile di Ser Giovanni. Lucrezia, promessa in un primo tempo a Cicco Ordelaffi dei signori di Forlì, finirà invece sposa di Alberto, fratello di Borso d'Este duca di Ferrara. Di Pandolfo non si sa altro, dunque dovette scomparire di lì a poco. L'atto viene suggellato in casa di Isotta degli Atti: la moglie di Sigismondo si prendeva cura dei figli legittimi come di quelli illegittimi. I costumi e le leggi ancora in vigore nell'Italia degli anni Sessanta del XX secolo nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio erano molto meno comprensivi rispetto a quelli di mezzo millennio prima. Ci sarebbe anche Roberto, il maggiore di tutti figli, anch'egli
L'8 ottobre 2011 muore Aldo Gennari, notissimo otorinolaringoiatra originario di Morciano. Ma ancor più nota è la sua creatura in tutt'altro campo: la discoteca Byblos. Nel 1970 il dottor Gennari affida all'amico architetto Arnaldo Tausani il compito di progettargli una villa in una splendida posizione panoramica sulle colline di Riccione (anche se il territorio comunale è quello di Misano). Tausani ha già realizzato il nucleo originario di Porto Verde, locali come il Villa Alta e il Savioli e firmerà poi la Baia Imperiale. Concepisce la villa in stile mediterraneo, solare, elegantissima nella sua essenzialità. La svolta avviene in corso d'opera. Nel 1971, un geniale imprenditore veneto, Giorgio Magrino, già proprietario del Bilbò di Cortina d'Ampezzo giunge a Riccione e vista la villa di Gennari se ne innamora immediatamente. La sua intuizione è folgorante: diventerà il locale estivo più alla moda d'Italia. L'idea affascina il medico, che rinuncia al suo buen retiro privato per aprirlo a tutti. Siamo agli albori dell'era delle discoteche e il Bilbò di Riccione nasce per essere la migliore: non più una pista con l'orchestra da una parte e i tavolini dall'altra, ma l'ambiente confortevole di una residenza di classe, dove ora la star è una nuova figura: il deejay. Quello del Byblos è di colore, il che ai
Maria Maddalena è la sorella minore di Federico e Riccardo Fellini, nata a Rimini il 7 ottobre 1929: i fratelli la soprannominano Bàgolo. E' anche l'ultima della famiglia a entrare nel modo dello spettacolo, ma quando lo fa recita in diversi film e lavora con successo anche in teatro e televisione. [caption id="attachment_60384" align="aligncenter" width="1316"] La famiglia Fellini: Maddalena è la prima a sinistra (da www.federicofellini.info).[/caption] Come si legge in "Le attrici: dal 1930 ai giorni nostri" di Enrico Lancia, Maddalena «coltiva sin da piccola la passione della recitazione: è interprete di numerosi spettacoli scolastici ed amatoriali e a diciannove anni vorrebbe raggiungere il fratello a Roma per iscriversi all'Accademia d'Arte Drammatica, ma la madre la dissuade. Alle sue velleità di attrice rinuncia definitivamente nel 1953, dopo il suo matrimoni con il medico Giorgio Fabbri, da cui ha una figlia». La svolta avviene molto tempo dopo, nel 1987, quando Liliano Faenza la chiama ad interpretare in teatro la commedia dialettale Stal Mami: è un grande successo. Successo però poco più che riminese. Ma ormai Maddalena non rinuncia più al suo sogno: «Alta e robusta - prosegue la scheda - dotata di vitalità esuberante e di istintiva simpatia, accetta di "debuttare" nel cinema, ormai ultrasessantenne, in La neve sul fuoco di M.T.
Nel novembre 1545 Giovan Matteo Faitani, Abate di Santa Maria Annunziata di Scolca, chiede al pittore aretino Giorgio Vasari di realizzare una grande pala per l'altar maggiore della chiesa abbaziale riminese. Faitani ha sviluppato uno stretto rapporto d'amicizia col Vasari, anche se non sappiamo da quando e in quali circostanze tale relazione sia nata. Il contratto definitivo, che prevede esplicitamente la presenza del pittore sul posto, viene stipulato a Firenze il 9 agosto 1547; Vasari parte per Rimini fra la fine di settembre ed i primi di ottobre dello stesso anno. A quel tempo ha ormai pressoché terminato la prima stesura dell'opera che gli darà gloria ben più duratura dei suoi dipinti: "Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori"; il Faitani doveva averlo allettato mettendogli a disposizione i suoi monaci amanuensi per vergare in bella copia il manoscritto definitivo, forse già in più esemplari; la correzione del testo sarebbe stata compiuta personalmente dallo stesso Abate. La pala del Vasari (nell'immagine in apertura) terminata nella primavera del 1548, la splendida "Adorazione dei Magi", restaurata dalla Fondazione Carim, è ancora al suo posto sull'altar maggiore della chiesa che i Riminesi chiamano oggi di San Fortunato. Mancano però i pannelli laterali, scomparsi e poi quasi miracolosamente recuperati dallo
La "Facoltà" (ovvero, la concessione) di costruire ed esercitare la ferrovia tra Ancona e Bologna venne accordata dal governo pontificio, con decreto del 21 maggio 1856, al Marchese di Casa Valdes, con la prescrizione di costruirla entro 10 anni e concedendola per la durata di 95. Il 16 agosto successivo il governo approvò lo statuto della Società generale delle strade ferrate romane costituita per la costruzione e l'esercizio dell'intera linea ferroviaria Roma-Ancona e la sua prosecuzione fino a Bologna. Detta società era concessionaria della intera rete detta Pio Centrale che comprendeva anche la Roma-Civitavecchia e favoriva anche gli interessi della rete ferroviaria dell'austriaco Lombardo-Veneto portando la strada ferrata fino a Ferrara e al Po, il confine che allora divideva i due stati. [caption id="attachment_60043" align="aligncenter" width="1322"] 1866: un treno proveniente da Bologna-Rimini-Ancona entra nella Stazione Termini di Roma[/caption] La ferrovia fu però aperta all'esercizio solo nel 1861, dopo l'annessione al Regno d'Italia di gran parte dei territori che attraversava. Il tronco Bologna-Forlì fu inaugurato il 1º settembre 1861, quello Forlì-Rimini il 5 ottobre e il 17 novembre fu la volta del tratto ferroviario da Rimini fino alla stazione di Ancona. Scrive Massimo Bottini (della Confederazione Mobilità Dolce e coordinatore AIPAI-Associazione Italiana Patrimonio Archeologico Industriale per la Romagna):
Il 4 ottobre 1944 il Cln (Comitato di Liberazione Nazionale, dove sono rappresentati tutti i partiti anti-fascisti) nomina la giunta comunale. Primo sindaco di Rimini dopo la liberazione è il socialista Arturo Clari, che era già stato primo cittadino dal 1920 al 1922 prima di essere costretto alle dimissioni dagli squadristi che gli avevano anche bruciato la casa. [caption id="attachment_170086" align="aligncenter" width="777"] Arturo Clari[/caption] Della giunta fanno parte, fra gli altri, Gomberto Bordoni, anche lui socialista e membro del Cln, e il cattolico Alberto Marvelli (che sarà proclamato Beato), quale assessore alla ricostruzione. [caption id="attachment_170035" align="aligncenter" width="820"] Alberto Marvelli[/caption] Inoltre: A. Zangheri, G. Babbi, F. Angelini, V. Belli, C. Giuliani, A. Gobbi, M. Macina, I. Pagliarani. [caption id="attachment_235285" align="aligncenter" width="400"] Giuseppe Babbi[/caption] Una delle primissime delibere è quella del 9 ottobre, quando si decreta che Piazza Giulio Cesare sarà d'ora in poi Piazza Tre Martiri. [caption id="attachment_170038" align="aligncenter" width="774"] Gomberto Bordoni[/caption] I compiti della nuova amministrazione sono durissimi. Nelle casse comunali le amministrazioni fasciste hanno lasciato un debito di 66 milioni. Impossibile ottenere prestiti. La cittadinanza sopravvive praticamente solo con i viveri, per lo più in scatola, forniti dalle truppe di occupazione alleate. Il mercato nero, già prospero prima, ora esplode. Non c'è quasi un'abitazione indenne. Gli sfollati sono un
Flavio Maurizio Tiberio (Arabisso, 539 circa – Nicomedia, 27 novembre 602, nell'immagine in apertura) fu l'imperatore dei Romani dal 582 alla sua morte. Nessuno dei suoi contemporanei l'avrebbe definito "imperatore bizantino", come si fa oggi nei libri di storia. A quei tempi di imperatore ce n'era uno solo, era quello romano e stava a Costantinopoli. Maurizio era universalmente riconosciuto quale diretto successore di tutti quelli che avevano regnato da Ottaviano Cesare Augusto in poi. [caption id="attachment_286895" align="alignleft" width="1024"] Maurizio (a sinistra) ordina l'esilio del cognato, generale Filippico[/caption] Nato ad Arabisso in Cappadocia (l'odierna città turca di Yarpuz), Maurizio apparteneva a una famiglia aristocratica romana trasferita da secoli in Asia minore. Cresciuto a Costantinopoli alla corte di Giustino II, successore di Giustiniano il Grande, a 39 anni fu nominato magister militum (generale) dal nuovo imperatore Tiberio II, del quale era amico e stretto collaboratore. Il suo compito era affrontare il nemico di sempre, l'impero persiano dei Sasanidi. Lo assolse nel modo più brillante collezionando in tre anni una vittoria dopo l'altra, devastando la Mesopotamia e minacciando la stessa capitale persiana Ctesifonte (presso l'attuale Salman Pak, nel cuore dell'Iraq). Costretti i Persiani a una pace umiliante, tornò a Costantinopoli per celebrare il suo trionfo,
Il 3 ottobre 1232, come riporta Luigi Tonini, «i Signori del Miratoio, Guido cioè e Rainerio fratello del fu Alberico dal Miratoio, e similmente Ugolino e Paganuccio pupilli, figli di detto Alberico, condotti nel Consiglio dì Rimini da Ugolino Ridolfi da Lauditorio lor zio, si sottoposero ciascuno a tulle le fazioni cui i cittadini di Rimino tenuti fossero, e ricevendo perciò la cittadinanza rimlnese, e con essa la protezione e difensione del nostro Comune, tanto per le persone quanto per le terre, ville, e uomini loro». [caption id="attachment_489131" align="alignleft" width="800"] S, Agostino a Miratoio[/caption] La "protezione e difensione" del Comune di Rimini non è in realtà per Miratoio, ma copre chi invece voleva riprendere il castello sotto il suo dominio: il Conte di Carpegna, a sua volta cittadino di Rimini. Fra le clausole del cittadinatico concesso al Conte di Carpegna nel 1228 e rinnovato nel settembre di quel 1232 (con la promessa da parte del Conte di versare ogni anno al Comune un censo di 50 lire di Ravenna), infatti, c'è anche quella di sostenere le sue rivendicazioni e Miratoio è una di queste. Tant'è vero che Rimini aveva richiesto aiuti armati anche a Urbino, sulla base dei trattati, per ridurre i ribelli alla ragione. Capo di costoro