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1 gennaio – Capodanno, il giorno degli oracoli


1 Gennaio 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Per la cultura tradizionale le date avevano un grandissimo valore, di cui oggi avvertiamo solo qualche pallido riflesso. Il calendario regolava l’intero universo: uomini e animali, forze della natura e tutte le “anime” che indubbiamente le pervadevano.

Ogni giorno aveva un suo particolare significato e richiedeva rituali appropriati, con atti e tabù rigorosamente codificati. I primi giorni di ogni nuovo anno rivestivano poi un’importanza speciale: attraverso osservazioni e gesti opportuni era possibile conoscere in anticipo cosa sarebbe accaduto nel futuro. Erano insomma i giorni dei pronostici, degli oracoli e dei vaticini, che facevano parte del magico periodo di “sonno” della natura, durante il quale il mondo sovrannaturale poteva comunicare con quello dei viventi sulla terra.

I dodici mesi e lo zodiaco nel mosaico del Duomo di Otranto (XII sec,)

“Le previsioni per l’andamento stagionale di tutto l’anno – rammenta Gianni Quondamatteo in “Dizionario romagnolo (ragionato)” (La Pieve, 1983) – si ricavavano osservando i calendre, cioè i primi dodici giorni di gennaio, e attribuendo al mese corrispondente l’andamento del rispettivo giorno. La controprova si faceva dal 13 al 24, corrispondendo il 13 a dicembre, il 14 a novembre, ecc.”.  E Umberto Foschi in “Proverbi romagnoli” (Maggioli, 1980) da Cesena raccomanda: “Al spei di mis t’èi da ussarvè, che al t’dirà quel l’an l’ha da fé”, le spie dei mesi devi osservare, che ti diranno quel che l’anno deve fare.

Il Cristianesimo era giunto ad ammantare tradizioni già sedimentate da millenni. Nel “E’ luneri rumagnol” curato dal riminese Quondamatteo ma che suona nella parlata ravennate, (Galeati, 1980), il primo giorno di gennaio era consacrato a “La Mèma de Sgnurè”, Maria Santissima Madre di Dio. Ma la Madonna non aveva alcun ruolo nei tanti gesti sacrali da compiere quel giorno.

Invece, come riferiva il cesenate Giuseppe Gaspare Bagli nel 1885«Nel primo giorno dell’anno i contadini fanno questo gioco: nascondono una chiave, un bicchiere pieno d’acqua, un anello e della cenere; di poi, quegli che ha nascosta la roba manda gli altri a cercarla, e chi trova la chiave sarà fortunato tutto l’anno; chi l’anello dovrà farsi lo sposo nel corso dell’anno; chi trova l’acqua piangerà tutto l’anno, e finalmente chi trova la cenere dovrà morire».

Per le ragazze c’era poi un rito apposito: «Gettano dalle scale una ciabatta. Se la punta della ciabatta rimane rivolta verso la porta, ciò significa che si faranno spose ed usciranno di casa; se al contrario, rimane rivolta verso la scala, quello è indizio che non usciranno di casa e non si faranno le nozze».

Se la prima persona incontrata fuori dall’uscio a Capodanno era una donna, la sfortuna era certa per dodici mesi. C’era perciò l’uso di inviare i burdlazz, i figli maschi, a salutare i vicini, i quali per gratitudine li avrebbero ricompensati con un soldino.

Molti collocano il diffusissimo pasto propiziatorio dell’uva nel primo giorno dell’anno. Ma Giuseppe Bagli (Cesena, 1859 – Bologna, 1897) lo prescrive invece per il giorno di Natale: «Le massaie nascondono gelosamente, fin dalla vendemmia, alcuni grappoli d’uva, per poterli imbandire al pranzo del giorno di Natale, perché credono che ciò procaccerà ad esse del denaro per tutto l’anno». Usanza già descritta dal forlivese Michele Placucci (1782 – 1840) nel 1818.

Colombe beccano l’uva nel mosaico di San Vitale a Ravenna

Eraldo Baldini, citando Giovanni Bagnaresi che scriveva nel 1928 a Castelbolognese, conferma invece la canonicità del primo di gennaio, con qualche precisazione: «Mangiare uva il primo dell’anno, vuol dire assicurarsi denaro per tutto l’anno; ma l’uva deve essere regalata. Per ciò è costume scambiarsi, alla fine dell’anno, tra famiglie amiche, i bei penzoli di uva conservata fresca. È da notarsi che, perché l’uva faccia effetto, bisogna mangiarne almeno sette chicchi. Al pranzo di capodanno non bisogna mangiare mele, altrimenti si corre il rischio di avere per tutto l’anno la goccia al naso».

A parte ciò, non si trattava affatto di un pasto particolarmente abbondante; giusto quel tanto che richiedeva un qualsiasi giorno festivo. Era poi del tutto ignoto alla tradizione l’uso odierno di abbuffarsi con il cenone di Capodanno. Si attendeva la mezzanotte riuniti attorno al fuoco, sgranocchiando qualcosa cotta sulla rola del camino (castagne o meglio balòsi, patate in tla zendra) e permettendosi qualche bicchiere, scambiandosi i racconti reali e fantastici della “veggia”.

I nati del 1 gennaio:

Vincenzo Mascia, il partigiano che costruì la rete delle scuole materne di Rimini

Roberto Carrara, il comunista duro e puro

1 gennaio 1808 – Nasce a Rimini Enrico Bilancioni, medico, letterato e patriota