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18 marzo 1937 – Torna a Rimini la salma di Giovanni Venerucci fucilato con i Fratelli Bandiera


18 Marzo 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Il 18 marzo del 1937 viene traslata a Rimini la salma di Giovanni Venerucci, morto in Calabria assieme ai Fratelli Bandiera nel 1844.

Giovanni Venerucci, nato a Rimini nel 1811, era un operaio nell’officina di Nicola Donati con la qualifica di carrozziere. Già nel 1831 aveva marciato nella Compagnia del Marchese Buonadrata, per congiungersi con la cosiddetta “Vanguardia Nazionale”. L’8 febbraio, sotto la guida del colonnello faentino Giuseppe Sercognani (1780-1844), ex ufficiale napoleonico, la Vanguardia dell’Armata Nazionale delle Province Unite Italiane ribellatesi al Papa parte da Pesaro per marciare su Roma.

Giuseppe Sercognani

E’ formata in un primo tempo da soldati e ufficiali papalini di Pesaro e Fano e poi ingrossata da molti volontari dalle Romagne e dalle Marche. Oltre ai riminesi di Bonadrata ci sono i reparti di Bertini da Forlì e di Montanari da Ravenna. Il 12 febbraio la colonna prende la fortezza di San Leo alla prima intimazione di resa, liberando ventotto prigionieri politici, e pone l’assedio ad Ancona, trovando scarsa resistenza nelle truppe pontificie, che in parte disertano. Dopo la conquista del capoluogo marchigiano il 17 febbraio, l’avanzata prosegue indisturbata lungo la via Flaminia fino a uno scontro vittorioso con i papalini presso Magliano Sabino, Rieti però resiste e di lì a poco tutti precipita per l’intervento degli Austriaci.

Giovanni_Verrenucci

Ritratto di Giovanni Venerucci, indicato erroneamente come “Verrenucci”

I moti rivoluzionari del 1831 sembravano spenti dopo la repressione austriaca. Ma nel marzo 1844 a Cosenza scoppiò una sommossa. In breve tempo ritornò la calma e con la calma venne il processo, dove furono condannate a morte 21 persone, delle quali sei furono giustiziate.

AttilioEmilioBandiera

Sentito della rivolta, il 13 giugno 1844 i fratelli veneziani Attilio ed Emilio Bandiera, rispettivamente di 24 e 25 anni, ufficiali disertori della marina austriaca, partirono da Corfù (allora protettorato inglese e dove i fuorusciti italiani della società segreta Esperia avevano una base) sul trabaccolo “S. Spiridione” alla volta della Calabria con 17 compagni, più il brigante calabrese Giuseppe Meluso detto il Nivaro che doveva fungere da guida e il carbonaro corso Pietro Boccheciampe.

Giuseppe Mazzini e il suo emissario a Malta Nicola Fabrizi avevano giudicato l’impresa “pazza, intempestiva, di impaccio alla riuscita di altri movimenti”: invano. Né valse a dissuadere i Bandiera la parola di Nicola Ricciotti, giunto il 5 giugno a Corfù inviato proprio da Mazzini per preparare semmai una spedizione nelle ben più promettenti Marche o Romagne, “non appena fosse scoppiato, in quelle provincie, un moto di popolo ben apparecchiato”. Invece il Ricciotti, “cedendo ad un’amicizia breve di tempo, ma veemente d’affetto”, si lasciò anche lui coinvolgere nell’avventura.

Nicola Fabrizi nel 1866, generale dei garibaldini a Mentana

Nicola Fabrizi nel 1866, generale dei garibaldini a Mentana

Venerucci era uno dei pochi a provenire dal popolo; i più erano nobili e con un passato da militari di carriera, qualcuno di alto grado.

FRATELLIBANDIERACONFINATIACORFMANTEGAZZA1891

Il 16 giugno 1844 i 21 uomini sbarcarono alla foce del fiume Neto presso Crotone per apprendere che la rivolta di Cosenza si era conclusa e che al momento non era in corso alcuna ribellione.

Nel frattempo un infiltrato, certo Domenico De Nobili, aveva segnalato alle autorità borboniche la spedizione fin dalla partenza da Corfù. Il trabaccolo era stato preceduto dalla lancia d’un brigantino austriaco con un messo che recava la notizia all’ambasciatore austriaco in Napoli.

I fratelli Bandiera vollero però lo stesso continuare l’impresa e si diressero verso la Sila. Ma il Boccheciampe, forse caduto nel panico di fronte alla situazione disperata, sparì e andò al posto di polizia di Crotone per denunciare i compagni. L’allarme raggiunse anche la cittadina di San Giovanni in Fiore, e più precisamente:

« …giorno 19 giugno del 1844. In punto che corrono le ore 18 (ore 14 correnti), è qui che giunse la triste notizia che il bandito Giuseppe Meluso di San Giovanni in Fiore, da molti anni rifugiò in Corfù, sia disbarcato nelle marine del Marchesato, con un mediocre numero di persone abbigliate alla militare, ed introdottisi in tenimento di Cerenzia e Caccuri, limitrofo a questo capoluogo, col disegno di perturbare la pubblica quiete».

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Tenente dei carabinieri a cavallo del Regno delle Due Sicilie

Le guardie civiche borboniche avvistarono il gruppetto proprio quando si trovava alle porte di San Giovanni in Fiore. Avvennero alcuni scontri a fuoco presso la località della Stragola, in cui persero la vita i patrioti Giuseppe Miller di Forlì e Francesco Tesei di Pesaro. Tutti gli altri vennero prima o poi catturati, meno Giuseppe il Nivaro, che, trovandosi praticamente a casa sua, riuscì a eclissarsi.

I prigionieri furono giudicati da una corte marziale che li condannò a morte.

Fra loro c’era anche il riminese Giovanni Venerucci. Assieme a Emilio e Attilio Bandiera di Venezia, Giacomo Rocca di Lugo, il lunigiano Anacarsi Nardi, Nicola Ricciotti di Frosinone, Domenico Moro di Venezia, Francesco Berti di Bagnacavallo e Domenico Lupatelli di Perugia. Furono fucilati nel Vallone di Rovito. Era il 25 luglio 1844.

bandiera

Gli altri compagni di spedizione, che si erano costituiti dopo essere essere riusciti inizialmente a fuggire, ebbero la pena capitale commutata in ergastolo. Erano: Giuseppe Pacchioni e Tommaso Mazzoli di Bologna, Pietro Piazzoli di Lugo, Carlo Osmani e Luigi Nanni di Ancona, Paolo Mariani di Milano, Giuseppe Tesei di Pesaro (fratello di Francesco) e Giovanni Vanessi di Venezia.

Boccheciampe, nonostante la delazione, si prese cinque anni di galera, ma dopo due fu graziato insieme agli altri ed espulso dal Regno; da allora visse da reietto fra Grecia e Albania, tempestando di lettere Mazzini per discolparsi, fino ad andare a morire in miseria nel 1887 a Corfù, dove tutto era cominciato.

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A Rimini una lapide ricorda Giovanni Venerucci in piazza Cavour.

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Il 17 marzo 2016, nella “Giornata nazionale dell’Unità”, si è svolta a Rimini la cerimonia di scoprimento di un busto di Giovanni Venerucci, nella via a lui dedicata.

“A Giovanni Venerucci – si legge nella targa che accompagna il busto del patriota riminese, realizzato dallo scultore Orazio Vitaliti e dono dell’omonima associazione culturale cittadina a lui intitolata alla città – protomartire riminese del Risorgimento italiano, nell’impavida e grande azione dei fratelli Bandiera gettò gloriosamente la vita per il bene della futura età e della divinata patria.”

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A Giovanni Venerucci è intitolata la Loggia della Massoneria Universale-Comunione Italiana del Grande Oriente d’Italia – Palazzo Giustiniani R.L. n.849 Oriente di Rimini.