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7 febbraio – Star fra Marco e Todero


7 Febbraio 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Il 7 febbraio la Chiesa cattolica commemora San Teodoro di Amasea, noto anche come Teodoro Tiro o Tirone (dal greco Tyron, “soldato, recluta”) (III secolo – Amasea, 17 febbraio 306). Teodoro era arruolato nell’esercito romano fra le truppe di stanza nel Ponto (oggi Turchia centro-settentrionale) e subì il martirio per la fede in Cristo; fu sepolto in una sua proprietà poco distante da Amasea, a Euchaita.

San Teodoro Tiro

Sono addirittura una trentina i Santi che portano il nome di Teodoro (in greco, dono di Dio) e i più tardi non risalgono oltre il IX secolo. Ciò ha generato non poca confusione, specie fra i Teodoro più antichi. Essendo un Santo militare (come, fra i tanti, l’arcangelo Michele, Sebastiano, Martino, Giorgio, Maurizio, Demetrio, Sergio e Bacco, Nestore, Eustachio, Artemio) fu uno dei principali patroni dell’esercito romano cristianizzato e poi di quello “bizantino”, sua diretta e legittima prosecuzione. Ne scaturì una tale popolarità che a un certo punto Teodoro si “sdoppiò” e fu “promosso”: nacque così anche il culto Teodoro di Eraclea o Stratelate (dal greco Stratelátes, “portatore di lancia”), che non sarebbe stato soldato semplice ma strategos, generale.

San Teodoro d’Antiochia (con la lancia) e San Teodoro Tiro (con la spada)

“Fino al IX secolo Teodoro era l’unico santo con questo nome, ma poi apparve un altro Teodoro, non più soldato ma generale (stratelates) dell’armata di Licinio (Augustus nel 308) per ordine del quale fu torturato e crocifisso ad Eraclea Sintica in Tracia il 17 febbraio, ma anche lui sepolto a Euchaita in Ponto il 3 giugno e commemorato sia in area latina che bizantina. Questo sdoppiamento dell’unico martire Teodoro generò una doppia fioritura di leggende di cui rimangono relazioni in greco, latino ed altre lingue orientali che influirono a loro volta nei giorni delle commemorazioni. Nei sinassari bizantini, Teodoro soldato è ricordato il 17 febbraio mentre il generale l’8 febbraio. Nei martirologi occidentali, invece, il soldato è ricordato il 9 novembre e il generale il 7 febbraio. Si tratta comunque della stessa persona commemorata in giorni diversi”. (Wikipedia)

A Ravenna, dove c’era un monastero intitolato a San Teodoro,  l’arcivescovo Agnello (557–570) gli dedicò la cattedrale che era stata la chiesa della Resurrezione voluta da Teodorico per gli ariani; oggi è la chiesa dello Spirito Santo.

La chiesa dello Spirito Santo a Ravenna, oggi officiata dal clero ortodosso rumeno

L’imperatore Federico II di Svevia nel 1219 (o più probabilmente nel 1225) fece traslare le reliquie di San Teodoro a Brindisi, che lo elesse a patrono: San Ghiatoru. Ma la città pugliese era stata preceduta di molti secoli da Venezia, di cui San Todero (o Todaro) fu il primissimo protettore fino a quando non fu spodestato da San Marco, solo nel XIII secolo. La cappella di San Todero era stata eretta su impulso ravennate dall’esarca Narsete nel VI secolo sul luogo dove sarebbe nata la prima chiesa di San Marco.

San Teodoro (a destra) nel mosaico absidale della chiesa a lui dedicata a Roma sul Palatino (VI secolo)

In piazza San Marco, fra le due colonne dedicate a San Marco e San Teodoro si eseguivano le pene capitali. Di qui il celebre detto veneziano poi diffusosi in tutti gli approdi dove si parlava il portolotto, la lingua franca della marineria adriatica, Rimini compresa: “Star fra Marco e Todero”, cioè nella peggiore delle situazioni.

Per raffigurare San Todero o Todaro, i Veneziani riadattarono la statua romana di un imperatore, come si vede dai fregi sulla corazza: ulteriore avanzamento in grado del Teodoro partito come “recluta”. Vi aggiunsero uno scudo cristiano di aspetto medievale e sotto i piedi gli diedero da trafiggere un drago (molto somigliante a un coccodrillo), accomunandolo così a San Giorgio e a moltissimi altri santi sterminatori di mostri, compreso il forlivese San Mercuriale. 

San Todero sulla colonna in piazza San Marco

Sen Tiodòr dà il nome a una località presso Mondaino (forse da una cappella o da un fondo appartenuto alla cattedrale ravennate), ma non ha nessuna chiesa a Rimini. Eppure un nome così venerato non poteva mancare, evidentemente, nel pantheon della città. Il bolognese Leandro Alberti (1479 – 1552) segnala infatti ai viaggiatori del suo tempo (in  “Descrittione di tutta Italia”) fra le cose notevoli da vedere in  Riminole sacrate ossa… di San Teodoro martire e di Santa Marina sua figliola“.

Com’era possibile? Lo spiega Luigi Tonini riportando, con marcato scetticismo, che gli antichi storici riminesi (Clementini, Grandi) “senza appoggio di autorità alcuno”, parlavano di un Teodoro non soldato romano ma monaco riminese. Sua figlia Marina sarebbe anch’essa entrata in monastero, ma fingendosi uomo con il nome di Marino: in ciò ricalcando la leggenda di Santa Marina di Bitinia (attuale Turchia nord-occidentale) vissuta in Libano nell’VIII secolo.

Rimini, chiesa di S. Giovanni Evangelista detta di S. Agostino

Le loro reliquie sarebbero state conservate nella chiesa di San Giovanni Evangelista, cioè Sant’Agostino. Ma proprio mentre i torchi stavano per gemere andando a stampare  la “Storia civile e sacra riminese del dottor Luigi Tonini: Rimini dal principio dell’Era Volgare all’anno MCC”, il 2 agosto 1854 nella chiesa degli Agostiniani fu effettuata una ricognizione alla presenza del “R.mo Sig. Canonico Michele Agusani Arciprete di detta chiesa, dei R.mi Sacerdoti Camillo Can. Gardini, Luigi Matteini Cerimoniere Vescovile, Nicola Pozzi Cappellano, e di altri molti”. Dal secondo altare a destra, dove un’iscrizione avvertiva HIC IACET CORPVS S.MARINÆ, fu asportato il pallio.

S. Agostino, l’interno

“E ci venne veduta una gran cassa di marmo d’Istria lunga m. 1.98, larga 0.90, alta 0.80″ sulla quale erano incise “mal digeste parole” che Tonini attribuì al secolo XIV e che confermavano trattarsi del sarcofago di Marina. Non solo: “Alzata la grossa pietra che vi sta sopra e serve di mensa all’Altare, fu veduta nell’arca una cassa di legno, chiusa sopra con cancellata di ferro, contenente altra cassa di cipresso; e su quest’ultima scritto: in mezzo: 1621: a sinistra: Corpus S.Marinæ Virginis et Martiris: a destra: Corpus S.Teodori Martiris, patris ejus“. C’era anche un cartiglio, sempre datato 1621, firmato dal priore di allora e controfirmato da testimoni, che riconfermava l’appartenenza e spiegava la ripartizione delle ossa.

Ma tutto ciò non smuove il Tonini, pur buon credente, dal suo rigore di storico. Constatata l’assenza di prove antiche che qualifichino quei resti come quelli di martiri, conclude: “A qual secolo poi appartengano, e se realmente sian di Rimini, altri provi trovarlo”.