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Chiaretti e il giallo di Dante Alighieri


1 Maggio 2017 / Paolo Zaghini

Angelo Chiaretti: “Dante Alighieri chi era costui? Il gran giallo dei due Dante Alighieri alla luce di vecchie e nuove scoperte”.
Centro Dantesco San Gregorio in Conca.

44 - Chiaretti

Prima di parlare del libro è d’obbligo dire chi è Angelo Chiaretti, uno dei personaggi più noti in Valconca per i suoi molteplici e vari interessi: da quelli storici a quelli culinari, dall’amore per Dante alla promozione turistica.

Chiaretti di mestiere è docente di letteratura italiana e storia in un istituto superiore. Autore di diversi volumi sulla storia di Mondaino, suo paese natale. Gestore, con la famiglia, del Molino della Porta di Sotto a Mondaino, uno dei migliori negozi delle prelibatezze alimentari del territorio della Valconca. Tra i fondatori e animatori della “Mondaino Young Orchestra” (MYO), una ensemble di 40 elementi che ormai da diversi anni spazia tra i più diversi generi musicali e che sta portando avanti un progetto di rieducazione al Jazz tradizionale. Consulente della Banca Valconca per numerose iniziative culturali. Redattore del secolare periodico di Morciano “L’Ape del Conca”. Fondatore nel 1997 del Centro Studi Danteschi “San Gregorio in Conca”, con cui organizza in giro per l’Italia “Lecturae Dantis”, happenings culturali, mostre pittoriche ed avvenimenti di vario genere legati al mondo di Dante Alighieri (1265-1321). Chiaretti, dal 1995, ha scritto una decina di libretti dedicati a vari aspetti della vita e della presenza in Romagna del poeta fiorentino.

Negli ultimi anni ha presentato innumerevoli volte in giro per la Romagna la sua opera “Dante Alighieri primo turista in Romagna” (Casa editrice Pliniana, 2013) dove scrive: “La relazione fra Dante e la Romagna ha molteplici sfaccettature; nella ‘Commedia’ Dante cita luoghi, personaggi ed episodi di storia politica di una terra dove più volte aveva trovato ospitalità dopo l’esilio da Firenze, durante gli anni del suo peregrinare tra le corti dell’Italia centro-settentrionale (ad es. fu prima presso la corte di Scarpetta degli Ordelaffi a Forlì, poi presso Guido da Polenta a Ravenna), ma conosceva la Romagna in lungo e in largo per averla visitata fin da giovane quando faceva parte delle allegre brigate che qui venivano a godersi uno stile di vita che a Firenze non c’era più. Tutti in Romagna, dunque, anche nel Due-Trecento …”.

L’ultima fatica letteraria di Chiaretti tratta invece a lungo della vicenda della condanna di Dante a Firenze, a seguito della quale fu costretto ad abbandonare la sua città natale e a vivere in esilio dal 1302: del resto era stato condannato “a morte per rogo, dapprima, e per taglio della testa, poi”. Per molti guelfo bianco, per Foscolo “ghibellin fuggiasco”: “tuttavia alla fine del gioco politico Dante si ritrovò solo (oserei dire sedotto e abbandonato) ..”.

Nel 2005 Chiaretti organizzò la ripetizione “di quell’infame processo a Riccione nella suggestiva atmosfera del Castello degli Agolanti: Imputato Dante Alighieri, in piedi: assolto da ogni accusa! A pronunciare la storica sentenza, ricca di spunti di procedura penale e civile, è stato il chiarissimo prof. Avv. Piero Gualtieri”.

Prima di venire al giallo dei due Dante Alighieri, ancora una annotazione fatta da Chiaretti: “secondo l’iconografia ufficiale, derivata da Giotto [ritratto di Dante al Palazzo del Bargello], Dante non era un bell’uomo: occhi grossi, naso eccessivamente aquilino, pochi capelli, mento pronunciato e labbro inferiore prominente. Anche di statura egli si trovava al di sotto degli standard medi, come narra l’aneddoto relativo alla risposta (da manuale!) data a chi lo canzonava per essere piccolo come la lettera i: Tu che beffeggi la nona figura, / E sei da men che la su’ antecedente / Va, e raddoppia la sua susseguente, / Ch’ad altro non t’ha fatto la natura”. Testo riportato da Giovanni Papini nella sua opera “La leggenda di Dante” (Carabba, 1911). Chiosa Chiaretti: “I versi, liberati dall’apparente portata filosofica, significano: Se io son basso di statura come una i, tu vali meno di un’acca, ma il doppio di una ka (= kaka)”.

Chiaretti riprende nel volume anche la storia dei due Dante Alighieri, che già aveva trattato in un’intervista rilasciata al “Corriere della Sera” il 19 maggio 2008. Racconta che questa ipotesi era stata sollevata per la prima volta da uno studioso ottocentesco Michele Barbi. Nella Firenze del Trecento vissero due Dante Alighieri: “uno poeta e guelfo bianco, abitava nella parrocchia di San Martino del Vescovo in una famiglia di banchieri e cambiatori (legati al mondo ebraico attraverso i Pierleoni); l’altro, politico e guelfo nero, risiedeva nella parrocchia di San Remigio, in una famiglia di giudici e notai”. A questa ipotesi il Barbi arrivò attraverso i dati anagrafici di un quarto figlio di Dante, Giovanni, oltre i tre avuti da donna Gemma, Jacopo, Pietro e Antonia. Come poteva Giovanni Alighieri avere 18 anni secondo un atto di un notaio lucchese nel 1308, quando Dante, il poeta, si era sposato non prima del 1295? Un figlio illegittimo? Forse. Il Barbi sembra però dare più credito all’esistenza di un altro Dante Alighieri, forse zio del grande poeta e padre legittimo di Giovanni. Secondo Chiaretti, riprendendo il Barbi, se non sono in discussione le opere, alcune parti della biografia di Dante tuttavia sarebbero da riscrivere.

Paolo Zaghini