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Chissà se Fellini si salverà dal nuovo bigottismo via tweet


21 Gennaio 2018 / Lia Celi

«If you can make it there, you’ll make it anywhere»: se hai successo a New York lo avrai dappertutto, cantava Liza Minnelli. Quindi, se Rimini piace al New York Times, è pronta a ripartire alla conquista del mondo, o meglio, ad accogliere chi da tutto il mondo verrà a visitarla, magari invogliato proprio dal buon piazzamento della nostra città nella classifica dell’autorevole quotidiano statunitense, che la colloca fra i posti da vedere nel 2018.

Anche – anzi, forse soprattutto per la rinascita del Fulgor: è come se l’America, dove Fellini è ancora considerato il dio del cinema, non aspettasse altro per riscoprire Rimini. «Al Fulgor il regista-eroe guardava i suoi primi film», ha scritto il NYT. Non bastava genio: eroe, addirittura.

Come eroi, in senso artistico, possono essere considerati Chaplin, Bergman, De Sica, Visconti o Godard e gli altri i grandi che hanno fatto dell’invenzione di due imprenditori francesi la decima musa. Diversi nello stile e nella poetica, ma con un tratto in comune: oggi sarebbero tutti crocifissi dai media per lati del carattere che nella loro epoca passavano come inevitabile corollario della genialità, ma oggi che i personaggi pubblici, artisti compresi, devono essere virtuosi, in forma e come minimo vegetariani, verrebbero considerati imperdonabili.

Soprattutto negli Stati Uniti, travolti da un panico morale innescato da ragioni sacrosante (le molestie nello show-business) ma che rischia di sfociare in un bigottismo dai tratti caricaturali, come quando si vogliono espellere i quadri di Balthus dal Moma o cambiare il finale della Carmen di Bizet.

«Ingmar Bergman oggi sarebbe considerato un predatore», è la tesi di un documentario sul regista che sarà presentato a Cannes e racconta di come l’autore del Posto delle fragole avesse relazioni più o meno durevoli e spesso simultanee praticamente con tutte le sue attrici. De Sica aveva due famiglie e terrorizzava i bambini attori per farli piangere sul set, Rossellini era uno sciupafemmine, Visconti forse avrebbe gli stessi problemi di Kevin Spacey.

Un’ondata di tweet, e oggi pure Fellini, con le sue bugie, con quel fratello minore snobbato e boicottato e soprattutto con la sua golosa e anarchica passione per le donne, potrebbe finire nell’angolo come Woody Allen, un altro venerato maestro che si vede snobbato e rinnegato dalle star che una volta sgomitavano per lavorare con lui, tanto che il suo prossimo film rischia di non uscire.

Il dilemma è: si può essere geni del cinema e stinchi di santo? Messa così, sembra più una domanda retorica. Le vere domande sono: si può essere ancora geni quando la genialità sembra consistere nel piacere a tutti quanti? E si può essere stinchi di santo in un’epoca in cui tutto quel che fai, buono o cattivo che sia, può essere retwittato contro di te? Chissà se i turisti americani se lo chiederanno, quando verranno a visitare il Fulgor.

Lia Celi