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Così i fascisti si presero Rimini


29 Gennaio 2023 / Paolo Zaghini

“Le origini del fascismo in Emilia-Romagna. 1919-1922” A cura di Andrea Baravelli – Pendragon.

La rete degli Istituti storici della Resistenza dell’Emilia-Romagna ha edito questo volume sulla nascita del fascismo nella nostra Regione. Lo ha fatto dedicando ad ogni provincia un saggio specifico che ha messo a fuoco lo stato delle ricerche e delle conoscenze delle vicende su quel dato territorio.

Le vicende di Rimini sono state raccontate dal giovane ricercatore storico riminese Filippo Espinoza che ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia contemporanea presso l’Università di Trento nel 2017, occupandosi della storia del Mediterraneo nel XX secolo, con particolare attenzione all’esperienza e all’eredità del fascismo italiano nelle isole greche del Dodecaneso.

Sono una quindicina i saggi del volume che esplorano il breve lasso temporale 1919-1921, documentando i risultati delle consultazioni politiche dei principali comuni di quegli anni, delle amministrative del 1920, e censendo tutti gli episodi di violenza riportati nelle cronache locali e nei rapporti di polizia conservati presso l’Archivio Centrale di Stato. Tutti questi dati, suddivisi per provincia, sono stati caricati sul portale www.originifascismoer.it a disposizione di studenti e ricercatori storici.

Giulia Albanese apre il volume con una approfondita ricerca su “La storiografia sulle origini del fascismo” e mette a fuoco la centralità dell’Emilia-Romagna nella storia dell’affermazione fascista oltre al fatto che “la presenza della violenza squadrista nel regime non può essere derubricata come elemento eccezionale, ma è parte del consolidamento e della costruzione del consenso del fascismo nel corso degli anni Venti”.

Il saggio del curatore del volume Andrea Baravelli, “La terra dello squadrismo. L’Emilia-Romagna, il fascismo e la storiografia”, invece prova ad evidenziare il tema di fondo sui motivi della vittoria del fascismo: “la conquista del potere locale per mezzo della violenza”. Ma “se è vero che in alcune aree della regione lo squadrismo seppe organizzarsi in senso centralizzato, attorno al ras e al sistema di potere locale, nella maggior parte dell’Emilia-Romagna il fascismo avanzò a fatica, soffrendo il radicamento dei partiti popolari, patendo l’influenza sociale dei gruppi conservatori suoi alleati e palesando una preoccupante propensione allo scontro tra fazioni. Cosa allora permise la vittoria squadrista? Senza dubbio un ruolo importante ebbe la pratica della violenza da intendere sia quale fondamentale pietra di volta della costruzione identitaria fascista, sia quale cruciale strumento di comunicazione verso l’esterno della inflessibile risolutezza delle camice nere”.

Alla vittoria fascista contribuì inoltre la debolezza socialista, “lo sconcertante spettacolo di passività rispetto all’aggressione fascista”.

La narrazione contenuta nella memorialistica dello squadrismo è invece tutta quanta articolata attorno all’inevitabilità “dell’azione violenta, al fine di sconfiggere l’anarchia bolscevizzante e dare avvio all’ordinata era fascista”.

Se questi sono i punti unificanti della storia di quegli anni, bisogna però prendere anche atto che esistono tante differenze nelle diverse province emiliano-romagnole nelle modalità della vittoria dei fascisti.

Nel racconto di Espinoza, Rimini fu piegata al fascismo solo in concomitanza con la Marcia su Roma: “Il 28 ottobre 1922 la città fu invasa dalle camicie nere. Queste occuparono tutti gli edifici pubblici (…) il terzo giorno di occupazione una squadra prese possesso del palazzo comunale. Ludovico Pugliesi, senza attendere alcuna investitura ufficiale, si insediò a quel punto come commissario prefettizio della città. Forti della protezione offerta dalle forze dell’ordine, nelle settimane successive i fascisti completarono la conquista del territorio, devastando le sedi dei sodalizi socialisti e popolari; poi si dedicarono all’abbattimento di tutte le giunte comunali del circondario. C’era voluto molto tempo, ma anche a Rimini il fascismo aveva imposto la sua legge”.

Ma Rimini e il riminese fra il 1919 e il 1922 non fu un territorio facile per i fascisti, che peraltro erano pochi: a Rimini in quegli anni non furono mai più di una cinquantina.

Alle elezioni i socialisti ottennero grandi successi: alle amministrative del 1920 conquistarono quasi tutti i comuni in cui insediarono giunte di sinistra. “Tra il 1919 e il 1921 l’unico partito in grado di sostenere la competizione con i socialisti fu il Partito popolare, che non solo disponeva di autonome strutture sindacali, adatte alla rappresentanza degli interessi contadini, ma parlava un linguaggio patriottico simile a quello del variegato mondo combattentista”. “La risposta socialista e anarchica fu in genere contraddistinta da grande violenza verbale”.

Anche se di minore intensità rispetto ad altre province, anche nel riminese la violenza politica divenne protagonista dell’immediato dopoguerra. Nel 1920 nel corso di scioperi e manifestazioni ci furono i primi morti. Il 4 aprile 1920 a Cattolica cadde un giovane manifestante di 20 anni e un carabiniere. A maggio 1920 nel Borgo San Giuliano vennero sparati numerosi colpi d’arma da fuoco contro i carabinieri che lamentarono il ferimento di un tenente, due brigadieri e un milite. Sempre il 4 aprile a Montalbano di Santarcangelo si scontrarono socialisti e popolari, con la morte di un militante di quest’ultimo partito.

Il fascio di Rimini, dopo una breve esistenza nel 1919, si ricostituì il 24 marzo 1921, ma, come sopra detto, fino alla Marcia su Roma ebbe una vita alquanto stentata. Il 1921 però segnò una forte ripresa della violenza politica: l’11 maggio 1921 venne assassinato il medico Carlo Bosi simpatizzante del fascismo. Si proseguì il 19 maggio con l’uccisione di Luigi Platania segretario del fascio riminese a cui fece seguito la rappresaglia di centinaia di fascisti provenienti da tutta la regione con la devastazione di sedi sindacali, di circoli anarchici e socialisti. Dopo i funerali di Platania il 21 maggio le squadre fasciste di ritorno verso casa spararono sulla folla in uscita dalla Messa, davanti alla Chiesa, a Santa Giustina: tre morti e dieci feriti.

Dopo un’estate 1922 di violenze, grazie anche alla tolleranza del sottoprefetto, i fascisti iniziarono l’occupazione dei comuni del riminese. Da Cattolica e Morciano occuparono il resto della Valconca, e da Santarcangelo (dove pure le camice nere trovarono non pochi problemi) occuparono il resto della Valmarecchia. “L’ultima roccaforte rossa a cadere sarebbe stata Coriano, che la stampa fascista descriveva come un territorio ‘infeudato di pelli-rosse’ (La Penna Fascista del 2 ottobre 1922)”. Corsi e ricorsi della storia: oggi, negli ultimi anni, i corianesi hanno avuto una sindaca e una senatrice neofascista.

“Alla fine dell’estate del 1922, con l’opposizione ormai completamente disarticolata, avendo la dirigenza cattolica ormai accettato il ruolo di fiancheggiatrice e conquistata la simpatia dei ceti medi urbani, i fascisti riminesi potevano considerarsi come i veri e soli padroni del campo”.

Paolo Zaghini