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Gran brutta bestia l’inconscio


30 Marzo 2023 / Nando Piccari

Oggi non lo ricorda quasi più nessuno, ma una volta il dialetto riminese usava sbrigativamente la parola “infezna” quale onnicomprensiva traduzione di quei fenomeni, diciamo contigui, che in psicologia e in psichiatria si chiamano inconscio, subconscio e preconscio. I quali, pur se accantonati nel limbo dell’inconsapevolezza, possono tuttavia all’improvviso balzar fuori, magari per un attimo soltanto, facendoci fare o dire cose che razionalmente non avremmo voluto, ma delle quali portiamo  inconsciamente “l’infezna” dentro di noi.

É il caso della Signor Presidente Giorgia Meloni.

Sono disposto a credere che non voglia più essere la neofascista delle origini, ma si vede bene come in determinate situazioni non possa evitare che a prendere inconsciamente il sopravvento sia quanto  le è rimasto di “neofascista dentro”.

Si spiega così la squallida dichiarazione secondo cui alle Fosse Ardeatine sarebbero oggi sepolti «335 italiani innocenti massacrati solo perché italiani». Per sottacere della ridicola pezza che ha poi tentato di fronte alle polemiche piovutele addosso: «Li ho definiti italiani, che vuol dire che gli antifascisti non sono italiani? Sono stata onnicomprensiva».

Naturalmente non poteva non sapere che nell’elenco dei trucidati compaiano anche cittadini stranieri. Né, a proposito di onnicomprensività, che fossero italiani i tanti fascisti, “torturatori e massacratori di Italiani” al pari del suo idolatrato Almirante, i quali coadiuvarono il famigerato prefetto Caruso a compilare la lista delle vittime da passare ai carnefici nazisti.

Ma dall’inconscio le è però partito il blocco a poter usare sia la parola “antifascisti”, sia l’espressione “crimine nazista, con la complicità dei fascisti italiani”.

In qualità di “fascista dentro” s’è pure ben distinto Francesco Lollobrigida, cognato e ministro della Meloni, che ha liquidato la cosa scrivendo di «italiani che morirono per mano straniera» (Inglesi? Portoghesi? Austroungarici? Chissà…)

Il ministro Francesco Lollobrigida

Ma nell’exploit più vergognoso s’è esibito, come sempre, il “neofascista sia dentro che fuori” Donzelli, con quel suo delirante «sono alla canna del gas», sparato contro chi aveva criticato la mancanza di esplicita condanna al fascismo e al nazismo: una macabra gaffe la sua, dato che entrambe quelle mostruose dittature fecero un tragico uso della “canna del gas”.

Sorprendentemente il solo a parlare di  «335 vite spezzate dalla furia nazista» è stato La Russa. Sembra che però sia subito dopo corso a casa, a prostrarsi chiedendo scusa alla statua del camerata Mussolini, che lo sorveglia in salotto.

Ma a quella relativa alle Fosse Ardeatine sono poi seguite altre analoghe esibizioni.

É infatti forse meno da “fascisti dentro” proporsi di abolire il reato di tortura?

O rinchiudere in galera, insieme alle loro mamme, anche i bambini di ogni età (anzi “i bimbi”, come piace di più chiamarli a Salvini, purché non siano figli di Rom)? Compresi i neonati e perfino i nascituri, perché stando al repellente pensiero di Marrone, nessuna pietà per le borseggiatrici, nemmeno se incinte. Le quali, un attimo dopo il parto, dovrebbero anzi vedersi negare la patria potestà, stando al delirio di un tal viceministro Cirielli.

É un po’ da “fascisti dentro” pure la martellante campagna del ministro all’istruzione e ridicolmente “al merito”, contro «la sinistra ideologica che vorrebbe studi culturali per tutti, lasciando a chissà quando la formazione professionalizzante». Quando invece solo gli studenti più meritevoli, come dice la parola stessa, meritano di andare al liceo, poi all’università; mentre per gli altri è più importante accontentarsi di «imparare un mestiere» affollando gli istituti professionali.

Della guerra che continua alle ONG-salvamigranti meglio non parlare.

Ma forse più ancora di tutti gli altri è da “fascisti dentro” l’implicita invocazione “Dio, Patria, Famiglia” che fuoriesce dall’odiosa avversione alle famiglie omogenitoriali, con conseguente diktat ai sindaci ad obbedire a  Meloni, Salvini e  Santa Maria Roccella, i quali tentano di spacciare la loro fobia per una mistificante necessità di “lotta all’utero in affitto”, che in Italia è invece già punito con la condanna fino a due anni e una multa fino ad un milione di euro.

Un plauso ai tanti sindaci a cui “fa un baffo” l’ordine diramato dal Viminale tramite i Prefetti. Fra costoro mi piace ricordare Alice Parma, Sindaca di Santarcangelo, perché su di lei incombe, oltre all’assurda pretesa ministeriale, anche il fiato sul collo dell’ennesimo Matteo leghista, il suo concittadino Montevecchi. Colui che tempo fa ha lasciato Gioenzo Renzi per diventare “il ciellino leghista” Consigliere Regionale, in contropartita con il ruolo di reggicoda del Santo Inquisitore ed ex Senatore Pillon.

Matteo Montevecchi

Nelle foto che spesso compaiono sui giornali a corredo delle sue veementi scomuniche, sembra sempre gonfio di collera.

Per questo c’è chi lo chiama confidenzialmente “il pilloncino gonfiato”

 Post Scriptum 

Certo che il Sindaco di Rimini s’è beccato un solenne cazziatone, recitato in impeccabile avvocatese, per essersi lasciato andare ad un sentimento ben poco avvocatesco nel commentare  l’eventualità che si provi a cancellare la condanna per stupro subita da quel tal Butungu. “Ci dev’essere un limite a tutto; in questo caso è stato superato”, è la sintesi della frase incriminata.

È però alquanto singolare che la lezioncina leguleia contro quella sua esternazione ne abbia ignorato l’incipit, doverosamente corretto: «Io non voglio mettere in discussione lo stato di diritto, ci mancherebbe altro». Ciò premesso, non è solo un sindaco, ma ogni comune cittadino, a potersi permettere di riconoscere che «notizie come questa non fanno bene al rapporto tra cittadino e giustizia».

Non ci voleva molto a capire che la critica non era dunque rivolta agli avvocati, che fanno il loro lavoro entro “il limite” che la norma giuridica consente; ma era alla norma giuridica, allorquando consente che venga superato “il limite dell’umano sentire”.

Io non ho l’obbligo al bon ton che deve invece mantenere un sindaco, per cui me la cavo con un francesismo: «C’est quelque chose qui fait rouler le balles».