HomeCulturaLa storia di Rimini si è fatta anche in una trattoria del Borgo San Giuliano


La storia di Rimini si è fatta anche in una trattoria del Borgo San Giuliano


13 Maggio 2019 / Paolo Zaghini

Roberto Balducci: “J anvùd dla Marianna. Una vetrina sul Borgo San Giuliano”– Panozzo.

E’ un piccolo mondo quello che la penna del medico ospedaliero Roberto Balducci descrive. Dove tutti si conoscevano e dove tutti sapevano tutto di tutti. E’ il mondo del Borgo San Giuliano a cavallo tra gli anni Trenta e la fine degli anni Cinquanta.

Ed è qui che nasce l’Autore nel 1950. Racconta questo piccolo mondo con gli occhi del bambino Roby e con le storie raccolte dai tanti parenti e amici. Ed il centro, da cui si ramificano i tanti episodi narrati nelle pagine del libro, è la trattoria Marianna, fondata dalla nonna dell’Autore, “anima e leggenda del ristorante omonimo”. Una storia ormai ultra secolare.

Balducci ha voluto “raccogliere i ricordi diretti, quelli dei nonni, dei genitori, degli zii e dei tanti personaggi, con le loro storie, a volte piccole e strampalate, altre volte grandi e drammatiche, che, altrimenti, nel giro di pochi decenni, sarebbero andate irrimediabilmente perdute”.

Alla fine degli anni Cinquanta “c’erano tante speranze di cambiamento, sia nei vecchi che nei giovani. Il dopoguerra era ancora fresco, con le sue ferite materiali e i tristi ricordi. Molti dei vecchi avventori, che erano stati testimoni delle origini della trattoria, sarebbero scomparsi negli anni venturi e, con loro, si sarebbe sempre più attenuata la voce delle antiche storie del borgo. Ormai tutte le storiche cantine si stavano trasformando in trattorie e ristoranti, per una clientela nuova e con altri ritmi di vita e di socialità. Per i vecchi anarchici e socialisti, per gli operai e i piccoli artigiani comunisti, per i vecchi fiaccheresti e marinai e per i ferrovieri in pensione venivano a mancare gli spazi congeniali alla loro socialità. Poco tempo dopo si sarebbe provveduto a questa esigenza con l’apertura del Circolo Operaio 1° Maggio, in via Forzieri, nella piazzetta ‘ad Gennaro’”. Per quest’altro pezzo di storia del Borgo rinvio al libro di Giuliano Ghirardelli e Mario Pasquinelli “Al di là del ponte. Storia del Circolo Primo Maggio al Borgo San Giuliano” (Garattoni, 2013).

I protagonisti delle storie sono i familiari dell’Autore: la nonna Marianna, gli altri nonni Guglielmo, Caterina e Nicola, i genitori Pino e Aldina, gli zii Cornelia e Filiberto. Ma sicuramente lo sono anche i tanti altri borghigiani che danno vita alle storie raccontate da Balducci.

La Paca, vecchio borghigiano così chiamato perché aveva una gamba tinca, racconta la fiumana del 1910 quando il Marecchia allagò il Borgo e il Centro di Rimini. Cornelia e Filiberto raccontano gli anni della guerra e lo sfollamento prima a Coriano e poi a Taverna. Mario, “Hombre”, vecchio anarchico emigrato per diversi anni in Argentina e poi rientrato al Borgo, “fraternizzò molto con i giovani ventenni e trentenni del movimento di Lotta Continua”, che aveva sede nel Borgo in via Padella. “Già ottantenne, partecipava attivamente con i giovani di Lotta Continua alle loro, in quel periodo, frequenti lotte politiche, trovandosi spesso in mezzo a violenti tafferugli coi ‘missini’ o con la polizia”.

Il Natale nei primi anni Cinquanta “in quella povera geografia che era il borgo, dalla contrada del fiume, Via Marecchia, alla via Chiavica, da via Forzieri a via Padella e agli altri vicoli e piazzette, non era molto diverso dai Natali di prima della guerra e di inizio secolo. Poca luce nelle strade, poca legna nelle case. Molti disoccupati, poco cibo e poco vestiario nelle famiglie”.

Balducci dedica diverse pagine alla storia dello zio Genie, Eugenio, detto Nason, anarchico focoso, perseguitato politico negli anni del fascismo, ingiustamente rinchiuso in un orribile manicomio criminale con l’accusa infondata di aver partecipato all’omicidio del fascista Platania nel 1921. La Corte d’Assise il 14 novembre 1924 lo assolse, “ma ormai l’esistenza dello ‘zio Nasone’ era stata devastata e la sua famiglia colpita irrimediabilmente”.

Bello il cammeo che Balducci dedica a Fred Buscaglione: “nei ricordi cari del borgo sono rimaste le assidue serate vissute da Fred Buscaglione nei vicoli e nelle piazzette, fra gli umili, ma ricchi di umanità, personaggi borghigiani”.

“Buscaglione era personaggio ricco di contraddizioni: si atteggiava a duro, a filibustiere, cantava di pupe, bulli e gangsters nelle sue canzoni. La sigaretta sempre penzolante fra le labbra, la bella moglie Fatima al suo fianco, sulla incredibile, rosissima, rombante, americanissima Cadillac con cui aggrediva le notti italiane e si catapultava fra la gente. Allo stesso tempo viveva in lui, mai soffocata o nascosta, quell’altra natura, autenticamente italiana, di uomo umile e semplice, nato in una Italia provinciale, fatta di borghi e di campagne, di persone comuni e generose”.

“Dopo le serate musicali, organizzate all’Embassy e nei locali più alla moda di marina centro e di Riccione, ogni tanto, verso sera tarda, lo potevi trovare a bere qualche bicchiere di sangiovese e a fare quattro chiacchiere nel vecchio Circolo comunista 1° Maggio di via Forzieri, in totale complicità con gli avventori abituali del luogo. Oppure faceva tappa frequente alla Trattoria Marianna, a gustare qualche semplice ma succulento piatto di mare”. “Faceva sognare le donne, affascinava gli uomini, piaceva ai bambini”.

Nella vita del Borgo i funerali erano importanti: “I funerali erano sempre riti solenni, cui partecipavano tutti i borghigiani, sia che fossero funerali religiosi con la croce in testa al corteo, sia che fossero funerali civili, con la bandiera rossa del comunismo o la bandiera nera dell’anarchia, portate a braccia dai simpatizzanti di quelle fedi. Sul ponte di Tiberio e, quindi sulla vecchia via Emilia prima e su viale Tiberio poi, davanti alla Trattoria Marianna, transitò per l’ultimo saluto tanta parte del popolo e della storia di Rimini. Sicuramente ciò accadde nel diciannovesimo e ventesimo secolo, da quando venne edificato il cimitero di Rimini, nel lontano 1813”. E così fu anche per il funerale di Federico Fellini: “Una folla immensa, miglia e migliaia di persone (si dice quarantamila), provenienti dal centro della città, sfilarono lungo il ponte di Tiberio (…). La grande folla si fermò davanti alla Trattoria Marianna prendendo posto sulla strada e sul piazzale Tiberio”.

Ricordi e storie di una famiglia, di un ristorante che si intrecciano con la storia di un Borgo e di una Città.

Paolo Zaghini