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23 agosto 1663 – Muore il riminese Niccolò Guidi di Bagno, il soldato che divenne cardinale


23 Agosto 2023 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Come scrive Giampiero Brunelli nel “Dizionario Biografico degli Italiani” della Treccani (2004), Niccolò de’ Guidi di Bagno nacque a Rimini nel 1584, secondogenito di Fabrizio, marchese di Montebello, e di Laura Colonna, figlia di Pompeo, duca di Zagarolo. I conti Guidi erano – e sono – una delle più antiche famiglie nobili italiane, forse di origine longobarda, arroccatati già ben prima del Mille sulle due pendici dell’Appennino, in Romagna e in Toscana. I Guidi di Bagno sono uno dei tanti rami della stirpe e possiede tutt’ora il castello di Montebello, avuto in feudo da papa Pio II nel 1464 dopo il tracollo di Sigismondo Malatesta.

Montebello

Su consiglio del prozio, il cardinale Marcantonio Colonna, il giovane Niccolò intraprende gli studi umanistici. Ma ben presto li abbandona per abbracciare la carriera delle armi. Eccolo nel 1607, durante i preparativi militari condotti nello Stato della Chiesa contro Venezia, arruolato come comandante di una compagnia di lancieri insieme con altri nobili romagnoli. Ma per quella volta la guerra non si fa. Niccolò resta in armi, ma inoperoso, fino alla guerra per il Monferrato del 1616. Milita nell’esercito spagnolo impegnato contro le truppe del duca di Savoia. Come molti altri giovani nobili italiani vuole continuare a combattere al servizio di Filippo III e nel 1618 va alla corte di Madrid accompagnato dal conestabile Filippo Colonna, suo parente e patrono. Sapendo già dove sarebbe stato destinato: agli ordini di Ambrogio Spinola per combattere i “ribelli” olandesi nel’interminabile guerra delle Fiandre. Se la deve cavare bene, se quando torna in Italia nei primi anni Venti viene onorato del titolo di colonnello e remunerato con la conferma del vitalizio già concesso dai re di Spagna ai conti di Montebello. Intanto ha sposato Teodora Gonzaga, e prosegue la carriera militare nell’esercito dello Stato della Chiesa.

Nel 1623 Niccolò fa parte di una “forza di pace” al comando del bolognese Orazio Ludovisi, fratello del papa Gregorio XV, che dovrebbe garantire lo statuto di alcuni forti contesi in Valtellina, dopo i contrasti fra Francia, Spagna e Austria susseguenti alla rivolta dei Grigioni di Svizzera, protestanti e sostenuti dal Sua Maestà Cristianissima, il Re di Francia. Il 10 maggio 1623 il conte Guidi diventa addirittura luogotenente generale, cioè il secondo in comando. E diventa il comandante della spedizione dopo il rientro in Italia del Ludovisi.

Stemma originario dei conti Guidi di Bagno

Viene confermato nel suo incarico anche dal nuovo pontefice, Urbano VIII Barberini, succeduto a Gregorio XV nell’agosto 1623, governa i forti di cui ha preso possesso, fa amministrare la giustizia dal proprio uditore e contrasta decisamente la presenza di predicatori protestanti. Poi nell’estate 1624 le cose si ingarbugliano. Corrono voci che la cattolica Valtellina sarà comunque assegnata ai Grigioni e Niccolò vorrebbe cedere segretamente i forti agli Spagnoli. Da Roma arrivano ordini contraddittori. Alla fine la Valtellina viene invasa davvero dai Francesi al comando del marchese di Coeuvres. Gli Spagnoli non lo aiutano e il Guidi fa quel che può per resistere in netta inferiorità, ma fra il novembre 1624 e il marzo 1625 tutti i forti presidiati dalle truppe pontificie sono perduti.

La missione di pace è andata a monte e a Roma tutti puntano il dito contro Niccolò. Riesce a discolparsi, ma quando si decide di riconquistare le posizioni perse, il comando va a Torquato Conti, duca di Guadagnolo.

Tornata in mano ai Grigioni, la Valtellina si mantenne “zona franca”: il locale partito cattolico poté rientrarvi e libero transito vi fu garantito alle forze asburgiche che dovevano spostarsi nel complesso scacchiere della Guerra dei Trent’anni. Proprio dalla Valtellina calò in Italia l’armata tedesca impegnata a Mantova e nel Monferrato, portando con sé l’epidemia di peste del 1630 eternata da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi che colpì Svizzera, Ducato di Milano, Piemonte, Repubblica di Venezia, Bologna, Modena, Reggio Emilia, Granducato di Toscana, per un totale di 1.100.000 morti su una popolazione complessiva di circa 4 milioni.

Torquato II Conti, III duca di Poli e Guadagnolo (Roma, 1591 – Ferrara, 6 giugno 1636)

Per il Guidi c’è invece un solo un incarico di guarnigione nelle terre natie: nell’ottobre 1628 è nominato luogotenente generale nella Legazione della Romagna. Poi nel gennaio 1629 assume il comando generale delle truppe pontificie stanziate nella Marca. Scenari minori, ma niente affatto facili. Per esempio c”è da gestire la delicata devoluzione del Ducato di Urbino alla Santa Sede alla morte del vecchio duca Francesco Maria II Della Rovere. Così era stato deciso, ma la fine di uno stato praticamente indipendente da secoli, con gli altri stati italiani sempre pronti a soffiare sul malcontento, richiedeva la massima vigilanza. Niccolò si ritrova così alla corte che era stata feltresca sorvegliando lo stato di salute del duca anche attraverso le spie, mentre mette a punto il piano militare per impossessarsi del Ducato.

Tutto fila liscio, ma Niccolò nel frattempo rimane vedovo: Teodora Gonzaga muore nel luglio 1633. In compenso la carriera marziale procede brillantemente: nel 1636 è “luogotenente generale dell’armi” di Ferrara, Bologna e Romagna, la terza carica militare dello Stato della Chiesa. Con questo grado partecipa alla disgraziata guerra di Castro fra il duca di Parma Odoardo Farnese, aiutato da Granducato di Toscana, Venezia e Ducato di Modena, contro il Papa. Per sua fortuna, dato come andarono le cose – dieci anni di stragi inutili e spese astronomiche per un feudo quasi insignificante – si occupa solo della logistica nelle retrovie. La guerricciola originata più che altro dalle ripicche fra Barberini e Farnese, si trascina fino 1644, con un ritorno di fiamma perfino nel 1649.

La città di Castro nella Tuscia

Ma a questa data Niccolò ha abbandonato le armi. Cosa è successo? Dopo la morte del fratello Giovanni Francesco, Niccolò aveva ripreso gli studi. E in breve tempo sceglie la carriera ecclesiastica. Presi gli ordini sacri, il 14 marzo 1644 è creato arcivescovo titolare di Atene. Nell’aprile successivo è già nunzio a Parigi, carica che Giovanni Francesco aveva ricoperto dal 1627 al 1630. Rimane in carica fino al 1656, ritrovandosi impelagato nelle beghe della corte francese, fra personaggi come il Cardinal Mazzarino, Gaston d’Orléans, il duca di Longueville, Henri d’Orléans.

Giulio Raimondo Mazzarino (Pescina, 14 luglio 1602 – Vincennes, 9 marzo 1661)

Si sforza per aprire trattative di pace tra Francia e Spagna, ma la nuova fase delle lotte civili francesi, con la Fronda dei principi, lo obbliga alla cautela. Non riesce nemmeno a contrastare la diffusione fra gli ecclesiastici di Francia della dottrina giansenista.

Resta nunzio in Francia sotto Alessandro VII (Fabio Chigi), succeduto a papa Pamphili nell’aprile 1655, poi viene. richiamato a Roma e creato cardinale il 23 aprile 1657 con il titolo di S. Eustachio. Il 28 maggio 1657 gli si dà anche la diocesi di Senigallia, ma rinuncia per ragioni di età.

Muore a Roma il 23 agosto 1663.

Aveva avuto cinque figlie, di cui quattro monacate a S. Caterina in Forlì con i nomi di Laura, Giovanna Francesca, Teodora; della quarta, Barbara, non è noto il nome da religiosa. Una quinta figlia, Porzia, nell’estate 1633 sposò in prime nozze il marchese Bosio Calcagnini, dopo la morte del quale sposò Vincenzo Gonzaga, duca di Guastalla. Ebbe anche due figli maschi, Ludovico “di non intiera et sana mente” e Fabrizio, che non continuarono la linea dei Guidi di Montebello, alla quale subentrò il conte Giulio della linea mantovana.