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Di mistero in mistero, la caccia al tesoro dei partigiani riminesi


24 Gennaio 2017 / Paolo Zaghini

Questo è il racconto di una “caccia al tesoro” durata alcuni mesi, e purtroppo finita senza successo.

In occasione del 25 aprile 2016 presentammo alla Città il libro di Daniele SusiniSotto l’ombra di un bel fior… : il monumento ai Caduti per la Libertà in Piazza Tre Martiri 1946-2016” edito dall’Istituto Storico della Resistenza e dal Comune di Rimini. A 70 anni dalla sua inaugurazione il volume ricostruiva la biografia dei nominativi iscritti sulla lapide ai Caduti per la Libertà di Piazza Tre Martiri: partigiani, civili, militari caduti all’estero combattendo contro i nazisti. Monumento realizzato nell’immediato dopoguerra, integrato nei nomi nei primi anni ’60, ma ancora oggi un elenco ampiamente incompleto dei combattenti caduti per la libertà dall’8 settembre 1943 al 21 settembre 1944. Ci preoccupammo come Istituto di fare avere il libro al maggior numero di famiglie dei quei nominativi sulla lapide.

1 - Libro Susini

Qualche settimana dopo, una sera a tarda ora, ricevo una telefonata che più o meno diceva: “Lei non mi conosce, ma io so chi è Lei e vorrei incontrarla. Possiamo fissare un appuntamento? Ho una storia da raccontarle legata al libro che avete recentemente pubblicato”. Con qualche riluttanza, ma alla fine accettai. Del resto non era la prima volta che mi capitava essendo ormai diversi decenni che racconto, grazie anche alle storie che mi sono state raccontate da altri, storie di uomini della Resistenza e del Partito Comunista. Verso fine giugno incontrai a cena in un ristorante di Torre Pedrera questo signore che mi aveva chiamato e portai con me Daniele Susini, l’autore del libro.

Evito volutamente di fare nomi e riferimenti a luoghi precisi. Questa persona era un uomo di più di 80 anni, lucidissimo, che ci disse essere l’ultima persona a conoscere la storia di uno dei misteri più strani della Resistenza riminese, ovvero dove fossero finiti i documenti partigiani originali del periodo di guerra.

A questo punto occorre fare due incisi: il primo è che tutti gli storici riminesi che si sono occupati di quell’anno di guerra partigiana a Rimini lo hanno fatto basandosi sulle relazioni dei 14 comandanti dei GAP e delle SAP redatti subito nelle prime settimane della fine del conflitto e depositati poi nel 1948, allo scioglimento del CLN, presso la Biblioteca Gambalunga. L’Istituto, a cura di Liliano Faenza, li editò nel 1994 in occasione del 50° anniversario della Liberazione: “Guerra e Resistenza a Rimini. La memoria ufficiale” ISRIC Rimini, 1994. Il secondo inciso invece è una annotazione, unica testimonianza scritta, di Guido Nozzoli, comandante gappista e in qualche modo archivista dei documenti partigiani nei mesi della guerra, fatta nel corso di una intervista rilasciata a Bruno Ghigi ed apparsa nel 1980 nel volume “La guerra a Rimini e sulla Linea Gotica dal Foglia al Marecchia. Documenti e testimonianze ”. Afferma Nozzoli (a p. 216): “Di depositi per il materiale e di rifugi ne avevamo molti, disseminati in tutto il nostro territorio. Un recapito che, con molte cautele, usammo frequentemente e in cui tenevamo quasi tutte le riunioni più importanti, fu una casa colonica a San Giovanni in Bagno. Perquisendo quel casolare i tedeschi avrebbero trovato di tutto: armi, circolari, dirigenti e, spesso, prigionieri, evasi, disertori. Molto di più, insomma, di quello che occorreva per fucilare sul posto tutta la famiglia” di mezzadri che vi abitava, composta da 11 persone. “In un pozzetto scavato in un argine, era conservato in un bidone da bitume vuoto anche il nostro archivio, contenente una o due copie dei volantini, dei manifesti, delle circolari, della stampa, dei bollettini, degli ordini di servizio e dei verbali”.

2 - Libro Faenza

Domanda Ghigi: “Dov’è andato a finire quell’archivio?”. La risposta di Nozzoli è la seguente: “E’ un piccolo mistero che non sono mai riuscito a spiegarmi. Tre giorni dopo la Liberazione lo vidi ancora là. Quando mandammo a recuperarlo era sparito. Qualcuno si era presentato a nome dell’organizzazione e se l’era portato via. Da allora non c’è più stato verso di sapere che fine abbia fatto. Chissà chi ha avuto interesse a farlo sparire …”.

Guido Nozzoli

Guido Nozzoli

Bene. Ritorniamo alla cena con il nostro interlocutore. Si presenta e ci dice che quello che lui sa è frutto del racconto dell’ultimo sopravvissuto di un GAP, dove avevano militato anche suo zio e il padre, poco tempo prima che questo morisse. Zio e padre non avevamo mai voluto raccontargli nel dettaglio questa storia. Un racconto che gli era stato fatto alla fine del 1999, ci disse, e che lui poi non aveva mai avuto occasione di raccontare ad altri. E ci parla di questo bidone dei documenti, che però era assieme a tanti altri bidoni pieni di armi tedesche che il GAP aveva rastrellato nei giorni della rotta dell’esercito nazista dopo lo sfondamento della Linea Gotica. Ascoltavamo io e Susini questa storia e ci sembrava di essere lì, in quei giorni terribili, per la vivacità e la ricchezza del racconto. Ma capimmo immediatamente che se al bidone dei documenti c’erano anche quegli altri, il quadro si complicava enormemente (come poi avremmo verificato nei mesi successivi).

Demmo credibilità al racconto del nostro interlocutore, anche se nei giorni successivi facemmo diversi approfondimenti per avere più notizie su di lui. I riscontri che avemmo furono tutti positivi: persona seria, attendibile, ben conosciuto, legato per rapporti parentali con i protagonisti del GAP che operava nella zona.

E da qui iniziò la nostra “caccia al tesoro”. Dapprima dovemmo individuare il proprietario attuale del casolare che lui ci indicò, dove secondo le testimonianza a lui fatta erano stati sepolti 12 bidoni, uno dei quali quello dei documenti di nostro principale interesse. Non osavamo sperare di poterlo ritrovare ancora intatto, con tutto quello che Nozzoli sopra descriveva: fosse realmente avvenuto ciò sarebbe stato un evento di interesse nazionale.

Verifiche al catasto, incontri con la proprietà per ottenere il consenso alla ricerca, informazione di massima ai responsabili dell’Istituto Storico della Resistenza e all’ANPI, contatti informali con prefettura e carabinieri, necessità di richiedere nulla osta al genio militare di Padova prima per un sopralluogo con il metal detector e poi, visto che nei punti indicati lo strumento segnalava presenze ferrose, per lo scavo.

Fra un passaggio e l’altro il tempo passava e solo a novembre riuscimmo finalmente ad effettuare lo scavo. Alle 9 di una fredda e nebbiosa mattina del 25 novembre 2016, con una incredibile attesa da parte nostra di vedere cosa realmente ci fosse in quei punti che erano stati individuati, due operai abilitati a trattare eventuali ordigni esplosivi e armi, con una ruspetta, i proprietari dell’area, io e Susini, e la stazione dei Carabinieri allertata per il loro intervento in caso di …, iniziarono gli scavi. Inutile a questo punto dirvi che non trovammo nulla, se non pezzi di ferro e rottami sepolti in quell’area chissà quando. Indescrivibile la nostra delusione.

Interloquimmo nelle ore successive con il nostro “informatore”, ma Lui ribadì l’esattezza delle informazioni che ci aveva dato. Forse eravamo arrivati tardi … chissà!

A questo punto il mistero si infittisce ancor più ed il “bidone” del tesoro è più che mai introvabile. Ci abbiamo provato seriamente a trovarlo, ma a noi è andata buca. Chissà che il fantasma del bidone con l’archivio dei partigiani riminesi prima o poi non torni ancora a manifestarsi.

Paolo Zaghini