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Altro terremoto, altro Patrono


17 Settembre 2016 / Oreste Delucca

Un ultimo accenno al sisma del 1786, di cui s’è già parlato: fra le iniziative di carattere religioso seguite a quella triste vicenda, va ricordato che per iniziativa del Vescovo riminese, della Pubblica Amministrazione, del Clero e di tutto il Popolo, fu deciso di aggiungere un ennesimo co-protettore della città, a difesa dai pericoli del terremoto, nella figura del vescovo e martire San’Emidio, assai rinomato per i numerosi miracoli compiuti in simili tragiche circostanze. Sant’Emidio è infatti il Patrono di Ascoli Piceno, laddove, purtroppo, sappiamo bene anche dai recenti drammi quanto spesso la terra tremi.

S.Emidio in un dipinto di Carlo Crivelli (Cattedrale di Ascoli Piceno, Cappella del Sacramento)

S.Emidio in un dipinto di Carlo Crivelli (Cattedrale di Ascoli Piceno, Cappella del Sacramento)

Nella chiesa del Suffragio, cappella di sinistra, si può ammirare un grande quadro del pittore riminese Giuseppe Soleri Brancaleoni (1750-1806) che raffigura Sant’Emidio nei pressi dell’arco d’Augusto, attorniato da persone terrorizzate e supplicanti, mentre all’intorno precipitano i massi. Il santo fa un gesto implorante verso l’Altissimo, che lo asseconda ordinando al cherubino di rinfoderare la spada e cessare il flagello.

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S. Emidio nel dipinto di Giuseppe Soleri Brancaleoni nella chiesa riminese del Suffragio

Nei decenni che seguono il 1786, i diari e le cronache locali segnalano un solo caso di attività sismica a Rimini, di intensità secondaria: “la mattina dei 6 dicembre 1821 la città restò atterrita da alcune sensibili scosse di tremuoto accadute alle sei antimeridiane ed alcuni minuti, le quali recarono un generale spavento alla popolazione senza però verun danneggiamento”.

Poi altri decenni di tranquillità. Ma in talune persone cresceva la preoccupazione, perché si erano convinte che all’incirca ogni cento anni il terremoto venisse a colpire duramente la città: 1672, 1786 ….. giunti ai tre quarti dell’Ottocento se lo aspettavano. Altri sorridevano per questi timori; ma ancora per poco. È la notte del 17 marzo 1875; racconta il professor Alessandro Serpieri:

“Era scorsa ormai di un’ora la mezzanotte e nella quiete generale della città, quando niun indizio di spaventosa catastrofe nell’aria o in terra si mostrava, vari cittadini qua e là per le case si destano: chi riscosso da paurosi sogni, chi dolente per grave oppressione, chi agitato da sinistri presentimenti o sorpreso da inesplicabile inquietezza. Ed ecco stranamente levarsi e strepitare gli animali; e latrare i cani e dibattersi gli uccelli e scalpitare i cavalli, come improvvisamente colpiti non so se da spavento o dolore. È il solito preludio di un gran terremoto; singolare preludio, non pregiudizio o fantasia del volgo, ma un fatto reale, attribuibile a burrasca elettrica invisibile, che da ogni parte si diffonde all’intorno di un focolare sismico, colla rapidità del baleno”.

“Ancora un istante e cupo risuona il rombo precursore e già si avvertono i primi tremori del suolo. Da per tutto si grida: Il terremoto! Lo scuotimento cresce e cresce a gran furia; il rumore è immenso, assordante. E quando, d’un tratto, al subito balenare di un lampo, le oscillazioni son rotte da violenti sussulti e spostamenti e contorsioni e precipitano nelle stanze i mobili, sui tetti i camini, nelle strade i tegoli e cornicioni dei palazzi e scrosciano e si aprono i muri e cadono travi, soffitti e pavimenti, oh Dio! L’angoscia, il terrore è al colmo; si urla, si piange, si prega, si fugge. Poche altre scosse e Rimini sarebbe stata un mucchio di rovine. Ma, grazie al cielo, quei primi furori di sussulti e rotazioni furono anche gli ultimi; e l’universale fragoroso soqquadro andò quietando a grado a grado, nel modo che in principio era cresciuto”.

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Frontespizio del discorso di Alessandro Serpieri sul terremoto di Rimini della notte 17-18 marzo 1875

Il fenomeno è passato. Gli orologi pubblici e della ferrovia sono fermi: segnano tutti le 12 e 55 minuti. La quiete è turbata dalle grida di dolore e di spavento della gente che, in poco tempo affolla le vie e le piazze, dove pernotta, temendo che una nuova scossa possa smantellare le abitazioni sconquassate che lo spavento e la fantasia, complici le tenebre, fanno credere pericolanti.

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Carta del terremoto del 1875, con le aree ad intensità sismica decrescente

Da una così tremenda convulsione di cose e di spiriti, non si ebbero a lamentare disgrazie gravi. Sarebbero morti certamente due bambini in casa di Francesco Casalini, in via S. Simone (oggi via Alessandro Serpieri, vedi la coincidenza), completamente sepolti dal crollo di un muro, dei soffitti e dei solai.

Fortunatamente l’allarme lanciato con tempestività mobilitò tre soldati che, con coraggio e destrezza riuscirono ad estrarli quasi illesi. Le cronache ci hanno anche tramandato i nomi di questi valorosi: Evaristo Martinelli, Cesare Ferrari e Carmelo Rossini.

Vedremo la prossima volta i danni prodotti, gli interventi dell’Amministrazione comunale e l’analisi del sisma effettuata dal professor Alessandro Serpieri.

Oreste Delucca