HomeLia CeliC’è solo un tipo di italiano che si beve ancora le balle di Mussolini: l’ignurent


C’è solo un tipo di italiano che si beve ancora le balle di Mussolini: l’ignurent


23 Agosto 2020 / Lia Celi

E niente, un’estate senza la notizia che mette insieme fascismo e Riviera romagnola, e ci fa passare per biechi nostalgici del ventennio dei suoi valori ripudiati dal mondo civile, proprio non riusciamo a risparmiarcela.

Un anno c’è l’albergatore che non vuole un cameriere nero, l’altr’anno c’è il mercatino con i busti del duce. Nemmeno l’estate del Covid-19 (numero evocativo, del resto, il 1919 è l’anno di fondazione del Partito nazionale fascista) ci ha negato l’umiliazione di vedere la nostra zona finire sui giornali a causa dell’ennesima gaffe targata fascio: il cameriere di un ristorante di Viserbella che, nell’atto di servire clienti senegalesi, fa il saluto romano a un’immagine di Mussolini e gli dice “scusa Benito”.

Giuste e prevedibili le reazioni indignate delle autorità, benvenuti gli atti riparatori come l’offerta di un soggiorno alla famiglia insultata, da parte di un hotel viserbellese. Ma oltre a queste belle cose ci vorrebbe un sacrosanto “gnurènt” gridato in coro all’indirizzo del cameriere – perché, in ultima analisi, uno che nel 2020 rimpiange Benito Mussolini quello è: un ignorante.

E la miglior cura per questo tipo di ignoranza nostalgica, dovuta all’insoddisfazione (comprensibile) per un presente complicato e pieno d’incognite, è un libro uscito da qualche mese. L’autore è lo storico Francesco Filippi e il titolo, Mussolini ha fatto anche cose buone, può mettere in difficoltà quando lo si chiede ad alta voce in libreria, quindi forse è meglio cominciare dal sottotitolo, Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo.

Si tratta infatti di una disamina attenta, approfondita e documentata, di tutte le fake-news sul ventennio fascista che circolano su media di destra e social, dalla sbandierata realizzazione delle bonifiche (completate sotto Mussolini ma volute e iniziate dai governi precedenti), all’avversione al razzismo prima del 1938 (il duce straparlava di razza superiore da prima della marcia su Roma, con buona pace della sua musa Margherita Sarfatti, di origine israelita; per non parlare della disumana legislazione coloniale); dal presunto «femminismo» (in realtà le donne furono estromesse da tutte le carriere che non fossero quella di moglie e madre prolifica) al valore militare (Mussolini non capiva nulla di guerra e di armamenti, a differenza del suo amico Hitler, e se c’era un’istituzione non meritocratica era l’esercito italiano).

L’INPS era stata inventata già nel 1898, la “tredicesima” era riservata agli impiegati dell’industria, non agli operai; quel po’ di ripresa faticosamente ottenuta nei primi anni Trenta fu affossata da imprese militari sempre in perdita, e poi dall’autarchia. C’erano migliaia e migliaia di famiglie senza casa e senza alimentazione sufficiente, corruzione dilagante, nepotismo spudorato, delinquenza e treni in ritardo, ma nulla arrivava sui giornali, sottoposti a ferrea censura.

E quando Mussolini si accorse che non bastavano una carota sempre più amara e un bastone sempre più grosso a trasformare gli italiani in un popolo di guerrieri, mostrò senza pudore il massimo disprezzo per il suo popolo, di cui in privato diceva sempre peste e corna, e che mandò in guerra senza scarpe e con fucili inservibili.

«Dittatura dal volto umano»? Se ci fu un tentativo di genocidio del popolo italiano, obietta Filippi, fu quello attuato, consapevolmente o inconsapevolmente, da Benito Mussolini. Ma mentre i tedeschi alla fine della guerra fecero (o furono obbligati a fare) i conti con il loro passato, noi potemmo girare pagina senza capire cos’era stato davvero il fascismo, condannato nella Costituzione e nella retorica civile, ma semplicemente rimosso dalla coscienza dell’italiano medio, che oggi può permettersi di immaginare il fascismo come l’epoca felice delle “mille lire al mese” e dell’aratro che traccia il solco.

E come ben sanno gli psicanalisti, il rimosso collettivo riaffiora quando un popolo è sottoposto a un forte stress. L’altra sera su Raidue un documentario de La grande storia faceva parlare un ex Hitlerjugend. Diceva che, dopo la guerra, si era come svegliato da un incubo e si era chiesto: «Come abbiamo fatto ad andare tutti dietro a un tizio che urlava in quel modo?» Non so se quel signore ha trovato la risposta, ma una cosa è certa: troppi italiani, dal 1945 in poi non si sono mai nemmeno posti una domanda analoga. Sicuramente non il cameriere di Viserbella.

Lia Celi