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Dunque per sfidare Cristina D’Avena ci vuole Monkey Island


17 Dicembre 2022 / Lia Celi

Dicono che sia una dritta che si passano gli attori quando il copione prevede che scoppino in lacrime: bisogna sforzarsi di pensare alla sinistra italiana. Il pianto sgorga spontaneo, senza bisogno di cipolle o di canfora o di finte accuse di furto di mozziconi di sigaretta, il noto trucchetto che usò Vittorio De Sica per estorcere singhiozzi veri al piccolo Enzo Scaiola in Ladri di biciclette.

A tre mesi dal 25 settembre, quella batosta elettorale sembra l’incidente più lieve e accettabile – è la democrazia, bellezza, e comunque non è il risultato peggiore conseguito dai progressisti negli ultimi vent’anni. Ma l’affaire Soumahoro? Che, precisiamo, non è indagato per i reati di cui è accusata la madre della sua compagna; ma è comunque passato da potenziale leader di una sinistra-sinistra che torna alle origini e si rimette a difendere gli oppressi a babbeo frignone che difende il diritto alla moda della sua fidanzata fashionista.

Non avevamo ancora finito di elaborare l’eclisse del pasionario dei braccianti, che a Bruxelles scoppia lo scandalo Qatargate, coinvolti per ora sette italiani, fra cui un esponente di Articolo 1 e un eurodeputato Pd. Avrebbero incassato mazzette dagli emiri del Golfo e dai lobbisti del Marocco per addolcire la posizione dell’Ue sul rispetto dei diritti dei lavoratori in quei Paesi. Pensare che si sono presi a mazzate con Renzi per i suoi rapporti con un paese arabo liberticida, quando sembra l’unico argomento su cui potevano gemellarsi.

Il terzo scivolone, passato inosservato se non per quanti restano ancora su Twitter malgrado Musk, è irrilevante penalmente, ma non culturalmente. Per questo non solo fa piangere, ma le lacrime cadono nel latte che sale alle ginocchia. Tanto più che riguarda Elly Schlein, una delle più accreditate candidate alla segreteria del Pd ancorché non iscritta, la personalità che molti sperano di veder sfidare Meloni prima nell’agone politico e poi nelle urne. Per ora la sfida più evidente si svolge a colpi di riferimenti pop. Quelli della premier, si sa, spaziano da Tolkien a Cristina D’Avena, che ha impreziosito l’ultima kermesse di FdI cantando le sigle dei cartoni Fininvest.

Come risponde Schlein a questo possente apparato culturale? Con una frase sibillina nella bio del suo profilo Twitter: «Salveremo il mondo con un pollo di gomma con carrucola». Forse la citazione dostojevskiana della bellezza che salverà il mondo è troppo vintage e soprattutto troppo russa, ma il pollo di gomma, con la carrucola, poi, che cavolo c’entra?

Mistero svelato: la frase viene da un videogame punta-e-clicca di moda negli anni 90, Monkey Island, come hanno spiegato alcuni follower entusiasti, sia del videogame che di poter dare dei boomer a tutti quelli che non avevano capito l’allusione.

Capisco che una bio su Twitter non è un manifesto politico. È solo un biglietto da visita. Purtroppo sembra che ormai i leader politici debbano marcare nel biglietto da visita la differenza fra loro e fra i loro predecessori non con slogan o dichiarazioni d’intenti, ma con frasi fatte, slogan o tormentoni legati alle passioni della loro adolescenza: il fantasy, il Subbuteo e Casa Vianello per i nati nei Settanta, questo o quel videogame per la generazione degli Ottanta.

Va bene, non dobbiamo per forza immaginare Schlein e Meloni che si contendono la premiership a colpi di citazioni di Gramsci e di Evola – per carità, che palle. Ma il vero cambio di passo non sarebbe smetterla con le strizzatine d’occhi retrospettive? O vogliamo che il pollo di gomma con la carrucola sia solo la versione aggiornata e altrettanto sfigata della «gioiosa macchina da guerra»?

Lia Celi