HomeCronacaEcco il Natale che avevamo sempre detto di desiderare: contenti?


Ecco il Natale che avevamo sempre detto di desiderare: contenti?


5 Dicembre 2020 / Lia Celi

Quest’anno la ricorrenza più dolce e attesa dell’anno non è uno sport per signorine. Non è il solito fiume zuccheroso e defatigante che ci ghermisce a fine novembre e ci trascina con sé, sempre più impetuoso, rumoroso e irresistibile, fino a quando, il 24 dicembre, non ci sbatte su una sedia davanti alla tavola imbandita per il cenone con i parenti.

Il Natale 2020 è una grande lezione. Avete presente quel monito in cui nessuno di noi ha mai creduto davvero, «attento ai tuoi desideri perché potrebbero avverarsi»? Eccolo qui, realizzato sotto i nostri occhi.

Quante volte ci siamo lamentati delle feste? Delle corse nei negozi affollati per acquistare i regali in cui se ne va tutta la tredicesima, per chi di noi ha la fortuna di riceverla. Di dover assistere agli interminabili saggi e alle stucchevoli recite natalizie dei figli. Delle corvée in cucina per preparare pasti per un mare di parenti, metà dei quali non possiamo sopportare, ma dobbiamo ospitare sotto il nostro tetto. Delle trasferte nelle seconde case fredde e sporche, in paesi di montagna dove tutto è carissimo, dal pane allo skipass, ma non cade un solo fiocco di neve fino al giorno dopo che siamo partiti, quando ne viene giù un metro. Della scocciatura di dover uscire al freddo con il torrone ancora sullo stomaco per andare alla messa di mezzanotte, con i bambini che ci crollano addosso stanchi morti. Della stramaledetta sera di San Silvestro, quando raccontiamo ai quattro venti che siamo invitati a quattro o cinque veglioni, ma uffa che noia “a-e-i-o-u-ypsilon”, il prossimo anno ce ne staremo a casa, andremo a letto alle dieci e tanti saluti.

Ecco, il «prossimo anno» è adesso. Abbiamo finalmente le feste che abbiamo sempre sognato: frugali, sparute, casalinghe, misantrope. Recite, saggi di danza e presepi viventi, zero spaccato. I parenti li vedremo solo su Skype e non dovremo offrirgli nemmeno una fetta di panettone. La messa di Natale sarà anticipata e Gesù bambino nascerà all’ora dei Soliti Ignoti. Sotto l’albero ci sarà il minimo sindacale di pacchetti, giusto per i familiari conviventi. Al ristorante con il clan familiare dovremo sederci in quattro per tavolo e se vogliamo litigare fra cugini dovremo telefonarci da un tavolo all’altro. Le seconde case in montagna resteranno vuote, oltre che fredde e sporche, però nevicherà tantissimo.

E la sera del 31 dicembre, tutti in salotto con la tombola e le carte del Mercante in fiera, ma siccome per divertirsi ci vuole almeno il doppio di partecipanti consentiti dall’ultimo dpcm e fare mezzanotte davanti alla tivù guardando saltimbanchi con la mascherina FFP2 è troppo deprimente, ce ne andremo a letto alle 10, come ci eravamo sempre ripromessi di fare.

Dovremmo essere tutti contenti, no? E invece siamo mogi, c’è chi grida al sacrilegio, alla violenza psicologica. Ci manca poco che Giuseppe Conte si ritrovi nel letto le teste decapitate di un bue e di un asinello.

Bè, sentite un po’. A me basta sapere che, causa Covid, il 24 dicembre saranno oltre 60mila gli italiani per cui l’ultimo Natale è stato quello targato 2019, per baciarmi i gomiti di poter vivere il Natale 2020, comunque sia. Parafrasando i Blues Brothers, è quando il Natale si fa duro che i duri iniziano a festeggiarlo.

Nella speranza che il 6 gennaio i Re magi, oltre a oro, incenso e mirra, ci portino il sospirato vaccino grazie al quale, se tutto va bene, le feste 2021 torneranno alla tradizione. (Ma se poi qualcuno ricomincia a lamentarsi guai a lui.)

Lia Celi