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Il romanzo del soldato di Agello inghiottito dalla Grande Guerra


21 Febbraio 2021 / Paolo Zaghini

Marco Valeriani: “I girasoli” – L’Infernale Edizioni.

“Fa freddo. Piove. La baracca non si scalda e la stufa sbuffa fumo. La legna asciutta scarseggia. Ne avremo prima del cambio. I cecchini austriaci si sono scavati dei buoni ripari sulla parte rocciosa verso nord est. Stare allo scoperto costerebbe caro. Dai nidi delle mitragliatrici è impossibile sgusciare via senza essere presi di mira”.

Ada ha 14 anni. Trascorre le vacanze estive nella casa che i nonni possiedono a San Clemente. E qui, frugando nei cassetti, scopre per caso il diario scritto dal soldato Adamo Bacchini, morto per tubercolosi polmonare durante la Prima Guerra Mondiale nel 1918, rinchiuso nel lager tedesco di Sprottau all’indomani della disfatta italiana a Caporetto. Attraverso le lettere che il giovane scambia dalle trincee con la madre Rosa e grazie ai racconti che il militare fa della sua vita prima dell’arruolamento, Ada riesce a ricostruire la storia dell’uomo: un contadino nato e cresciuto in campagna, ad Agello, costretto, come tanti altri compaesani, a indossare l’uniforme contro la propria volontà.

Adamo Bacchini, del 55° Reggimento Brigata Marche e promosso a Caporale mitragliere della 268a Compagnia Fiat, è il trisnonno di Ada. Era un ragazzo ventenne improvvisamente catapultato in alta montagna a combattere contro l’esercito austro-ungarico. Dall’intreccio dei ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza, unito alle testimonianze delle tragiche vicende in cui il soldato si trova coinvolto al fronte, emergono personaggi le cui caratteristiche, a volte ben delineate o in altri casi appena tratteggiate, contribuiscono a sottolineare le dolorose fragilità, mai confessate, dell’essere umano.

Il racconto evidenzia in modo meticoloso le condizioni disumane dei militari durante la Prima Guerra Mondiale. Com’è noto, difatti, per quattro lunghi anni, gli eserciti di entrambi gli schieramenti furono esposti alle intemperie senza adeguato riparo, in una situazione igienica a dir poco precaria, fermi ad aspettare la morte, nascosti nelle buche in cui erano costretti a ripararsi e ad agire.

“Solfuro di etile biclorurato. Ecco la formula chimica dell’iprite. Il terrore dei soldati dimenticati nei budelli della terra. Noi fanti la conoscevamo con i nomi di Croce Gialla e Gas Mostarda, per via dell’inconfondibile odore appiccicoso. A Monte San Michele, nel giugno del 1916, fu la prima volta del gas. Gli austriaci nello scatenare la loro offensiva attaccarono gli italiani spargendo il contenuto delle centinaia e centinaia di bombole caricate a cloro e fosgene. Un composto micidiale che poteva uccidere a diversi giorni dall’esposizione. Sul San Michele le trincee vennero occupate dai soldati ungheresi e i nostri compagni, in piena agonia, massacrati dai colpi delle mazze ferrate”.

Marco Valeriani, classe 1962, giornalista, appassionato di storia. Nel 2018, in occasione del centenario della fine della Grande Guerra, ha curato per conto del Comune di San Clemente il volume “Il soldato Catullo. La micro-storia del fante mitragliere Getulio Giuseppe Tamburini”. Dal lavoro di ricerca per questo volume nasce ora questo primo romanzo di Valeriani.

“Sono da sempre appassionato di storia locale, amo particolarmente la Valconca, ma non conoscevo pressoché nulla del grande sacrificio sopportato dalle genti della valle durante il conflitto. A richiamare la mia attenzione è stato il monumento ai Caduti realizzato dall’amministrazione comunale di San Clemente verso la fine degli anni Cinquanta. Su quella lapide ho letto i nomi, incisi nella pietra, dei tanti che hanno sacrificato la propria esistenza combattendo. Se ne contano 75: un numero impressionante considerata la popolazione maschile dell’epoca. Da lì le nuove ricerche e gli approfondimenti”. Scrive Valeriani in premessa al volume: “Questo romanzo non è frutto solo della mia fantasia. I riferimenti alle vicende di guerra, agli scenari delle battaglie, alle lettere spedite dai soldati mandati al fronte sono reali”.

E l’Editore Ferdinando de Martino nella Prefazione annota: “Perché la Grande Guerra è un periodo che la storia italiana ha raccontato in mille modi, ma l’unica che sembra riuscire davvero nel suo intento, ovvero quella di trasportare il lettore in quel tremendo momento storico è la narrazione orale o quella diaristica”.

L’opera di Valeriani si aggiunge alle poche pubblicazioni riminesi dedicate alla Prima Guerra Mondiale, accostandosi per la forma narrativa adottata all’altro romanzo del riminese Massimo Gugnoni “Il soldato che correva” (Youcanprint, 2019).

Il libro di Valeriani si conclude con questa riflessione di Ada: “Ci sono giorni in cui la terra è un’esplosione d’oro zecchino. Sono i girasoli che incendiano l’aria tutt’attorno ad Agello. Gli stessi girasoli che tanto piacevano a chi con il proprio sacrificio ha contribuito a renderci donne e uomini più liberi, persone migliori. A chi, combattendo una guerra tanto crudele e assurda, ha dovuto vincere la paura delle trincee. Ha scalato montagne e costruito baracche. Ha patito la fame, il gelo. Ha ucciso per non essere ucciso. Ha seppellito amici e compagni. Ha lasciato gli affetti più cari. Tutti giovanissimi. Erano nipoti, figli, padri. Com’era figlio e padre, il Caporale Adamo Bacchini, di anni 25, il mio dolcissimo trisnonno”.

Paolo Zaghini