HomeIl corsivoLa Questura di Rimini? Tutta colpa di Tontinelli


La Questura di Rimini? Tutta colpa di Tontinelli


7 Febbraio 2019 / Nando Piccari

Proviamo a immaginare che fosse stato il leghista Maroni, Ministro dell’Interno dell’ultimo governo Berlusconi, a venire a Rimini per stipulare con Sindaci e Prefetto il famoso “Patto” incentrato sulla certezza che la Questura, dopo un breve passaggio nella sede provvisoria di P.le Bornaccini, grazie al “procurato intervento” dell’Inail avrebbe finalmente trovato casa laddove era fin dall’inizio destinata. Ponendo così fine all’immonda telenovela di Via Ugo Bassi, creata dal “combinato disposto” fra la dabbenaggine di un padrone d’altri tempi e l’incredibile superficialità di quanti, al Viminale, vi hanno negli anni messo mano.

Continuando in questo gioco di fantasia, mettiamo che il centrosinistra, una volta subentrato al governo del Paese, con un bel “chissenefrega” avesse indotto l’Inail a ritirirarsi dalla partita; per poi brigare, tramite un sottosegretario PD seguace della teoria “meglio un uovo oggi che una gallina domani”, fino ad arrivare alla stipula di un grazioso contratto diciottennale – alla faccia della sede provvisoria! – con il proprietario dell’immobile di Piazzale Bornaccini, appena un po’ meno inadeguato rispetto all’attuale sede della Questura.

Sempre con l’immaginazione, retrodatiamo a quel tempo la riunione mattutina del “Comitato provinciale per la sicurezza” del 24 gennaio scorso, che aveva come ordine del giorno: Che ci vuoi fare? Chi vivrà vedrà…

Mettiamo che poi, quel pomeriggio stesso, il Prefetto e il Questore dell’epoca avessero dovuto rendere omaggio a due sottosegretari PD venuti a sancire il “non possumus” per Via Ugo Bassi, del tutto all’insaputa dei Sindaci di centrodestra. I quali l’avrebbero appreso solo all’indomani, da articoli corredati di foto in cui si vedevano i due alti funzionari statali dover “fare buon viso” pure alla cafonesca irruzione di alcuni intrusi di partito, che i due sottogovernanti s’erano portati appresso.

Un siffatto esercizio di “fantasia retroattiva” renderebbe inevitabile una domanda finale: a parti così invertite, una simile “porcata istituzionale” come sarebbe stata presa dai Sindaci di centrodestra? (Solo loro, perché il simil-sindaco grillino di Cattolica è arrivato dopo, grazie a dei voltagabbana del PD).

La risposta è scontata: avrebbero anch’essi protestato, esattamente nei termini in cui l’hanno fatto i Sindaci di centrosinistra dopo l’affronto subito il 24 gennaio. Quando si sarebbero aspettati se non la solidarietà, almeno l’imbarazzato silenzio dei nostrani tirapiedi di Salvini e dei loro portatori di borracce grillini e berlusconiani; che invece hanno iniziato a starnazzare contro chi era stato oggetto di tanta protervia.

Fra costoro s’è distinta “l’onorevole da spiaggia” riccionese, il cui grado di semianalfabetismo non è chiaro se si evidenzi di più quando disserta di politica o quando scrive in italiano. Mentre il ruolo di “testa d’ariete” se l’è assunto il locale senatore grillino, che essendo un raffinato latinista, ha scagliato contro il Sindaco di Rimini nientemeno che una citazione di Orazio. Limitandosi però al primo quarto («Est modus in rebus», ossia «esiste una misura nelle cose») e guardandosi bene dal citare pure il restante «sunt certi denique fines, quos ultra citraque nequit consistere rectum», poiché la sua traduzione («esistono determinati confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi il giusto») sarebbe suonata come un esplicito riferimento non all’incazzatura di Gnassi e C., ma alla ribalderia di chi disonora gli impegni, per ragioni che sono in grado di rivelare.

Appena messo piede sulla scrivania del Viminale, Salvini s’è ritrovato fra le mani la pratica, anzi “il dossier” (fa più figo…) lasciatogli da Minniti. Per avere lumi, ha allora chiamato il capogruppo legaiolo al Comune di Rimini, il quale s’è però scusato: “Mi dispiace non poterti aiutare, o amato leader e nostra grande guida! Ma io non sono di Rimini e, quando ci vado per recarmi in Consiglio, il navigatore mi fa fare un’altra strada, per cui non ho mai visto quell’edificio di Via Ugo Bassi, che però mi dicono non sia messo molto bene. Per farmi perdonare, ti invierò la felpa con su scritto il simpatico detto romagnolo Povero Pataca; così la indosserai quando verrai da queste parti a cacciar via tutti quei negri.”

Ma Salvini non poteva perdere altro tempo con la Questura di Rimini, avendo cose più importanti da fare: il selfie mattutino con la leccata di Nutella; poi, al pomeriggio, travestirsi da pagliaccio-poliziotto e correre a «difendere i confini». Perché, come tuonava Mussolini, «i confini sono sacri: non si discutono, si difendono!» fermando il nemico «sulla linea del bagnasciuga».

Ebbe così la bella pensata di passare il dossier al ministro Tontinelli, quello che quando va in tv fa due occhi come Bega: “Senti caro, tu che ti diverti tanto con quel giochino scemo dei “costi e benefici”, mi dici cosa devo dire su questa cosa ai miei galoppini riminesi?”

Per accettare, Tontinelli pose però una condizione: “Quando arriveranno i barconi con i migranti da San Marino, il porto di Rimini lo fai chiudere a me, intesi?”

Dopodiché insediò l’apposita “commissione costi e benefici” – una fatucchiera, un sensitivo e una scrutatrice di fondi di caffè – che di lì a poco lo mise in grado di decretare quanto segue: “Quello di Via Ugo Bassi è un immobile. Allora, come dice la parola stessa, dovrà restare sempre fermo lì, dov’è e com’è; altrimenti che immobile sarebbe? Quei soldi vanno invece investiti in un’opera pubblica che si muove lei e fa muovere anche l’economia. Non dico l’alta velocità Torino-Lione, che tanto non ci salirebbe nessuno; ma restando nel riminese, con quella cifra ci si possono costruire la Tavullia-Tavoleto, la Tavoleto-Taverna e anche la Taverna-Tavullia: tre Tav al posto di una!”.

Nando Piccari