HomeCronacaL’invasione dei monopattini elettrici, felici di sentirci bambini


L’invasione dei monopattini elettrici, felici di sentirci bambini


1 Settembre 2019 / Lia Celi

“Ma è permesso girare in due su un solo monopattino?” mi domandavo ultimamente, vedendo che in centro storico è il due-per-uno è quasi la normalità. A quanto pare, no.

Ieri sono stati tre (o sei?) i multati per uso multiplo del trabiccolo elettrico free-floating che fa impazzire i riminesi, e se i vigili avessero fatto un giro intorno all’Arco il loro bottino sarebbe stato ancora più ricco. Fare le cose come si deve, rispettando la legge, è una vera faticaccia, specie quando si tratta di un monopattino, veicolo che è difficile prendere sul serio anche oggi che rientra in una definizione seria come «micromobilità».

Sembra un giocattolo per grandi, il fratellino pestifero della bicicletta, e quando ce l’hai sottomano regredisci a monello, anche se l’hai noleggiato con l’app e la carta di credito. Quasi mi vergognavo ad ammettere di avere una gran voglia di provarlo, nonostante l’età, finché mio padre, che va per gli ottanta, non mi ha confessato la stessa cosa.

Sembra così pratico e divertente che riaccende una voglia di infanzia anche nei più seriosi, specie se appartengono alle generazioni per cui era già un lusso la carratella costruita con quattro assi di legno e due ruote. Nessuno dopo i cinquant’anni avrebbe il coraggio di comprarsi un monopattino, ma quando ce l’hai lì, sotto casa, e puoi affittarlo senza impegno con una tenue spesa per un giretto, la tentazione è irresistibile, e l’unico ma quasi invalicabile limite è la paura del ridicolo.

Se no, sai quanta gente con i capelli da brizzolati a bianchi si vedrebbe non solo sui monopattini, ma anche sui gonfiabili e sugli acquascivoli, sfidando acciacchi e mal di schiena? Quando eravamo piccoli noi roba del genere non c’era. Siamo cresciuti lottando darwinianamente con i coetanei per poche altalene arrugginite che cigolavano come patiboli, scivoli arroventati dal sole che ci arrostivano le chiappe come bistecchiere, giostrine sbilenche, il gioco con meno fila era il su-e-giù a bilancia per evidenti motivi: dopo cinque secondi di su e giù ti eri già rotto i maroni (per i maschietti era qualcosa di più che una metafora). La bilancia diventava divertente solo se ci salivi con uno molto più pesante di te che ti faceva schizzare in alto come una frittella col rischio di romperti il collo.

Per questo, quando guardiamo i nostri figli sui gonfiabili, l’attenzione è sempre mista all’invidia: ci fossero stati ai nostri tempi! Stessa cosa per gli acquascivoli. Quarant’anni fa anche le semplici piscine erano un sogno proibito riservato a pochi, figuriamoci quei meravigliosi arabeschi colorati che ti proiettano nel blu a pazza velocità. Ma chi ha il coraggio di mescolarsi ai ragazzini snelli e freschi nelle file di Aquafan, che poi se ci facciamo male è tutta colpa nostra perché alla nostra età certe cose bisogna solo guardarle (e neanche troppo, se no ti scambiano per un maniaco)?

Così per sentirci giovani facciamo cose più complicate, impegnative, pesanti e costose, come iscriverci in palestra, metterci con qualcuno con troppi anni meno di noi, tingerci, truccarci o tirarci, comprare moto o macchine decisamente troppo sportive. Ma non sarebbe meglio farsi un giretto in monopattino – ovviamente con casco protettivo e solo nel parcheggio del Pronto soccorso?

Lia Celi