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Ma Fede di vite ne aveva due


16 Maggio 2020 / Lia Celi

«Qualcuno vuole dire qualche parola?» Nei funerali dei film è sempre una scena bellissima, la più commovente e significativa. All’appello del sacerdote rispondono almeno in tre o in quattro, si mettono dietro alla bara e pronunciano senza impappinarsi una breve commemorazione, impreziosita da un ricordo del defunto, da una citazione piena di significato o da una battuta dolceamara che suscita negli astanti risate e lacrime.

Tutto fila così liscio che viene da pensare che sia una cosa facile, naturale. Poi quando è il copione della tua vita a metterti in una scena come quella, e avresti l’opportunità di «dire qualche parola» su una persona cara che ti ha lasciato, ti ritrovi la lingua incollata al palato e riesci ad aprire la bocca solo per singhiozzare.

E ti senti ancora peggio perché senti che dovresti farlo, che ne avresti bisogno, e forse anche gli altri avrebbero bisogno di ascoltarti, per condividere il tuo rimpianto e il ricordo di chi non c’è più. E invece niente.

A me è successo ieri, e poco vale ripetere a me stessa che già sono stata fortunata a poter dare un ultimo saluto a un amico carissimo, quando fino a pochi giorni fa sarebbe stato impossibile. Ma siccome questa persona, Federicomaria Muccioli, era importante non solo per me e per la sua famiglia, ma per tante persone che hanno avuto la fortuna di conoscerlo come amico e maestro, e per la sua città da lui tanto amata e onorata attraverso i suoi scritti, credo di non abusare dello spazio di questa rubrica se oggi parlo di lui come non sono riuscita a fare davanti al suo feretro.

Si dice che un anziano che muore è una biblioteca che brucia. Quando se ne va nel fiore degli anni uno studioso come Fede, di biblioteche ne bruciano due: quella che portava dentro di sé, la sua immensa e variegata cultura in cui i lirici greci andavano a braccetto con l’adorato Lucio Battisti, e quella che il tempo crudele non gli ha dato il tempo di scrivere.

Ci resta la raccolta, cospicua e preziosa, delle opere che ha realizzato o curato, dai Misteri di Rimini alle traduzione degli autori greci, dalla grande Storia dell’ellenismo alla piccola ma incredibile storia di Tina Crico protagonista del Registro della spia.

Fede sul suo privato è stato pudico e riservato fino alla fine, ma forse, rievocando quella carismatica professoressa dalla doppia vita, aveva svelato qualcosa di sé. Anche lui, in un certo senso, viveva sotto copertura, anche se è difficile capire se come professore o come riminese. Perché sotto il docente celebre e apprezzato c’era il riminese doc dal cuore grande, amante dello sport, così attaccato alla sua città e alle sue radici da accettare una vita da eterno pendolare nel triangolo Rimini-Bologna-Ravenna, sempre appeso agli imprevisti e ai disservizi delle patrie ferrovie.

Ma per chi lo conosceva fin dai tempi della scuola è vero anche l’opposto: dentro il ragazzo riminese c’era già un professore, anche quando la cattedra era ancora lontana. Posato, riflessivo, bibliofilo e cinefilo, curioso del passato e dei suoi misteri, con una maturità così insolita da sembrare snobismo. In lui solarità e serietà si incrociavano e sovrapponevano, in un’inafferrabile gioco di eclissi, sempre vissuto con consapevole ed amabile ironia.

Un’ironia temprata di stoicismo, che nemmeno il male ha potuto fiaccare e spiazzava noi che gli siamo stati vicino. E nessuno gli è stato più vicino di Manuela, sua moglie, un angelo guerriero che ha combattuto al suo fianco per anni contro il demone invisibile. Alla fine il demone ha vinto, ma non del tutto. Perché è potente e cattivo, ma stupido. Non sapeva che Federicomaria Muccioli, come Tina Crico, di vite ne aveva due. Il male è riuscito a rubargliene una, ma non l’altra, quella che palpita nei suoi libri, nella memoria dei suoi allievi, nelle menti dei giovani studiosi che ha formato. E’ un pensiero che da solo non basta per asciugare le lacrime dei suoi amici, ma li rende fieri di esserlo stati.

Lia Celi