Immaginate una stanza a soqquadro, sporca, disordinata, con le tendine di ragnatele che pendono dal soffitto, muffa nera negli angoli, assi del parquet sollevate e colonie di scarafaggi sotto il tappeto. Assumete a caro prezzo per risanarla uno che nei suoi spot pubblicitari si vanta di trasformare in quattro e quattr’otto una topaia in una reggia e sostiene di essere l’unico serio in un settore pieno di sciattoni scansafatiche. Finalmente riuscite a portare questo superuomo nella stanza da mettere a posto, domandandovi, speranzosi, quale problema risolverà per primo. Ci darà dentro con il bidone aspiratutto? Sparerà l’antimuffa più potente del mondo? Spianerà il parquet con un rullo compressore? No, appena entrato nella stanza si rimbocca le maniche, fa qualche flessione sulle ginocchia per riscaldarsi, poi si avvicina a una parete e raddrizza un quadretto. Anzi, neanche lo raddrizza: lo mette storto, ma dall’altra parte, perché secondo lui sta meglio così. Dopodiché vi guarda compiaciuto come per dire «visto che mantengo le promesse?», poi si asciuga il sudore e va a casa a fare un TikTok in cui afferma di avere sfacchinato tutto il giorno.
Ecco, con Matteo Salvini più o meno è la stessa cosa. Un esempio: appena fu nominato ministro dell’Interno, con tutto quel che c’era da fare per garantire la sicurezza dei cittadini – o meglio: per far sentire i cittadini più sicuri, in un Paese che, nonostante la percezione distorta, ha uno dei più bassi indici di criminalità in Europa – come prima cosa abolì dai documenti burocratici la prosaica ma inclusiva dicitura “genitore 1 e 2” introdotta dai governi precedenti e tornò al “padre e madre”. Perché si è figli solo «di una mamma e di un papà», come ripete ossessivamente nei suoi comizi, sottolineando «mamma e papà» con un tono infantilmente petulante più adatto a un bambino dell’asilo che a un quasi cinquantenne con tanto di barba. Ora, nel 2022 nella parte più civile del mondo gli Stati prevedono che si possa essere anche figli di due padri e di due mamme, la genitorialità non è sinonimo di capacità procreativa e non si declina solo in base all’ultima coppia di cromosomi, XX o XY.
Ora, io mi sento madre dei miei figli anche se sui loro documenti vengo indicata come «genitore», e la dicitura non toglie niente a me né alla mia prole. Nelle famiglie omogenitoriali invece il fatto che uno dei due genitori non possa essere indicato come padre perché è una donna, o madre perché è un uomo, impedisce ai figli di avere regolari documenti d’identità, con tutti gli inconvenienti del caso. Ne sanno qualcosa Carlo Tumino e Christian de Florio (nell’immagine in apertura).
Parlo di loro perché sono riminesi e li conosco di persona, blogger e splendidi padri di due splendidi gemelli di cui sono anche genitori biologici, attraverso una maternità surrogata effettuata regolarmente e legalmente negli Stati Uniti. E si spera che il loro problema possa essere sanato ora che il tribunale di Roma, cui si erano rivolte due mamme in analoga situazione, ha sentenziato che il decreto Salvini è un «abuso di potere» perché impone a uno dei genitori una «falsa rappresentazione del suo ruolo parentale, in evidente contrasto con la sua identità sessuale e di genere», oltretutto in contraddizione con quanto riportato sull’atto di nascita del figlio.
Un premier può farsi chiamare il o la presidente, come preferisce, ma un padre non può diventare madre o viceversa perché lo vuole un ex ministro dell’Interno passatista – non conservatore, perché ai conservatori in Svezia, Inghilterra o Francia non gli passa nemmeno per la testa di bamboleggiare tipo asilo «io faccio il papà e tu la mamma»; sanno che più famiglie ci sono, di qualunque colore, più un Paese è solido e fiducioso nell’ avvenire.
Salvini non è più al Viminale, ma sulla poltrona delle Infrastrutture, eppure il suo atteggiamento da capitan Fracassa che fracassa soprattutto le orecchie, non è cambiato. Anziché occuparsi di strade malmesse e ponti pericolanti passa le serate su TikTok a replicare ai troll che gli chiedono «esci i piedi». Anzi, piede 1 e piede 2, così si arrabbia di più.
Lia Celi