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Tanti concessionari di spiagge si aspettavano conclusioni opposte a quelle dell'Avvocato generale


Spiagge. Avvocato Generale della Corte di Giustizia dell’Unione: “I balneari non hanno diritto a indennizzi per i beni incamerati”


9 Febbraio 2024 / Roberto Biagini

In un giudizio di appello contro la pronuncia del Tar Toscana (sentenza n. 380/2021 parti processuali: Sindacato Italiano Imprese Balneari S.r.l.- Comune di Rosignano Marittimo + altri), la settima sezione del Consiglio di Stato decideva di avvalersi dell’ art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell’ Unione Europea (T.F.U.E.) per sottoporre in data 15 settembre 2022 alla Corte di Giustizia dell’ Unione Europea (C.G.U.E.) la seguente questione pregiudiziale: “Se gli artt. 49 e 56 TFUE ed i principi desumibili dalla sentenza Laezza (C- 375/14) ove ritenuti applicabili, ostino all’interpretazione di una disposizione nazionale quale l’art. 49 cod. nav. nel senso di determinare la cessione a titolo non oneroso e senza indennizzo da parte del concessionario alla scadenza della concessione quando questa venga rinnovata, senza soluzione di continuità, pure in forza di un nuovo provvedimento, delle opere edilizie realizzate sull’area demaniale facenti parte del complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa balneare, potendo configurare tale effetto di immediato incameramento una restrizione eccedente quanto necessario al conseguimento dell’obiettivo effettivamente perseguito dal legislatore nazionale e dunque sproporzionato allo scopo”. Chiamami città si era già occupata dell’ argomento: https://www.chiamamicitta.it/biagini-la-lobby-dei-balneari-non-capisce-le-sentenze/.

Il codice della navigazione, ricordiamolo prevede che: “Salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato”.

Nella giornata di ieri sono state depositate le “Conclusioni dell’ Avvocato Generale della C.G.U.E, Tamara Capata” che, per  quanto che fosse bisogno vista la chiarezza dell’ orientamento da tempo assunto dall’ Unione Europe in ordine alla vergognosa disciplina italiana in tema di concessioni demaniali marittime totalmente in contrasto con il diritto unionale, oltre  ad illustrare una summa giuridica completa ed esaustiva dell’ materia, hanno fornito alla C.G.U.E. che dovrà poi emanare la sentenza, una serie di argomentazioni che difficilmente non verranno recepite in sede di decisione per “la gioia” di tutti coloro, associazioni di categoria, siti web compiacenti, politici-concessionari ecc.. che attribuivano speranze (infondate)ad una conclusione diametralmente opposta rispetto a quella a cui è pervenuta l’Avvocato Generale.

In premessa è obbligo evidenziare alcune preliminari considerazioni:

  1. a) sia la Commissione UE che il Governo Italianonelle loro osservazioni scritte, hanno messo in discussione la ricevibilità della presente domanda di pronuncia pregiudiziale; in ogni caso essi “suggeriscono che l’articolo 49 del codice della navigazione non costituisce necessariamente una restrizione alla libertà di stabilimento”;

 

  1. b) l’ Avvocato Generale, preso atto che il giudice del rinvio cita sia l’articolo 49 TFUE, riguardante la libertà di stabilimento, sia l’articolo 56 TFUE, riguardante la libera prestazione di servizi per chiedere alla C.G.U.E. se essi possano essere in contrasto con l’art. 49 de Codice della Navigazione, restringe l’ ambito di comparazione solo a quest’ ultimo articolo sul presupposto che “La Corte ha già chiarito che le concessioni come quelle di cui al caso in esame, che consentono uno sfruttamento economico per fini turistico‑ricreativi, rientrano nell’ambito del diritto di stabilimento nell’area demaniali;

 

  1. c) L’attrattiva economica dell’avvio di un’attività economica nelle zone marittime (o lacuali) italiane conferma l’esistenza di un interesse transfrontaliero certo, come la Corte ha già confermato nella sentenza Promoimpresa. Inoltre, tale potenziale effetto transfrontaliero è stato confermato dalla risposta del giudice del rinvio alla richiesta di ulteriori chiarimenti della Corte. Quindi preminenza e applicabilità diretta del T.F.U.E. rispetto alla Direttiva Bolkestein e di conseguenza viene confermata la totale irrilevanza della questione “scarsità della risorsa” millantata demagogicamente dai “balneari” e dall’ attuale Governo.

 

  1. d) L’ Avvocato Generale traccia le linee guida del suo ragionamento quando specifica che: “L’analisi delle presunte restrizioni delle libertà di mercato garantite dai Trattati è effettuata in due fasi. Dapprima, il giudice nazionale dovrebbe stabilire se la norma nazionale di cui trattasi rientri nell’ambito di applicazione del pertinente divieto previsto dal Trattato, nel caso di specie il divieto di restrizione della libertà di stabilimento. Se la norma nazionale rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 49 TFUE, la seconda fase consiste nel valutare se essa possa essere giustificata. Per giungere a tale constatazione, il giudice nazionale dovrebbe stabilire l’interesse pubblico che potrebbe legittimamente giustificare la norma e se questa sia idonea e necessaria a realizzare tale interesse pubblico”.

In buona sostanza la valutazione preliminare è quella di verificare se l’art. 49 del Codice della Navigazione possa entrare in collisione (rientrare nell’ambito di applicazione significa questo) con l’art. 49 del TFUE; se dovesse essere così la seconda verifica riguarda l’eventuale presenza “di un interesse” pubblico nazionale “giustifichi tale “collisione”;

  1. e) l’Avvocato Generale si chiede poi “se un imprenditore sarebbe dissuaso dall’avviare un’attività su una spiaggia italiana se sapesse che, al termine del periodo di concessione, non sarà indennizzato per le opere non amovibili da lui realizzate, che verrebbero automaticamente acquisite dallo Stato”;

 

  1. f) sia il governo Italiano che la Commissione suggeriscono che l’articolo 49 del codice della navigazione non costituisce necessariamente una restrizione alla libertà di stabilimento. Secondo la Commissione, l’acquisizione allo Stato delle opere non amovibili realizzate è insita nella nozione di area demaniale. La fruibilità di tale area per il pubblico sarebbe significativamente ridotta se i concessionari rimanessero proprietari di opere non amovibili costruite su tale terreno. L’ Avvocato Generale concorda con tale argomentazione. Si tratta dell’essenza dell’inalienabilità del demanio pubblico.

 

Concluse le premesse l’Avvocato affronta in maniera minuziosa tutte le questioni giuridiche rilevanti in materia che proviamo a riassumere per punti:

  1. Il concessionario è il titolare di tali diritti solo per la durata della concessione. Se a un concessionario fosse consentito di mantenere diritti su opere non amovibili costruite all’interno del demanio pubblico, risulterebbero notevolmente ridotte la natura pubblica e la disponibilità pratica per lo Stato di tale demanio.

 

  1. Tutti gli operatori economici si trovano di fronte alla stessa domanda, ovvero se sia economicamente conveniente concorrere per una concessione sapendo che alla sua scadenza le opere non amovibili realizzate saranno cedute allo Stato. Tale norma diventa quindi semplicemente uno degli elementi da considerare nell’effettuare i calcoli economici per stabilire se intraprendere l’attività economica di gestione di uno stabilimento balneare su una spiaggia italiana.

 

  1. L’ art. 49 del codice della navigazione stabilisce la possibilità di un indennizzo economico nell’atto di concessione. Pertanto, se il periodo di concessione dovesse rivelarsi insufficiente per produrre un ritorno sull’investimento, è possibile concordare, al momento del rilascio della concessione, con l’ente pubblico un certo indennizzo. Poi l’assenza di un indennizzo economico per le opere non amovibili cedute deve essere valutata alla luce della possibilità del Comune di obbligare il concessionario a riportare, a proprie spese, il demanio pubblico alle condizioni originarie.

Della serie se il Comune nelle condizioni di concessione (e così in effetti è) ti obbliga alla scadenza ad abbattere il manufatto, tu devi rispettare l’obbligo, nessuno incamera nulla e nessuno ha l’obbligo di indennizzare alcunché.

Chiamamicitta.it si è già occupata di tale questione commentando sentenze della giurisprudenza amministrativa (in linea con le conclusioni dell’ Avvocato Generale) che   proprio per il fatto che l’ art. 49 del Codice della Navigazione consente alle parti di concordare un indennizzo e quindi derogare all’ incameramento non oneroso del bene di non facile rimozione, non lo hanno ottenuto incostituzionale: https://archivio.chiamamicitta.it/spiagge-consiglio-di-stato-le-opere-realizzate-sul-demanio-a-fine-concessione-sono-dello-stato/.

 

  1. Il fatto che vi possa essere stato un rinnovo di concessione non influisce sulla impossibilità di applicare l’art. 49 del Codice della Navigazione ed incamerare senza indennizzo il manufatto non rimovibile. Anzi una norma che trattasse gli operatori economici che entrano nel rapporto concessorio per la prima volta in modo diverso da quelli che continuano la loro attività sulla base del rinnovo della concessione sarebbe contraria al diritto dell’Unione. Infatti se così fosse si porrebbero i concessionari esistenti in una posizione più vantaggiosa rispetto ai nuovi concessionari. Se le opere non amovibili non potessero essere cedute allo Stato quando allo stesso operatore economico è conferito un rinnovo della concessione sulla stessa area, ciò non influenzerebbe il valore della concessione e, quindi, i canoni dovuti in quanto pagherebbe solo il canone per le opere non incamerate. Al contrario, un nuovo operatore in una siffatta concessione dovrebbe pagare un canone più elevato, poiché in tal caso l’avvento incameramento e quindi la cessione della proprietà dello Stato si verificherebbe e, pertanto, aumenterebbe il valore della concessione.

 

  1. Anche se la “tutela del legittimo affidamento” non è in discussione nella causa davanti alla Corte di Giustizia, l’Avvocato Generale lo boccia senza mezzi termini in quanto tale argomentazione sarebbe di per sé contraria al diritto dell’Unione perché potrebbe forse aver creato una presunzione di successo del precedente concessionario nella gara per la nuova concessione. Tale valutazione però spetta al giudice del rinvio, nell’ambito della decisione della causa di cui è investito.

 

  1. In tale materia non è pertinente la sentenza della Corte sulla causa Laezza in quanto detta causa riguardava una normativa italiana che regolava le concessioni per la gestione e la raccolta di scommesse. La normativa nella causa Laezza prevedeva che i beni realizzati durante il periodo della concessione fossero ceduti a titolo non oneroso alle autorità pubbliche alla scadenza della concessione. Essa riguardava una situazione in cui la concessione era richiesta per controllare un’attività economica su un mercato considerato socialmente problematico, aspetto che costituiva quindi la ragion d’essere dell’imposizione della concessione. Nella materia delle concessioni demaniali marittime la decisione di uno Stato di mantenere la proprietà pubblica di un certo tipo di area, con la conseguente necessità di una concessione per qualsiasi attività economica privata su tale area, rientra in un contesto diverso da quello della sentenza Laezza. La decisione politica alla base di una simile normativa è l’idea che la destinazione di talune aree debba essere mantenuta per la fruizione pubblica, e rimanere quindi nella proprietà demaniale. Le concessioni legate alla decisione di mantenere talune aree nella proprietà demaniale presentano alcune caratteristiche intrinseche. Una di esse è che l’attività economica per la quale viene rilasciata la concessione demaniale marittima è inscindibile dalla natura pubblica di quell’area.

Anche della sentenza Laezza Chiamamicittà si era occupata traendo le stesse conclusioni dell’Avvocato Generale: https://archivio.chiamamicitta.it/sentenza-laezza-bagnini-gli-allibratori/

 

  1. Sulla base di quanto precede l’Avvocato Generale, ritiene che una norma nazionale quale l’articolo 49 del codice della navigazione non rappresenti una restrizione al diritto di stabilimento, cosicché il divieto di cui all’articolo 49 TFUE non trova applicazione.

 

  1. In ogni caso, conclude l’Avvocato Generale, per l’ipotesi in cui la Corte nondimeno decidesse di qualificare una norma quale l’articolo 49 del codice della navigazione come una restrizione alla libertà di stabilimento, occorrerebbe valutare se tale restrizione possa essere giustificata. Il Governo italiano ha addotto diversi motivi di interesse pubblico a giustificazione dell’articolo 49 del codice della navigazione, per il caso in cui tale disposizione venisse qualificata come restrizione al diritto di stabilimento: la salvaguardia della proprietà pubblica, la salvaguardia delle finanze pubbliche, nonché il turismo, la cultura e l’ambiente. Tutti i suddetti motivi possono effettivamente costituire obiettivi legittimi dal punto di vista del diritto dell’Unione.

 

  1. 9. L’articolo 49 del codice della navigazione prevede che la proprietà sia ceduta senza indennizzo, a meno che non sia diversamente concordato tra lo Stato e il concessionario. Tale norma prende in considerazione le preoccupazioni economiche dei potenziali concessionari, che temono che la loro attività non produrrebbe profitti, o subirebbe perdite, se per le opere in cui hanno investito non vi fosse alcun indennizzo alla scadenza della concessione.   Se il concessionario conosce in anticipo le norme applicabili, può negoziare un indennizzo adeguato nel caso in cui l’investimento necessario fosse troppo grande per essere riassorbito nel corso della concessione. Viene ripreso il concetto espresso sopra: l’art. 49 del codice della navigazione ti consente di concordare un indennizzo con il Comune e quindi la norma non impone solo l’incameramento ma lo determina “salvo che non sia diversamente stabilito dalle condizioni di concessione”.

 

  1. Infine, se venisse corrisposto un qualsiasi indennizzo ulteriore al concessionario uscente, i nuovi concorrenti che si contendono la nuova concessione sulla stessa area si troverebbero in una posizione meno vantaggiosa. Una siffatta opzione sarebbe contraria al diritto dell’Unione, che richiede che gli Stati membri consentano una concorrenza transfrontaliera equa se decidono di offrire aree demaniali per attività economiche private.

 

  1. Le conclusioni nette, chiare perentorie dell’Avvocato della C.G.U.E. sono le seguenti:

Una misura nazionale quale l’articolo 49 del codice della navigazione, che alla scadenza della concessione comporta la cessione allo Stato senza indennizzo delle opere non amovibili costruite nell’area demaniale marittima in concessione, non rappresenta una restrizione al diritto di stabilimento vietata dall’articolo 49 TFUE se la durata della concessione è sufficiente per l’ammortamento dell’investimento da parte del concessionario. Ciò vale anche nel caso in cui lo stesso concessionario si aggiudichi la nuova concessione sulla medesima area. 

 In subordine, ove una norma nazionale quale l’articolo 49 del codice della navigazione fosse qualificata come restrizione non discriminatoria al diritto di stabilimento, tale restrizione non sarebbe vietata dall’articolo 49 TFUE, nei limiti in cui sia proporzionata ai legittimi obiettivi di salvaguardia della proprietà pubblica e della finanza pubblica, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare.

 

Roberto Biagini

Le conclusioni integrali dell’Avvocato Generale della C.G.U.E.