HomeLia CeliUn’assurdità il capo di stato per nascita? Ma così è per la cittadinanza italiana

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Un’assurdità il capo di stato per nascita? Ma così è per la cittadinanza italiana


10 Settembre 2022 / Lia Celi

Andarsene a 96 anni senza dolore e senza rancori, con la serenità di aver compiuto tutti i propri doveri, dopo aver camminato fino all’ultimo giorno sulle proprie gambe: chi non vorrebbe morire come la regina Elisabetta? E chi non vorrebbe che la propria morte suscitasse le stesse emozioni in chi resta – lutto sì, ma senza eccessi, perché “è morta la regina, viva il re”?

Forse è questo il privilegio più invidiabile delle monarchie ereditarie: la continuità. Non c’è interim, nessun vuoto di potere, nessuno iato colmo di interrogativi, fra un mandato e l’altro, come succede a ogni morte di Papa (chi sarà il prossimo? Italiano o straniero? Conservatore o innovatore?) o ad ogni fine mandato al Quirinale (verrà eletta una donna? Uno sponsorizzato dalla destra o dalla sinistra? Nel dubbio non possiamo rieleggere quello di prima?).

No: l’istante in cui un sovrano esala l’ultimo respiro segna l’inizio del regno del suo successore, e non c’è vera soluzione di continuità. Non conta la vita del singolo sovrano, per quanto degno, amato e popolare, ma quella della regalità, espressione simbolica della perennità e dell’unità dello Stato, che anche nelle monarchie costituzionali conserva l’aura mistica rappresentata, nella cerimonia d’incoronazione, dal rito dell’unzione.

Sarà pittoresco, sarà superato, sarà l’antitesi dei principi di uguaglianza, per carità, ma bisogna dire che fa risparmiare un sacco di tempo, di incertezze e di preoccupazioni: il nuovo re d’Inghilterra Carlo III ha già fatto il suo primo discorso ed è nel pieno esercizio delle sue funzioni, affiancato da figli e nuore. Si va avanti, business as usual.

Se solo Vittorio Emanuele III, che giusto un secolo fa consegnava l’Italia a Mussolini, non avesse aggiunto disonore a disonore vent’anni dopo fuggendo a Brindisi di fronte all’esercito tedesco, o almeno avesse permesso al principe Umberto di salvare la faccia alla monarchia Savoia, forse oggi in mezzo alla bandiera ci sarebbe ancora lo scudo sabaudo e in questi ottant’anni ci saremmo risparmiati quelle brutte imitazioni del Conclave che sono le elezioni del presidente della Repubblica. Però non avremmo nemmeno avuto il settennato di Sandro Pertini, il partigiano-presidente che da solo vale più di tutti i re Savoia messi insieme, per non parlare dei discendenti viventi.

Ma a pensarci bene, che cos’è la monarchia ereditaria se non l’applicazione in purezza dello ius sanguinis, difeso da tanti che pure si dicono repubblicani? Alla fin fine essere cittadini di un paese per «diritto di sangue», cioè per nascita, e non per capacità, educazione, integrazione o meriti, o per essere semplicemente venuto alla luce e cresciuto in quel paese, non ha molto più senso che diventare la massima autorità di uno Stato perché sei figlio della massima autorità precedente. E magari nemmeno il più preparato o adatto al ruolo, ma solo quello nato per primo, o l’unico maschio. (C’è chi dice che la principessa Anna, la tosta e pragmatica secondogenita di Elisabetta, abbia molto più la stoffa della sovrana rispetto a Carlo, un intellettuale perso in sogni bucolici, convinto che lo spirito europeo sia stato rovinato dalla diffusione del metodo scientifico di Galileo Galilei).

Lo ius sanguinis, cioè stabilire una connessione tra valenze civico-politiche e un fluido organico, per quanto vitale, è un residuo di credenze arcaiche. Che però, nel caso della monarchia, sono rese pittoresche e suggestive dall’etichetta, dal protocollo, dalla tradizione, dai manti d’ermellino e dalla corona tempestata di gemme. Il «diritto del sangue» in fatto di cittadinanza invece non ha nulla di spettacolare, crea solo disuguaglianze fra ragazzi che parlano la stessa lingua e hanno frequentato le stesse scuole. Gli italiani lo sanno, e infatti, secondo i sondaggi, al diritto ematico preferiscono lo «ius scholae». In un referendum probabilmente vincerebbe con lo stesso distacco con cui la repubblica vinse sulla monarchia. Ma è improbabile che qualcuno lo proponga nel prossimo futuro.

Lia Celi

(In apertura, immagine Flickr)