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1916, e i riminesi strinsero i denti


29 Settembre 2016 / Oreste Delucca

All’indomani del terremoto che colpì Rimini il 16 agosto 1916, dopo l’iniziale sbandamento si avviò con organicità lo sgombero delle strade ed il transennamento delle aree ove si temevano ulteriori crolli; al tempo stesso si riattivarono con tempestività i servizi essenziali; energia elettrica, telefono, poste e telegrafo, uffici pubblici, sportelli bancari, forno comunale e numerosi negozi, pur in condizioni precarie.
Naturalmente sul piano economico, oltre ai danni elencati finora, va messa in conto la fine anticipata della stagione balneare, in quanto il terremoto terrorizzò i villeggianti che affollarono ben presto i treni in partenza.

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Agosto 1916: tende in piazza Ferrari (Archivio Fotografico, Bibl. Gambalunga)

Ai primissimi ripari ottenuti grazie alle tende militari, fecero seguito gli aiuti materiali del Genio Civile, con cui si allestirono 882 baraccamenti di fortuna e 150 casette antisismiche. Vennero inoltre presi in affitto 730 vani per dare alloggio temporaneo ai 4.174 senza tetto.

Nel mentre ferveva la ricostruzione, la stampa locale – oltre a darne conto – si interrogava anche sulle cause dei terremoti e sulle possibilità di averne qualche preavviso, oltre che sul perché dei gravi danni subiti dai fabbricati. E tentava di fare raffronti coi fenomeni sismici dei secoli precedenti, per scoprirne le analogie e trarne qualche insegnamento. Intervenivano nel dibattito anche esperti illustri, come il professor Luigi Palazzo, direttore generale dell’Ufficio Centrale dell’Osservatorio di Meteorologia e Geodinamica. Costui affermava che le manifestazioni degli ultimi mesi non avevano avuto il medesimo epicentro; però i vari epicentri andavano individuati tutti in mare, a parecchi chilometri da Rimini. Pertanto la città apparteneva ad una fascia sismica dove le scosse potevano raggiungere l’intensità dell’ottavo grado della scala Mercalli (come di fatto era avvenuto), ma non sarebbero mai arrivate al livello disastrosissimo del nono e decimo grado. Infine smentiva categoricamente la diceria circa l’esistenza di un vulcano sotterraneo fra Rimini e Pesaro, affermando che i movimenti tellurici del 1916 appartenevano alla categoria dei terremoti tettonici o di assestamento e non avevano alcuna parentela con l’azione vulcanica. Della stessa opinione si era dichiarato anche padre Venanzio Vari direttore dell’Osservatorio Meteorologico di Benevento, giunto appositamente a Rimini per una ispezione, il quale aveva attentamente esaminato gli effetti del sisma nella città e nel contado.

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Carta dei terremoti del 1916 e relativa intensità sismica; con linee punteggiate quello del 17 maggio, con linee continue quello del 16 agosto

Riguardo la spiccata vulnerabilità ai sismi del patrimonio edilizio riminese, lo specialista Mario Baratta, dopo avere svolto un’indagine accurata dichiarava: “Un esame circa i metodi usati per le costruzioni delle case chiarisce che il disastro di Rimini, più che alla forza distruttiva del terremoto, è dovuto a notevoli difetti di costruzione e di manutenzione degli edifizi. Nei più antichi e modesti predominano come elementi delle strutture murarie grossi ciottoli collegati da malte abbondanti, che però si possono giudicare di qualità scadentissima. I tetti in genere sono pesanti e spingenti sopra i muri perimetrali: mancano quasi ovunque chiavi che garantiscano un efficace collegamento fra le diverse parti delle costruzioni. Bastano questi semplici accertamenti per metterci sull’avviso che case sì fatte hanno condizioni strutturali tutt’altro che atte a resistere a violenti concussioni del suolo”.

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Agosto 1916: tende e baracche di fronte a Castelsismondo (Archivio Fotografico, Bibl. Gambalunga)

L’opera di ricostruzione fu veramente lunga e complessa in città: si dovettero alla fine demolire 615 fabbricati, puntellarne 229 e ripararne 2.112.

Per fare fronte ai relativi oneri il Governo provvide ad assegnare 10 milioni di lire in favore dei danneggiati poveri di Rimini e Pesaro, per concorrere alle spese di demolizione o puntellamento, per i ricoveri provvisori dei senzatetto, per le riparazioni delle case lesionate, per la concessione di sussidi. Inoltre dispose provvidenze per gli interventi relativi agli edifici pubblici, ivi compresa l’accensione di mutui a lungo termine finanziandone in tutto o in parte l’onere per interessi. Il Re offrì di suo la cifra di 100.000 lire; il Comitato di Assistenza Civile di Milano mise a disposizione la somma di 50.000 lire e cifre minori furono raccolte in una sottoscrizione fra privati.

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Agosto 1916: tende e baracche di fronte a Castelsismondo (Archivio Fotografico, Bibl. Gambalunga)

Gli aiuti economici ricevuti da Rimini furono certamente di qualche rilievo, ma non rapportati al bisogno. Occorre peraltro tenere presente che si era in guerra e le risorse scarseggiavano. Inoltre, non è nel costume dell’orgogliosa gente romagnola pietire con troppa insistenza l’aiuto altrui; così i Riminesi strinsero i denti e trovarono quasi soltanto in sé stessi la forza di percorrere la via della resurrezione.

In chiusura, due episodi collegati al sisma del 1916, l’uno triste, l’altro lieto.

L’incubo del terremoto, rimasto così vivo tra la gente, domenica 29 aprile 1917 provocò un lutto nella chiesa di S. Chiara, dove si stava celebrando una funzione solenne, alla presenza del vescovo.
Una donna, presa da attacco epilettico, emise un fortissimo grido e stramazzò a terra con gran rumore. Pochi videro la scena, ma molti credettero fosse un segnale d’allarme annunciante il terremoto e si precipitarono con violenza alla porta, travolgendo bimbi, ragazzi, donne e vecchi. Inutili furono i tentativi di frenarli. Alla fine si contarono 5 morti (di cui 4 bambini) e 12 feriti (di cui 11 bambini).

Infine, fra i tanti danni provocati dal terremoto occorre anche registrare una conseguenza utile: i profondi squarci apertisi nell’abside della chiesa di S. Agostino permisero di scoprire – sotto gli intonaci caduti – quegli affreschi che sono tutt’ora la più ragguardevole testimonianza della scuola pittorica riminese del Trecento ed un vanto grandissimo per Rimini.

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Puntellamenti nella chiesa di S. Agostino

Oreste Delucca

p.s. Nel proporre queste noterelle e le relative immagini sui terremoti riminesi ho utilizzato le pubblicazioni degli storici Cesare Clementini, Luigi e Carlo Tonini; gli opuscoli a stampa di cui sono apparsi i frontespizi; i manoscritti di Michelangelo Zanotti presso la Biblioteca Gambalunga. I periodici apparsi, sono custoditi presso l’Emeroteca della Biblioteca Gambalunga e dal suo Archivio Fotografico provengono le immagini con tale indicazione. Da ultimo, ma non per importanza, va segnalato il volume “Il terremoto di Rimini e della costa romagnola: 25 dicembre 1786”, a cura di Emanuela Guidoboni e Graziano Ferrari, (Bologna 1986), uscito in occasione della mostra omonima tenutasi a Rimini nel secondo centenario dell’evento, volume dal quale sono stati tratti svariati grafici, alcune fotografie e molte informazioni.