25 luglio 1500 – Lattanzio da Rimini inizia a dipingere il suo capolavoro
25 Luglio 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO
Il 25 luglio 1500 il pittore Lattanzio da Rimini firma a Venezia il contratto per quella sarà forse il suo capolavoro: un polittico destinato alla chiesa parrocchiale (oggi il duomo) di Piazza Brembana nella Bergamasca. L’opera, che è ancora al suo posto, sarà firmata “Latantio ariminens[is] 1503”.
Di Lattanzio non si conosce la data di nascita, ma si sa che era nipote di Bittino da Faenza, colui che dipinse le storie di San Giuliano per la chiesa del Borgo. Ed era figlio di un altro pittore, Ambrogio.
Il primo documento che cita Lattanzio è del marzo 1492 e lo dice aiuto di Giovanni Bellini nel ciclo di teleri per la sala del Maggior consiglio in Palazzo ducale a Venezia. Nonostante questi dipinti siano andati perduti nell’incendio del 20 dicembre 1577, vennero a lungo ricordati come il vertice dell’opera di un artista divenuto un mito già in vita.
Il “Giambellino” (Zuane Belin in lingua veneta) in quel momento è un’autentica superstar. La sua bottega è fra le più reputate d’Italia quando il Bel Paese è il non plus ultra in Europa (e non solo: anche il Sultano si fa ritrarre da Bellini, in barba alle prescrizioni dei mufti), la prima di Venezia quando la Serenissima è al top. In questa schola Lattanzio nel 1492 doveva già essere molto più che un apprendista: il suo stipendio di lì a poco sarà inferiore solo a quello del Maestro; un suo vice, dunque. Intorno al 1470 il Giambellino aveva lasciato a Rimini una delle sue meravigliose “Pietà“. E a Pesaro negli stessi anni aveva realizzato quello che da molti è considerato il suo capolavoro assoluto, la cosiddetta “Pala di Pesaro”, appunto. Risale a quegli anni l’ingresso a bottega del riminese?
Di Lattanzio era rimasta una “Madonna con il Bambino tra i SS. Giovanni Battista ed Elisabetta” – firmata “Aluno Latanzio”, distrutta nel 1945 nello Schlossmuseum di Berlino, datata agli anni Novanta del ‘400. Si sa poi che nel 1495 era di nuovo attivo in Palazzo ducale a Venezia e nel 1499 eseguiva una “Predica di S. Marco in Alessandria” per la cappella della Scuola dei setaioli, nella chiesa di S. Maria dei Crociferi, nel sestiere di Cannaregio. Anche Cima da Conegliano lavorò in questa chiesa nello stesso anno e la sua influenza su Lattanzio è evidente almeno quanto quella di Bellini. Il riminese doveva ammirare molto anche il veneziano Vittore Carpaccio, nonostante non esistano documenti su una loro collaborazione.
Arriva quindi la committenza di Piazza, il “Políttico di San Martíno”. Così la “Treccani” descrive l’opera: “La scena centrale, centinata, rappresenta l’episodio di S. Martino a cavallo che offre al povero metà del suo mantello. Nei quattro pannelli laterali, altrettante coppie di santi: in basso a sinistra Pietro e Paolo; a destra Giacomo Maggiore e Giovanni Evangelista; in alto a sinistra Antonio da Padova e Michele Arcangelo; a destra Giovanni Battista e Bernardo. Nel contratto i committenti specificavano che le figure dovevano essere “de beleza de quele che sono sopra la pala grande de S. Zuan Bragola” (Ludwig, p. 32). Lo sforzo di emulare la “beleza” del Battesimo di Cristo di Cima per la chiesa veneziana di S. Giovanni in Bragora, già riconosciuto come un capolavoro dai contemporanei, spiega come il polittico di S. Martino – anche se memore di Cima solo nello sfondo paesistico – sia da considerare una delle opere migliori di Lattanzio, nonché una delle più aggiornate giunte in Val Brembana a inizio Cinquecento. Lattanzio aggira sapientemente la limitazione spaziale, imposta dal formato, unificando le tre scene inferiori in primo piano con la dettagliatissima balza di un pianoro sassoso e, sul fondo, con la linea continua delle montagne del paesaggio. Le figure, disposte in modo rigidamente simmetrico, richiamano iconografie carpaccesche, specie il gruppo di s. Martino e il cavallo”.
Il polittico dovette essere apprezzato, se nel 1505 “Latantio de Ariminio” era ancora ingaggiato in zona per firmare una tavola con “S. Giovanni Battista tra i SS. Pietro e Giovanni Evangelista” per la chiesa parrocchiale di S. Giovanni Battista di Mezzoldo, piccolo centro dell’alta Val Brembana.
Al Museo della Città di Rimini resta la “Madonna tra Giovanni Battista e S. Girolamo” (o “Sacra conversazione”), datata allo stesso periodo a cavallo dei due secoli. Altre opere attribuite al riminese sarebbero posteriori di poco al 1505: diverse “Madonna con il Bambino” (richiestissima specialità devozionale della bottega belliniana) – una trafugata e oggi irreperibile, una appartenente alla collezione Kress e depositata presso la University Art Gallery di Notre Dame in Indiana (Usa), una terza del Fogg Art Museum di Cambridge, Massachusetts. Poi un altro dipinto rimasto nel Museo di Rimini, un “S. Giovanni Battista”.
Gli vengono attribuiti anche alcuni ritratti: quello nella Nivågårds Malerisamling a Nivå, in Danimarca (nell’immagine in apertura) e, con molti dubbi, quello di “Giovane con parrucca di feltro” della Gemäldegalerie di Berlino.
Di certo Lattanzio torna a Rimini da persona di spicco, se nel 1509 fa parte del Consiglio comunale. Nel 1511 e nel 1524 è citato in due rogiti. Poi non se ne sa più nulla e probabilmente termina la sua avventura terrena nella città dove era nato.