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29 gennaio 1330 – I Malatesta si ammazzano fra loro


29 Gennaio 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Il 29 gennaio 1330, il corpo di Ramberto Malatesta «fo seppellito in uno suo vergiero», cioè in un suo orto, o frutteto, senza pompa e senza gloria. Non si sa dove si trovasse il “vergiero” (forse a Ciola Araldi, presso Roncofreddo, che era di Ramberto). Si sa benissimo, invece, e si sarebbe tramandato per generazioni, come Ramberto era morto: assassinato a sangue freddo il giorno prima da suo cugino, Malatestino Novello.

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Quando emergono dalle tenebre della storia, i Malatesta appaiono una famiglia unita. Non si hanno per esempio notizie di dissidi fra Malatesta “della Penna”, che darà origine ai signori di Rimini, e il suo congiunto Giovanni, capostipite dei Conti di Sogliano. Malatesta da Verucchio, figlio di quello “della Penna”, nella sua vita centenaria andrà sempre d’accordo coi parenti e saprà sempre tenere compatti i suoi figli, salvo la non lieve eccezione di Gianciotto che uccide suo fratello Paolo “il bello” assieme alla moglie Francesca.

Joseph Anton Koch: "Paolo e Francesca sorpresi da Gianciotto" (1805)

Joseph Anton Koch: “Paolo e Francesca sorpresi da Gianciotto” (1805)

Nessuna fonte contemporanea parla della tragedia, tanto che non se conosce né la data (fra il 1283 e l’85, secondo i più) né il luogo (dieci località a contendersi “l’onore”). Ma le conseguenze si trascineranno sanguinosamente per quasi mezzo secolo. Scoppia l’inimicizia, che è anche politica, fra i discendenti di Paolo, i ghibellini conti di Ghiaggiolo, e il resto della famiglia, capofila dei Guelfi. Sarà una vera e propria guerra, che coinvolgerà gli alleati di entrambe le parti e che si concluderà nel modo più tragico.

Stemma dei conti di Ghiaggiolo

Stemma dei conti di Ghiaggiolo

Nel 1323, il conte Uberto di Ghiaggiolo, primogenito di Paolo “il bello”, ha l’idea di tirare dalla sua parte il cugino Ramberto, che è sì ultimogenito di Gianciotto (l’assassino di suo padre) ma è anche forse il più scontento del clan, essendogli toccato solo il castello di Ciola, strategico fin che si vuole ma non certo redditizio quanto le part dei co-eredi. Ramberto non dice di no e invita il conte a casa sua.

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Il castello di Ciola

«Venuto el ditto conte, qui era tri bastardi de la casa; quando fo aparichìato da cena, fo chiamato el ditto conte che venisse a cena, e, comò zonse in la sala, quisti bastardi lo ucise subito. Morto ch’el fo, igli el mese in un saco, e mandollo de notte, e poselo al Mercato di Brandi», cioè nella piazza di Mercato Saraceno.

In quel momento il capofamiglia è uno zio di Ramberto, Pandolfo, ultimo superstite fra i figli del “Mastino”. Che però tre anni dopo muore, riaprendo la lotta per la successione. In lizza ci sono suo figlio Malatesta (III), che si guadagnerà il soprannome di Guastafamiglia, e Ferrantino figlio di Malatestino “dall’occhio”, defunto fratello di Pandolfo. Il primo si prende Pesaro (e molto altro), il secondo Rimini (e molto altro ancora) mentre a Ramberto, che aveva fatto il lavoro più sporco, resta ancora solo la piccola Ciola.

Ramberto tenta allora di nuovo il giochetto dell’invito a cena, questa volta con Ferrantino, ma per un verso o per l’altro gli va storto. Prova allora direttamente il colpo di mano su Rimini, arriva perfino a catturare Ferrantino e suo figlio Malatestino Novello, ma la giovane Polentesia, moglie di quest’ultimo, gli aizza contro i Riminesi. Dopo soli tre giorni deve scappare a Santarcangelo trascinandosi Ferrantino e Malatestino ostaggi; ma anche qui il popolo gli si ribella, gli tocca liberare i prigionieri e sloggiare ancora.

Seguono ulteriori liti, riappacificazioni, trame, nuovi tentativi di forzare la mano e di nuovo trattative.

Fino al 28 (o 21, secondo alcuni) gennaio 1330. Una fredda giornata invernale buona per la caccia.

Ecco come le cronache dell’epoca raccontarono i fatti:

«Miser Ramberto se stava a Ceola (Ciola) e miser Ferantino in Arimino, e talvolta se riscriveva l’uno al’altro e mandavase i famigli l’uno al’altro. Accade caso ch’el ditto miser Malatestino, figliolo del ditto miser Ferantino, fé un grande aparechio per andare in Lombardia; e savendo questo miser Ramberto, mandoglie un bello destriero in dono, et el ditto miser Malatestino glie mandò una robba di panni fornita et una se ne fé per lui, e mandoglie un sarto, et a poco a poco se venne ademestigando inseme». 

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«Venne un dì che miser Malatestino andoe a Pozano (Poggiano, presso Poggio Berni) per cazare e per auxelare per alcun die. Sapendolo miser Ramberto, mandoglie a dire, quando glie piacesse, che volontera veria a caciare com lui. Resposeglie che era contento. Poi, la matina venendo, venne el ditto miser Ramberto a Pozano e non trovò miser Malatestino, ch’era andato a caciare. Aspectollo, perché za era ora de terza (le nove del mattino), et era de verno: e stava al foco. Ecco venire el ditto miser Malatestino. Como miser Ramberto el vede, se glie gito ai’ piede domandandoglie perdono dele cose passate. Miser Malatestino, comò vede a lui, cadamano a uno cortello, ch’aveva a lato, e àbelo morto subito, e fello giettare ultra le fenestre». Altri dicono che non fu un “cortello”, ma una spada quella che Malatestino conficcò nella nuca del cugino inginocchiato davanti a lui per implorare perdono dei passati misfatti.

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Poggiano, presso Poggio Berni, oggi elegante resort

Non finirà qui. Malatestino Novello morirà cinque anni dopo prigioniero nella rocca di Fossombrone, con ogni probabilità eliminato per ordine dell’altro cugino: quello che sarà a buon ragine detto il GuastafamigliaGli altri, invece…

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