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30 novembre 1373 – Nasce Andrea Malatesta, signore e rifondatore di Cesena


30 Novembre 2023 / ALMANACCO QUOTIDIANO

«An. MCCCLXXIII a dì ultimo di novembre nacque un altro figliolo maschio al sopradditto nostro signore ms. Galaotto, el qual ebbe nome Andrea Malatesta, perché nacque in dì di S. Andrea»: così l’anonima cronaca malatestiana.

Andrea è dunque figlio di Galeotto I, signore di Rimini, Fano, Ascoli Piceno, Cesena e Fossombrone; la madre è Gentile da Varano, figlia Rodolfo II da Varano, condottiero e signore di Camerino, alleato di Galeotto nelle sue furibonde campagne nelle Marche meridionali.

Alla morte del padre nel 1385, i figli si dividono il dominio: Carlo, il maggiore, esercita la signoria su Rimini; Pandolfo su Fano, Mondavio, Scorticata; ad Andrea toccano Cesena, Roncofreddo e Fossombrone; per Galeotto Novello detto Belfiore ci sono Cervia, Meldola, Sansepolcro, Sestino, Sassofeltrio e Montefiore. 

La rocca malatestiana di Cesena

Papa Bonifacio IX nel 1391 ufficializza la ripartizione, concedendo ad Andrea il vicariato di Cesena. Nel 1393 i Malatesta vanno tutti assieme addosso a Forlì e sgominano Antonio da Montefeltro. La famiglia sta per raggiungere l’apice della sua gloria e vi regna anche un’insolita lealtà fra fratelli, anche se “per esigenze di lavoro” – cioè di condotte mercenarie al servizio dei vari potentati – non di rado si ritroveranno a combattere su fronti opposti.

In questo clima di stabilità, Andrea ritiene che Cesena sia ormai abbastanza sicura da poter abbandonare la posizione sull’altura dove finora si è sviluppata, per espandersi in pianura, a cavallo della Via Emilia come le città vicine.

Il Cardinale di Ginevra “macellator caesenatum” e Giovanni Acuto

Nemmeno vent’anni prima, nel febbraio del 1377, durante la guerra “degli Otto Santi” fra Firenze e la Santa Sede, il cardinale Roberto di Ginevra (futuro antipapa Clemente VII) per vendicarsi di una scaramuccia e soprattutto impedire che Cesena passasse dalla parte dei Fiorentini, aveva ordinato una strage inaudita che fu eseguita dalle milizie mercenarie bretoni guidate dal condottiero inglese John Hawkwood detto Giovanni Acuto: nonostante la città si fosse già arresa dietro la promessa del perdono, venne saccheggiata senza pietà e rasa al suolo, più di 5 000 abitanti furono massacrati. Il cardinale da allora sarà chiamato “macellator caesenatum” mentre i Fiorentini, dopo aver denunciato al mondo l’atrocità e non sortendo alcun effetto, presero a peso d’oro l’Acuto dalla loro parte. Vi restò fino alla morte nel 1394, e venne sepolto in Duomo con i massimi onori.

Dunque quel che tocca ad Andrea è ben poca cosa. Ma «di lì a pochi anni, ai piedi della murata – scrive Pier Giovanni Fabbri nel Dizionario Biografico degli Italiani Treccani – il Malatesta spianò le pendici del colle Garampo creando una grande piazza di fronte al palazzo fatto costruire da Egidio de Albornoz, divenuto residenza della signoria. La costruzione di una nuova cattedrale poco lontano, in pianura, in contrada Croce di Marmo, completava l’abbandono dell’arroccamento dei ceti alti». Secondo Cesare Clementini l’opera è affidata «all’eccellentiissimo Architetto Undivaldo Tedesco».

Cesena, il Duomo di S. Giovanni Battista

Andrea dà impulso all’economia promulgando nel 1397 gli statuti dell’arte della lana. Cliente più assidua dei lanaioli era proprio la corte signorile malatestiana. La richiesta costante del mercato fece arrivare esperti artigiani dal Nord e un flusso di manodopera soprattutto dalle Marche, oltre a mercanti e banchieri fiorentini.

Morto Galeotto Belfiore nel 1400, Andrea eredita anche dominio di Cervia, Bertinoro, Meldola e Sarsina. Nel 1403 iniziano i lavori di costruzione del ponte in pietra sul Savio. Fino ad allora, infatti, la via Emilia superava il fiume all’altezza di Cesena attraverso un ponte di legno costruito per la prima volta dai Romani e poi continuamente rimesso in piedi ogni volta che veniva travolto da una piena o che il materiale si deteriorava.

Il Ponte Vecchio di Cesena

Il quattrocentesco ponte malatestiano sopportò faticosamente la furia del Savio fino al 1684, quando crollò definitivamente. Cesena sarebbe tornata a un ponte di legno fino al 1779, quando fu completato il Ponte Clemente (perché voluto da papa Clemente XII nel 1733). E’ quello che chiamiamo Ponte Vecchio e vediamo tutt’ora, dopo la ricostruzione della parte centrale fatta saltare in aria dalle truppe tedesche in ritirata il 20 ottobre 1944.

Nello stesso 1403 in cui si dette avvio alla costruzione del Ponte, iniziarono anche i lavori del Castello di San Giorgio, che doveva aveva una triplice funzione: mettere al sicuro i raccolti delle ricche campagne circostanti, ancora coltivate con il reticolo delle centurie romane; servire da avamposto contro eventuali attacchi da settentrione, sorvegliando sia la via per Cervia che quella per Ravenna; fornire una confortevole base per i piaceri della caccia nelle vicine lande della “bassa”.

Castel San Giorgio nella ricostruzione di Don Bonafede Montanari (1883)

La splendida, ma ormai sorpassata residenza, pur fra la riprovazione generale iniziò a essere smantellata già alla fine dello stesso XV secolo da Francesco Ubaldini della Carda, capitano dei Montefeltro, per rivenderne i materiali. La spoliazione continuò pietra dopo pietra, finché nell’Ottocento era rimasta solo la grandiosa torre, che nel 1867 ospitò la prima scuola elementare del paese. Durante la seconda guerra mondiale fu utilizzata come rifugio antiaereo. La torre e la chiesa di San Giorgio in piano, anch’essa quattrocentesca, furono fatti saltare in aria dai soldati tedeschi il 19 ottobre 1944. Con le macerie si chiusero le buche delle bombe e si ripararono le case.

Torre San Giorgio

Secondo lo storico riminese Cesare Clementini tutte queste opere, ma il Ponte in particolare, facevano parte di un progetto di ampio respiro, che aveva il fine «come sempre non solo di abbellire, e illustrar Cesena, ma di procurar le comodità a’ Cittadini d’essa e a’ Fiorentini, e passaggieri».

Gian Galeazzo Visconti

Erano dunque benvenuti per primi i confinanti Fiorentini, intesi come doviziosi mercanti e banchieri. Non altrettanto gradite erano le attenzioni della Repubblica di Firenze, che fin d’allora premeva per insinuarsi sempre più a fondo in Romagna. Lo scopo di tutta la politica malatestiana in questi anni è proprio questo: tenere Firenze lontana dall’Adriatico. Per questo sostengono prima le mire di Gian Galeazzo Visconti per costruire un forte stato cuscinetto nell’Italia centrale; poi, dopo che la morte di questi fa tramontare il progetto, si ergono a paladini dei diritti della Chiesa sulla Romagna e Bologna.

L’Italia settentrionale e centrale nel 1402

Andrea partecipa infatti alla presa di Bologna da parte dei pontifici e poi fra il 1405 e il 1406, sempre per sbarrare la strada a Firenze. Per conto suo conquista poi nelle vallate appenniniche Sarsina, Turrito, Pozzo, Finocchio, Cerfoglio, Linaro, Ciola, Musella, Montepetra, Perticara, Ugrigno, Ranchio, Casalbono, Le Caminate.

Siamo però in pieno scisma di Occidente e fra i papi contendenti Benedetto XIII e Gregorio XII, il capo famiglia Carlo Malatesta sceglie quest’ultimo, ospitandolo a Rimini nel novembre 1408. I Malatesta si ritrovano dalla stessa parte di Ladislao d’Angiò Durazzo re di Napoli. La nuova alleanza è suggellata dal terzo matrimonio di Andrea (prima moglie era stata Rengarda, figlia di Bertrando Alidosi signore di Imola; la seconda, Lucrezia Ordelaffi dei signori di Forlì) con Polissena di San Severino, congiunta di Ladislao.

Nell’autunno del 1409, secondo Clementini, Andrea riceve a Cesena da papa Gregorio XII l’altissima onorificenza pontificia della rosa d’oro.

Una rosa d’oro pontificia del 1330

Nel 1409 viene stipulata una condotta militare fra il Malatesta e il re di Napoli. Ancora una volta, il terreno di scontro è nelle Marche: per i Malatesta, due piccioni con una fava, perché approfittano della guerra per allargare i loro già cospicui domini. E infatti, quando Ladislao cambia bandiera e infine muore, Andrea e fratelli continuano la campagna per conto loro, facendo progressi soprattutto intorno a Fermo.

Nel frattempo anche i Fiorentini hanno dovuto subire una battuta d’arresto: avevano tentato di prendere Forlì e Forlimpopoli, ma Andrea aiuta l’antico nemico (e ora parente) Giorgio Ordelaffi a riprendersi i suoi domini.

La rocca malatestiana di Cesena, a sinistra il grande Maschio

Ma non è finita. La nuova minaccia è ora il terribile Braccio da Montone (Andrea Fortebracci), uno dei migliori condottieri dell’epoca, che Firenze scaglia addosso alla Romagna malatestiana. Fra taglieggiamenti e devastazioni, nell’estate 1415 Braccio arriva alle porte di Cesena distruggendo case e saccheggiando i raccolti del contado fino a Cesenatico.

Braccio da Montone

Andrea, malato, torna a Cesena per organizzare la difesa. Chiede agli stessi Fiorentini di fermare quel flagello, invano. Si rivolge allora a Perugia, da cui Braccio da Montone era stato scacciato; la città, terrorizzata dalla vendetta del condottiero, affida il comando delle truppe al Malatesta. Ma la malattia peggiora e Andrea si spegne a Cesena il 20 settembre 1416. E’ comunque avviata quella che i cesenati definiranno la loro “età dell’oro”, culminerà con Domenico Malatesta detto Malatesta Novello.