HomeCulturaAmilcare Cipriani da Rimini, rivoluzionario e idolo globale un secolo prima di Che Guevara


Amilcare Cipriani da Rimini, rivoluzionario e idolo globale un secolo prima di Che Guevara


7 Ottobre 2019 / Paolo Zaghini

Marco Sassi: “Amilcare Cipriani il rivoluzionario” – Bookstones.

Nel 2018 ricorreva il centenario della morte, a Parigi, di Amilcare Cipriani (1843-1918), “l’eroe più popolare della Romagna, forse il più popolare dell’’altra Italia’ in tutto il Paese”. Ma questo centenario, come ricorda Marco Sassi, “è stato poco ricordato”. Né in Francia né in Romagna, con l’eccezione della gloriosa rivista romagnola “La Piè”, fondata giusto un secolo fa dal repubblicano Aldo Spallicci.

Cipriani, nato ad Anzio, visse fin dall’adolescenza a Rimini. Partecipò giovanissimo alle lotte risorgimentali e disertò dall’esercito regolare per unirsi a Garibaldi. Fu dal marzo al maggio 1871, con i gradi di colonnello, tra i protagonisti della Comune di Parigi e per questo, una volta sconfitta, mandato ai lavori forzati per otto anni nella colonia francese in Nuova Caledonia, nel Pacifico a 1.500 chilometri a est dell’Australia.

Vicino agli ambienti mazziniani, aderì in seguito alle idee anarchiche e al socialismo. Esule in diversi stati europei, partecipò anche a tre rivoluzioni in Grecia e a numerose azioni di lotta e di protesta, in Egitto, in Inghilterra, in Italia, in Francia.

La sua vita fu perennemente segnata da condanne e accuse da parte della polizia per la sua attività considerata sovversiva e passò buona parte della vita in carcere. Candidato più volte, ed eletto, al Parlamento del Regno d’Italia, ma rifiutò sempre l’incarico. “Amilcare Cipriani è stato un mito moderno. Il rivoluzionario per eccellenza, per la propria generazione e per quella successiva”.

Sassi, con buona penna narrativa, ne racconta la vita travagliata grazie alla meticolosa ricerca di documenti e testimonianze fatte presso la Biblioteca Gambalunga di Rimini, quella di Imola, la Nazionale di Napoli, la Nazionale Centrale di Roma, l’Istituto di Studi Storici Gaetano Salvemini di Torino.

Così, in apertura del libro, lo descrive il giornalista/storico marchigiano Vittorio Emiliani: “Era alto, bello, elegante nel portamento, coraggioso e forte in modo leggendario. Un combattente senza paura, pronto a sacrificarsi per la libertà dei popoli oppressi, rischiando sovente la vita”. “Non gli si poteva chiedere di essere anche un intellettuale, un uomo di pensiero. Ma la sua azione fu sempre guidata dalla fiaccola della libertà, della giustizia sociale”.

Amilcare Cipriani

Aggiunge Sassi: “Non è stata la teoria politica il suo forte, eppure è stato un idolo per le folle, che in certi momenti si sarebbero stracciate le vesti al suo passaggio. Talvolta sfortunato, eroe antieroe, intrepido e coraggioso, fanciullesco e disincantato, donchisciottesco, come si legge in alcuni scritti contemporanei”.

A conferma di ciò la affermazione dello stesso Cipriani su “L’Intransigent”, giornale parigino, al ritorno nel 1880 dai lavori forzati in Nuova Caledonia: “La mia patria è il mondo e io andrò dovunque c’è un despota da abbattere, un abuso da sopprimere, un oppresso da difendere”.

Il padre, funzionario del dazio dello Stato Pontificio, da Anzio si trasferì a Rimini quando Amilcare aveva pochi mesi. Lui è il fratello di mezzo, due maggiori (Ulisse e Camillo) e due minori (Amalia e Alceste). Nel 1859, non ancora sedicenne, lasciò Rimini e la famiglia, senza un soldo in tasca, per raggiungere l’esercito come volontario e combattere gli Austriaci nella seconda guerra d’indipendenza.

Rientrerà a Rimini nel 1881, dopo ventidue anni, per vedere il padre morente. Ma alla stazione, quando scese dal treno, venne arrestato dai carabinieri. Sottoposto ad un processo scandaloso, privo di prove, ma era stato deciso che doveva essere condannato. Lo sarà in effetti dal tribunale di Ancona nel 1882 a 25 anni di detenzione nel bagno penale di Portolongone sull’isola d’Elba per un fatto di sangue che lo aveva visto coinvolto mentre era in Egitto nel 1867, quindici anni prima.

“Lo scandaloso processo e l’infame pena smuovono e uniscono tantissimi esponenti e correnti del mondo politico”. La campagna di protesta fu guidata dal leader socialista Andrea Costa, coadiuvato dall’amico riminese di Cipriani avv. Caio Renzetti e dal fratello Alceste, con il sostegno di Giosuè Carducci, Aurelio Saffi, Felice Cavallotti, Ricciotti Garibaldi. Venne candidato dai socialisti alle elezioni del 1882 e lo sarà per altre nove volte, e nonostante ripetute elezioni la scarcerazione non arrivò. Fedele ai suoi ideali Cipriani del resto non chiese mai la grazia. Ma questa arrivò il 20 luglio 1888, firmata dal re Umberto I, motu proprio. Ma “candidature, proteste, manifestazioni, discussioni alla Camera sono servite”.

All’uscita di Portolongone Cipriani venne mandato a Rimini. Arrivò in treno alle 16.40. La folla che lo attendeva era enorme. “Gli amici faticano a fare scendere Cipriani dal convoglio, il clima è quello di un delirio collettivo. Riescono a farsi strada, si crea un corteo preceduto dalla banda strimpellante che suona a pieni polmoni e dalla bandiera comunarda rossa filettata di nero e con i nastri neri. Per strada si unisce una folla impressionante, il giornalista stima circa cinquemila persone”.

Ma a Rimini rimase poco, ormai la “patria eletta non è l’Italia, è la Francia, dove rientra stabilendosi nuovamente a Parigi”. Ma è in Italia che continuò in quegli anni la sua attività politica a favore della Federazione Anarchica Rivoluzionaria.

Il 1° maggio 1891, durante i festeggiamenti a Roma, Cipriani presente, avvennero tafferugli e scontri con le forze dell’ordine: morti e feriti da entrambe le parti, 234 arrestati. Sessantadue persone, fra cui Cipriani, vennero rinviate a giudizio. Il processo si farà oltre un anno dopo, e Cipriani e gli altri rimarranno intanto quindici mesi a Regina Coeli. Saranno poi tutti condannati e Cipriani ebbe la condanna più pesante: due anni e otto mesi, tutti da scontare e tutti scontati nel carcere di Perugia.

Dal carcere uscì nel 1893. Cipriani aveva cinquant’anni, di cui una ventina passati da recluso. Uscito dal carcere tornò ancora una volta in Francia. “A Parigi è amatissimo, riverito, considerato”. E poi nel 1897 la Grecia, la guerra con la Turchia, la sconfitta, il grave ferimento. La convalescenza a Rimini e poi, ancora una volta, il ritorno a Parigi..

Ormai Cipriani “è un simbolo quasi sacro per i socialisti rivoluzionari, per gli anarchici, per i repubblicani, per i sindacalisti, per tutti coloro contro il potere vigente e la dinastia Savoia”. Nel 1913 la sua ultima candidatura al Parlamento del Regno. “Tanto lavoro e il risultato arriva. Il 25 gennaio la vittoria di Cipriani sull’avversario liberale Enea Pressi è acclamata per le strade di Milano, non mancano i tafferugli, gli scontri con la polizia e diversi feriti”.

Ma ancora una volta lui rifiuterà l’elezione. “Lui non si presenterà mai in Parlamento almeno fino a quando la monarchia italiana non voglia decidersi a fare meno di pretendere quel giuramento che io non presterò mai”.

Cipriani fu un interventista, si pronunciò più volte per sostenere i governi impegnati contro la Germania e le altre potenze centrali nella prima guerra mondiale. Per questo “pagherà un caro prezzo, la pagherà in termini di popolarità e di simpatie, di autorevolezza e rispetto: sarà sempre più solo politicamente, meno forte, molto meno idolatrato dalle folle”.

Morì a Parigi il 2 maggio 1918. “Il corpo viene tumulato in una tomba accanto al Mur de Federes, quel tratto di mura di cinta dove il 28 maggio 1871 centoquarantasette comunardi erano caduti per fucilazione. La tomba non esiste più, è stata distrutta durante l’ultima guerra mondiale”.

Il libro contiene anche il diario di Cipriani redatto in occasione di una delle sue detenzioni più celebri, quella a Portolongone. Un testo di 150 pagine, trascritto dalle pagine de “Il Messaggero” dove il giornalista amico Paolo Valera l’aveva pubblicato.

Paolo Zaghini